Biografia di George Grosz (Berlino, 26 luglio 1893 – Berlino, 6 luglio 1959)
George Grosz nacque il 26 luglio 1893 a Berlino.
All’età di sedici anni, nel 1909, si iscrisse all’Accademia di Dresda, ove studiò fino al 1911 con l’intento di formarsi come pittore storico. Incominciò, quindi, a realizzare copie di dipinti di grandi maestri del passato, soprattutto seguendo Rubens, che poteva ammirare nella pinacoteca di Dresda; a quel tempo George collaborava come grafico-caricaturista con riviste satiriche e giornali illustrati.
Nel 1913 si recò a Parigi, dove conobbe diversi artisti delle avanguardie, in particolare gli aderenti ai movimenti futurista e cubista, e dove entrò a diretto contatto con la pittura di Goya, Daumier e Toulouse-Lautrec. Rimase però più affascinato dai nuovi stili che tanto influenzarono in quel periodo il suo modo di dipingere: la sua pittura si stava così orientando verso una mutazione e semplificazione delle forme (importanti caratteristiche dell’Espressionismo e del cubismo) e alla ricerca di un dinamismo più accentuato (Futurismo), mete ormai perseguite da moltissimi giovani artisti del tempo.
Allo scoppio della Grande Guerra Grosz fu chiamato alle armi, ma a causa della sua fragile salute psichica – probabilmente lo shock subìto per le atrocità vissute al fronte – fu ben presto fu ricoverato in un ospedale militare e quindi congedato.
Tornato alla vita civile, nel triennio 1915-17, il suo stile subì altri mutamenti, soprattutto nella riduzione grafica che si fece ancor più esasperata, per esprimere il dolore dopo la disfatta prussiana: sul nuovo linguaggio espressivo esso basò le ricerche degli anni successivi, che lo portarono all’adesione del gruppo dadaista berlinese e a ideali politici rivoluzionari.
Nel 1919 fu arrestato durante la rivolta spartachista (Spartakusbund, in italiano “Lega spartichista”, un’associazione nata durante il grande conflitto) a cui egli partecipò attivamente; ciò non lo scoraggiò nel perseguire i suoi ideali politici e, quindi, nello stesso anno si iscrisse al Partito Comunista, subendo diverse denunce ed altrettanti processi per oltraggio al pudore, incitamento all’odio di classe, ingiurie alle forze armate e vilipendio alla religione.
Nel frattempo la sua produzione artistica di quel periodo, pur rimanendo ancorata agli stilemi di matrice cubista e futurista, si integrava con antichi ed aulici linguaggi nella raffigurazione di scene volgari e popolari.
L’espressività del suo linguaggio pittorico si fece più violenta e catastrofica con vedute urbane apocalittiche, in una grafica pensata spesso in senso politico, per arrivare poi ad aderire al movimento della “Nuova oggettività” (in tedesco Neue Sachlichkeit), alla cui grande mostra (1925 a Mannheim) l’artista partecipò con diverse opere. In questo periodo i suoi dipinti, alternati con disegni e produzioni grafiche a stampa – soprattutto litografie – riflettono il tragico dopoguerra tedesco, con lo stravolgimento di strade, salotti, caserme, tuguri, che appaiono come vivisezionati dal pennello da altri mezzi di lavoro dell’artista, che nella maniera più cruda e diretta ne evidenzia l’ipocrisia e la ferocia.
Il suo stile si fa ancor più duro e spigoloso, sfiorando talvolta il più banale infantilismo e la pornografia, ideale per meglio raffigurare lo stato degli indigenti, prostitute, uomini di strada, alcolisti, ricercati, soldati feriti. La violenza che si evidenzia nelle sue opere, ironicamente mascherata di onore e rispettabilità, si orienta soprattutto contro la feroce bramosia del ceto dirigente ed i mediocri arrampicatori sociali, nonché ai volgari uomini d’affari.
Le trasfigurazioni espressioniste, l’infantililismo della semplificazione grafica e l’integrazione con fattori di schietta volgarità popolare, presenti nelle sue opere, danno un’idea di quanto sia cruda e marcata l’incisività del segno e degli effetti dei piani multipli e simultanei, questi ultimi forti peculiarità del cubismo e del futurismo, che conferiscono nell’insieme una struttura esaltata e visionaria.
Nel 1933, con l’avvento di Hitler, l’opera di George fu considerata “Arte degenerata”. Per tale motivo egli si trasferì a New York, dove insegnò materie artistiche; nel 1938 riuscì ad ottenere la cittadinanza americana.
Negli Stati Uniti la sua pittura si fece più pacata, ma non priva però di sporadici ritorni al passato, questa volta in chiave surrealista.
Nel 1958 fece ritorno a Berlino, ove vi morì il 6 luglio 1959 all’età di 66 anni, dopo una solenne sbronza che gli fece confondere l’ingresso della cantina con quello di casa: prendendo l’entrata sbagliata cadde rovinosamente e perse la vita.