Biografia e vita artistica di Paul Gauguin
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Cenni sulla biografia (1848 – 1903)
Gauguin non ha neanche raggiunto un anno di età quando la sua famiglia parte per il sud America, lasciando la Francia che in quei giorni vede l’ascesa al potere di Napoleone III.
Proprio durante questo viaggio il padre muore e la madre viene ospitata presso dei parenti che vivono in Perù, nella città di Lima.
Nel 1855 Paul con la madre rientrano in Francia, esattamente ad Orléans, dove soggiornano presso lo zio Isidore; qui intraprende gli studi dal 1859 al 1865.
Dopo essere stato imbarcato con svariate mansioni sulle navi mercantili ed aver partecipato alla guerra con la qualifica di marinaio a bordo della corvetta denominata “Jerome Napoleon”, l’artista ritorna a Parigi e inizia un nuovo e ben remunerato lavoro presso un’agenzia di cambio, divenendo un abilissimo uomo d’affari.
Intorno alla fine di novembre del 1872, sposa Mette Sophie Gad, una badante venuta dalla Danimarca, dalla quale avrà cinque bambini: Aline, Emile, Clovis, Paola e Jean-Renè
La vita artistica di Gauguin
Paul Gauguin interpreta un modo di vivere anticonformista ed avventuroso, sottraendosi alla borghesia, incitato dalla voglia di cose inesplorate.
Si distacca dal suo mondo per raggiungere terre selvagge che non subiscono la contaminazione del progresso; solo qui si sente franco da ogni dovere convenzionale, regola o schema formale, può esprimersi in completa autodeterminazione portando in superficie la spiritualità più profonda e le suggestioni di misteriosi stili di vita, che vede come le uniche cose che possano provocare autentiche emozioni.
Accostatosi in età già matura all’arte ed incitato da Camille Pissarro ad entrare nel gruppo impressionista (espone con questi dal 1879 al 1886), durante un soggiorno a Pont-Aven, Gauguin si unisce ad Anquetin e Bernard, che già hanno intrapreso le ricerche atte a sostituire le vibranti macchie di colore impressionistico con vaste zone monocromatiche piatte a tinta unita, circoscritte da contorni ben marcati, ricercando un’armonia soffocata e sorda con un cromatismo denso, pur tuttavia carico di valenze musicali nella campitura di forme chiare e semplificate.
L’aver scelto la Bretagna per la sua intatta tradizione popolare (ciò è asserito dalla letteratura del periodo e da Flaubert), Gauguin anticipa e poi continua la sua permanenza a Tahiti dove, attratto dai misteriosi paesaggi e dalla sua popolazione, ritrova i valori emotivi del cromatismo e l’intensa sacralità del mito indigeno.
La sua pittura si rigenera continuamente caricandosi di inedite ed articolate simbologie, richiamando le stampe giapponesi e le raffigurazioni indiane, che ormai hanno invaso tutto il continente occidentale.
Nell’ultimo decennio dell’Ottocento crea un’eccezionale serie di raffigurazioni “sintetiche”, frutto di una ricerca con l’obiettivo di ridurre il reale naturale e reintegrarlo con le visioni della memoria. Con l’ultima sua opera, “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo” che testimonia un doloroso pensiero sul destino dell’uomo, Gauguin dà un sicuro contributo al linguaggio simbolista, ormai imperante in tutta la Francia.
Note sulla pittura …. di Paul Gauguin
(da Notes synthétiques, 1890)
La pittura è la più bella delle arti. In essa si riassumono tutte le sensazioni, di fronte a essa ciascuno può, seguendo la propria immaginazione, creare un romanzo, e con un solo sguardo sentirsi l’animo invaso dai ricordi più profondi: nessuno sforzo di memoria, tutto è sintetizzato in un solo istante. — Arte completa, che riassume e completa tutte le altre. — Come la musica, agisce sull’anima attraverso i sensi, i toni armoniosi corrispondono alle armonie dei suoni; ma in pittura si ottiene un’unità impossibile in musica, in cui gli accordi vengono gli uni dopo gli altri, per cui il giudizio si sottopone a una fatica incessante se vuole riunire la fine al principio. L’orecchio è insomma ‘.in senso inferiore all’occhio. L’udito può essere strumento di un solo suono alla volta, mentre la vista abbraccia tutto mentre semplifica a suo piacere.
Come la letteratura, l’arte della pittura racconta ciò che vuole, con il vantaggio che il lettore conosce immediatamente il preludio, lo svolgimento e la conclusione. La letteratura e la musica richiedono uno sforzo di memoria per dare un giudizio dell’insieme. […]
È possibile sognare liberamente ascoltando musica come guardando un quadro : leggendo un libro si è invece schiavi del pensiero dell’autore.
Lo scrittore è costretto a rivolgersi all’intelligenza prima di toccare il cuore, e Dio sa quanto una sensazione ragionata sia poco efficace.
