Nei primi anni del Novecento nascono molti linguaggi artistici appartenenti ai moltissimi movimenti del periodo, in piena e continua trasformazione. Gli artisti, alla continua ed affannata ricerca di linguaggi forti ed espressivi, entrano in mondi strutturali mai esplorati in precedenza.
La rottura con il passato è traumatica e spesso provocatoria. Questo atteggiamento, non riesce tuttavia, a provocare la rottura completa con gli studiosi di Storia dell’arte e con i fruitori delle opere, perché l’operazione estetica non viene mai messa in discussione. Tale comportamento, però, si affievolisce a poco a poco quando ci si avvicina al periodo della Grande Guerra (1914 -1918), fino a giungere al rifiuto di qualunque forma di cultura e creazione artistica.
Durante il conflitto, i valori si impoveriscono e l’arte ne risente in maniera traumatica. Nasce in questo periodo il Dadaismo, con il rifiuto, da parte dell’artista, del concetto di “opera d’Arte”.
Le rappresentazioni diventano povere, ambigue e cariche di messaggi con valenze allusive. Si dipingono oggetti come orinatoi, ferri da stiro finemente rifiniti ma con linguaggi che portano a più significati, sempre provocatori. Qualche accenno di tutto questo si era avuto nel 1913 con alcune opere di Marcel Duchamp, considerato il maggior esponente, più intelligente e provocatorio del Dadaismo. Duchamp però non si è mai considerato dadaista.
Il Dadaismo ha origine in Svizzera nel periodo della Grande Guerra. È nella città di Zurigo che un solido gruppo di intellettuali, venuti da altri paesi a cercare asilo politico, si riunisce spesso per discutere sulla necessità di ricercare un nuovo linguaggio espressivo, capace di lanciare messaggi carichi di significato ed allo stesso tempo di stupire con rappresentazioni fuori dall’ordinario, talvolta anche provocatorie. Il gruppo è formato da Hans Richter, Richard Huelsenbeck, Tristan Tzara, Hans Arp, Marcel Janco, ai quali più tardi, si aggiungeranno Max Ernst e Marcel Duchamp.
Diversamente da tutti gli altri movimenti, contraddistinti da un proprio temine di riconoscimento, molto spesso pieno di significato, la parola ”Dada” è priva di ogni riferimento e non significa assolutamente nulla. Anche nel nome stesso, come del resto in tutta la filosofia del movimento, si evidenzia il modo forte e provocatorio con cui si rifiuta tutto ciò che conduce alla razionalità.
Bibliografia:
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“Dada: arte e antiarte”, Hans Richter, Mazzotta, Milano, 1974.
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“Dada antiarte e post-arte”, Francesca Alinovi, D’Anna, Messina 1980 e Firenze 1980.
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“Dadaismo”, F. Tedeschi, Arnoldo Mondadori, Milano, 1991.
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“Manifesti del dadaismo e Lampisterie”, Tristan Tzara, Einaudi, Torino, 1990.
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“Manifesto Dada 1918” di Tristan Tzara in “Le avanguardie artistiche del Novecento” di Mario De Micheli, Feltrinelli, Milano, 1986, pp. 299–317.
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“Le surréalisme et l’après-guerre”, Tristan Tzara, Nagel, Paris, 1948.
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“Storia del dadaismo”, Georges Ribemont-Dessaignes, Longanesi, Milano, 1946.
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“Tutti gli scritti”, Man Ray, Feltrinelli, Milano, 1981
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“La negazione dadaista” di Mario De Micheli in “Le avanguardie artistiche del Novecento” di Mario De Micheli, Feltrinelli, Milano, 1986, pp. 152–173.
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“Dada, surrealismo e dintorni”, Alfredo De Paz, CLUEB, Bologna, 1979.
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“L’arte contemporanea. Tendenze, poetiche e ideologie dall’Espressionismo tedesco alla Postmodernità”, Alfredo De Paz, Liguori, Napoli, 2007.
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“L’aventure Dada”, Georges Hugnet, Galerie de l’Institut, Paris, 1957.
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“Tristan Tzara”, René Lacôte, Seghers, Parigi, 1952.