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Il periodo aureo tebano
….. è questo un periodo molto fecondo per tutto ciò che riguarda l’Arte. Questa tocca le vette più alte ma nello stesso tempo subisce inevitabilmente gli sgraditi effetti della speculazione.
La città di Tebe diventa quindi la meravigliosa ed affascinante capitale del Nuovo Regno formatosi sulle ceneri del precedente. Le dinastie che la governano vanno dalla XVIII alla XX, ed il periodo dal 1570 al 1085 A.C. Prodigio, incanto e grandiosità governano la cultura, la creatività e quindi l’arte di questo “aureo” periodo, che sviluppa forme pittoriche e plastiche sempre più eleganti e ricercate, rende parzialmente indipendenti le figure dall’immobilità e dalla rigidezza a confronto degli antichi linguaggi espressivi, pur risalendo sempre dallo stile conforme alla tradizione.
Il realismo ricco di particolari che era comparso nelle raffigurazioni durante il Medio Regno, si rinnova arricchendosi nelle opere pittoriche celebrative e soprattutto in quelle funerarie, rompendo con le raffigurazioni ripetitive. In un’opera pittorica parietale della tomba di Nebamon a Tebe, il personaggio principale viene raffigurato in atteggiamento di caccia nell’acquitrino, in un contesto paesaggistico ornato da fiori di loto, cumuli di papiro e volatili.
La raffigurazione del paese di Punt, nel tempio funerario della regina Hatshepsut a Deyr el-Bahri, è ricchissimo di particolari, messi in risalto per imprimere per sempre il ricordo della spedizione in quella terra esotica, differente per i tipi di piante, case ed abitanti. Più convenzionali sono la pittura e il rilievo a carattere ufficiale e celebrativo. Con Thutmosis III, diretto discendente di Hatshepsut, nasce il primo rilievo monumentale, sulla parete a sud del settimo pilone di Karnak.
La raffigurazione di un faraone vittorioso che annienta il nemico, trasmessa sin dai tempi più antichi, è in questo periodo eseguita in dimensioni imponenti per tutta l’altezza del torrione. Il gruppo di nemici asiatici che il faraone tiene fermi afferrandoli per i capelli è espresso in modo quanto mai scrupoloso, quasi come una rappresentazione grafica, con i volti in prospettive diverse da quella principale, in un rilievo con alternanze di sporgenze e rientranze.
Personaggi autorevoli, in un contesto di piante e animali sacri, si vedono procedere in fila vicino a emblemi religiosi e alla scrittura ideografica nei rilievi in policromia della tomba di Thutmosis III, consacrata alla dea Hathor, esemplificando i soliti ornamenti santuari, dove si riaffermano gli atteggiamenti sacrificali del re alla divinità.
Dopo lo sconvolgimento politico e religioso avvenuto nel periodo di Amenophis IV e la successiva famosa restaurazione di Tutankhamon, sotto i Ramessidi appartenenti alle dinastie XIX e XX, la capitale viene trasferita a Tanis, nel Basso Egitto, ma va avanti la costruzione di templi e santuari nei pressi di Tebe e della Nubia. Prima di Amenophis IV, in un periodo durato circa tremila anni, l’arte egizia non subisce rilevanti mutamenti. Tutto ciò che era bello ed elegante al tempo delle piramidi è alla stessa stregua ritenuto ottimo dopo circa tre millenni, con la sola e non significativa differenza che compaiono nuovi soggetti, ma il modo in cui vengono raffigurati l’uomo, i regnanti e la natura rimane essenzialmente lo stesso. Amenophis riesce a trasgredire i rigidi modelli dello stile egizio. Egli è re della XVIII dinastia, nota come “Nuovo Regno”, risorta dopo una terribile devastazione in seguito all’invasione dell’Egitto. Questo sovrano, essendo un autorevole eretico, elimina tutte le usanze consacrate da millenni e si rifiuta di rendere omaggio agli dei dell’Egitto raffigurati in quel modo bizzarro, ammettendo soltanto un solo sommo dio che si chiama Aton. Lo ama a tal punto che lo fa rappresentare sotto forma di sole che irradia lui e la sua famiglia, i cui raggi terminano con una mano. Dopo di lui, con Tutankhamon, tutte le vecchie tradizioni vengono ripristinate ed anche la pittura riprende il suo caratteristico stile. Uno stile che continuerà ad esistere ancora per un abbondante millennio.
L’attività edilizia ha uno sviluppo notevole in questo periodo e, ad Abido, città sacra a Osiride, Seti I dà il via all’edificazione di un vastissimo organismo templare, ultimato dal figlio Ramesses II, dove per una volta ancora vengono raffigurati in supporti parietali interni opere in bassorilievo, che verranno poi sostituite dal rilievo avvallato, più economico. Ramesses II è uno dei sovrani egizi più famosi ed il più grande edificatore del Nuovo Regno: è lui che ha eretto la foresta di colonne della sala ipostila a Karnak, il Ramesseo a Tebe e i templi di Abu Simbel. Il rilievo storico che ricopre le pareti murali di questi edifici ha un linguaggio tutto nuovo; sono descritte gesta che possono essere bene identificate, in cui il re, liberato dalla sua generica ritualità, opera in un contesto ben specificato: il richiamo alla battaglia di Qadesh è evidenziato da una chiara e dettagliata didascalia, come un “bollettino” delle imprese glorificate. La grandezza è la dominante di questo vasto complesso soprattutto nella statuaria, di cui l’esemplare più sbalorditivo è la figura di Ramesses II seduto sul granito nero con la prima moglie Nefertari e il primogenito scolpiti in dimensioni più piccole. Le imprese eroiche nello scontro contro i “popoli del mare” sono commemorate nel tempio di Medinet Habu, nei pressi di Tebe, edificato da Ramesses III, l’ultimo autorevole sovrano (XX dinastia) del Nuovo Regno. Questo complesso, con cui termina nella maniera più fantastica la prima fase dell’arte egizia, sembra una roccaforte inattaccabile: l’unità del paese si romperà, e rimarrà tale per tutta la durata della XXI dinastia. Dovranno passare più di due secoli (935 – 720) per essere ripristinata, dalla XXII dinastia.