Solo la vista produce un impulso istantaneo.
Ma i letterati sono i soli a esercitare la critica d’arte; essi soli si difendono di fronte al pubblico. Le loro prefazioni sono sempre una difesa delle proprie opere, come se un’opera veramente buona non si difendesse da sola.
Questi signori volteggiano sul mondo come i pipistrelli che sbattono le ali al crepuscolo e che appaiono in massa cupa in tutte le direzioni: animali inquieti della loro sorte, cui un corpo troppo pesante impedisce di salire in alto. Se si getta loro un fazzoletto pieno di sabbia, ci si buttano sopra stupidamente.
Bisogna sentirli giudicare tutte le opere umane. Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e questo evidentemente è lusinghiero per l’uomo. Quest’opera è di mio gusto, e fatta esattamente come io l’avrei concepita. Tutta la critica d’arte sta in questo. Essere d’accordo con il pubblico, cercare un’opera a sua immagine. Sì, signori letterati, siete incapaci di criticare un’opera d’arte e anche di criticare un libro, perché siete in partenza giudici corrotti. Avevate sin dall’inizio un’idea bell’e fatta, quella del letterato, e pensate di essere troppo valenti per considerare il pensiero di un altro. […]
Per giudicare un libro, occorrono intelligenza e dottrina. Per giudicare la pittura e la musica occorre, oltre all’intelligenza e alla scienza artistica, una sensibilità speciale per la natura; occorre, in una parola, essere nato artista, e pochi sono gli eletti tra i molti chiamati. Ogni idea può essere formulata, ma altrettanto non avviene per le sensazioni del cuore. Quanti sforzi per padroneggiare la paura, o un momento di entusiasmo; non è forse l’amore spesso istantaneo e quasi sempre cieco? E dire che al pensiero si da nome di spirito, mentre gli istinti, i nervi, il cuore fanno parte della materia. Che ironia!
Quanto esiste di più vago, indefinibile, vario, è proprio la materia. Il pensiero è schiavo delle sensazioni.
Al di sopra dell’uomo sta la natura. La letteratura è il pensiero umano descritto dalla parola.
Per quanto talento impieghiate nel raccontarmi come Otello venga, col cuore divorato dalla gelosia, a uccidere Desdemona, la mia anima non ne sarà mai così impressionata come se avessi visto Otello avanzarsi nella camera con la fronte oscurata dalla tempesta. Perciò, per rendere completa la vostra opera, avete bisogno del teatro.
Potete descrivere con talento una tempesta, ma non arriverete mai a darmene la sensazione.
La musica strumentale ha, come i numeri, un’unità di base. Tutto il sistema musicale deriva da questo principio, e l’orecchio si è abituato a tutte le divisioni, ma è possibile scegliere un’altra base, e i toni e i semitoni e i quarti di tono si modificano di conseguenza. Uscendo da questi principi, i toni saranno in disaccordo. L’occhio è meno abituato dell’orecchio ad avvertire questi disaccordi, ma anche le suddivisioni sono più sottili e, per maggior complicazione, si hanno più unità.
In uno strumento si parte da un tono; nella pittura si parte da più toni. Così si può cominciare dal nero e dividerlo fino al bianco — prima unità, la più facile e perciò la più usata e quindi la meglio capita. Ma prendiamo tante unità quanti sono i colori dell’arcobaleno, aggiungiamo quelle costituite dai colori composti e arriveremo a una somma di unità abbastanza rispettabile. Questo accumulo di numeri, vero e proprio rompicapo cinese, fa sì che non ci sia da stupirsi se la scienza del colorista è così poco approfondita dai pittori, e così poco capita dal pubblico. Ma d’altro canto che ricchezza di mezzi per entrare in intimo contatto con la natura!
Noi biasimiamo i colori puri giustapposti l’uno all’altro senza mescolarli. In questo riusciamo facilmente vincitori, con il potente aiuto della natura che non procede in modo diverso.
Un verde accanto a un rosso non da un bruno rosso come risulterebbe dalla mescolanza dei due colori, ma due note vibranti. Di fianco a questo rosso mettiamo del giallo cromo e avremo tre note che si arricchiscono l’una con l’altra e aumentano l’intensità del primo tono, cioè del verde.
Se, al posto del giallo, mettiamo un azzurro, ritroveremo tre toni diversi, ma vibranti gli uni grazie agli altri.
Al posto dell’azzurro mettiamo un violetto, e ricadremo in un tono unico, ma composto, che entra nei rossi.
Le combinazioni sono illimitate: la mescolanza di colori da un tono sporco; un colore solo è crudo e non esiste in natura. Essi esistono soltanto in un arcobaleno, ma la natura nella sua ricchezza ha avuto cura di mostrarceli gli uni accanto agli altri, in un ordine voluto e immutabile, come se ogni colore nascesse dall’altro.
Ora, noi abbiamo mezzi inferiori a quelli di cui dispone la natura e ci condanniamo a privarci di tutti quelli che essa mette fra le nostre mani. Avremo forse mai tanta luce quanto la natura, tanto calore quanto il sole? Si è parlato di esagerazione, ma come è possibile essere esagerati, dato che si resta al di sotto della natura?
Certo, se si vuoi considerare ogni lavoro privo di equilibrio, allora e in questo senso l’obiezione potrà essere valida. Ma farò notare in tal caso che, per quanto timida e pallida sia un’opera, essa verrà giudicata esagerata quando rivelerà un errore di armonia.
Esiste dunque una scienza dell’armonia? Sì. E a questo proposito il senso del colorista è appunto l’armonia naturale. Come i cantanti, così anche i pittori talvolta stonano, il loro occhio non ha armonia.
Più tardi si forma con lo studio tutto un metodo di armonia, a meno che non ci se ne preoccupi affatto, come avviene nelle accademie e, nella maggior parte dei casi, negli ateliers. Infatti lo studio della pittura è stato diviso in due categorie: prima si impara a disegnare e poi a dipingere, che è quanto dire che si dovrà colorare entro un contorno già preparato, come nel caso di una statua che poi venga dipinta.
Confesso che finora ho capito una cosa sola di questo esercizio, e cioè che il colore è ormai soltanto un accessorio. Caro signore, deve disegnare bene, prima di dipingere. Questo ci si sente dire con tono dottorale, e del resto tutte le grandi sciocchezze si dicono sempre così.
Le scarpe si calzano forse come i guanti? C’è qualcuno in grado di dimostrarmi che il disegno non deriva dal colore e viceversa? Come prova, mi impegno a rimpicciolire o ingrandire lo stesso disegno secondo il colore con cui lo riempirò. Provate a disegnare nelle stesse esatte proporzioni una testa di Rembrandt e mettetevi il colore di Rubens, e vedrete che cosa informe avrete ottenuto e che nello stesso tempo il colore sarà diventato disarmonico.
Da un secolo a questa parte, si spendono grosse somme per la diffusione del disegno e si procura di accrescere la massa dei pittori senza ottenere alcun progresso. Quali sono i pittori che ammiriamo in questo momento? Tutti quelli che hanno criticato le scuole, tutti quelli che hanno tratto la loro scienza dall’osservazione personale della natura. Notes synthétiques, 1890 .
Prima e dopo … di Paul Gauguin ( da Avant et Après, 1902-03 )
[…] Nella vita alcuni hanno uno scopo, altri non ne hanno. Da molto tempo mi rinfacciano la Virtù : la conosco ma non mi piace.
La vita è appena una frazione di secondo: come si può in così poco tempo prepararsi un’eternità!
Vorrei essere un maiale : soltanto l’uomo può essere ridicolo. Una volta le bestie feroci ruggivano, oggi sono impagliate.
Ieri ero del XIX secolo, oggi sono del XX e vi garantisco che ne io ne voi riusciremo a vedere il XXI. A forza di vivere si finisce per sognare una rivincita e bisogna accontentarsi del sogno. Ma il sogno è volato via, il piccione anche, questione di giocare.
Io non sono di quelli che, comunque sia, parlano male della vita. Abbiamo sofferto, ma abbiamo anche goduto e, per quanto poco sia, è di questo che ci ricordiamo. Mi piacciono i filosofi, ma non troppo, quando mi annoiano e quando sono pedanti. Mi piacciono anche le donne, quando sono viziose e quando sono grasse: lo spirito in loro mi imbarazza, è uno spirito troppo spirituale per me. […]
Non è che io sia insensibile alla bellezza, ma i miei sensi non ne vogliono sapere. Come si vede, non conosco l’amore e per dire: “Ti amo” dovrei sputare sangue. Questo per farvi capire che non sono poeta. Un poeta senza amore!!! […]
Eccomi presentato al pubblico come un animale privo di qualsiasi sentimento, incapace di vendere la sua anima per una margherita. Non sono stato Werther e non sarò Faust. Chissà? Forse i sifilitici e gli alcolizzati saranno gli uomini dell’avvenire. La morale mi ha tutta l’aria di seguire lo stesso cammino delle scienze e di tutto il resto verso una morale tutta nuova che sarà forse il contrario di quella di oggi. […]
Ho sempre saputo, e tutto il mondo sa e saprà, che due più due fa quattro. È lungo il cammino dalla convenzione e dalla intuizione alla comprensione. Mi sottometto e dico come tutti gli altri: “Due più due fa quattro”… ma è una cosa che mi fa infuriare e mi disturba molto nei miei ragionamenti. Così, per esempio, voi che ammettete che due più due fa quattro come una cosa certa e che sarebbe impossibile che andasse diversamente, perché ammettete che è Dio il creatore di tutte le cose? Anche per un momento solo Dio non avrebbe potuto fare diversamente? Bei tipo di Onnipotente! Avant et Après, 1902-03.