Ninfee di Claude Monet: Particolari delle nuvole, del mattino, dei riflessi e del tramonto
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Sull’opera: “Ninfee” è una serie di dipinti autografi di Monet realizzata con tecnica ad olio su tavola tra il 1914 ed il 1918, i cui supporti misurano:
Nuvole: 197 x 1271 cm. (tre pannelli)
Mattino: 197 x 1211 cm. ((tre pannelli)
Riflessi verdi: 197 x 847 cm. (due pannelli)
Tramonto: 197 x 594 cm.
Le opere sono custodite nel Museo del Louvre (Orangerie) a Parigi.
Nel 1918 René Gimpel (un conosciuto mercante d’arte amico di Prouste) e Georges Bernheim (omonimo della famosa Galleria parigina) si recano a GIverny perché venuti a conoscenza che Monet stava lavorando in gran segreto in una “lmmensa e misteriosa decorazione” trovandosi “dinanzi a uno strano spettacolo artistico: una dozzina di tele disposte in cerchio sul pavimento, l’una accanto all’altra, tutte larghe circa due metri e alte un metro e venti; un panorama fatto d’acqua e ninfee, di luce e di cielo. In quell’infinità, acqua e cielo non avevano ne inizio ne fine. Ci parve d’essere presenti a una delle prime ore della nascita del mondo. L’insieme è misterioso, poetico, incantevolmente irreale, e da una sensazione strana: un misto di disagio e di piacere al vedersi circondati da ogni parte dall’acqua”. “Lavoro tutto il giorno a queste tele — rispose Monet — me le passano una dopo l’altra. Nell’atmosfera riappare un colore che avevo scoperto ieri e abbozzato su una delle tele. immediatamente il dipinto mi viene dato e io cerco il più rapidamente possibile di fissare in modo definitivo la visione, ma di solito essa scompare velocemente per [asciare il posto a un altro colore già registrato alcuni giorni prima in un altro studio che mi viene posto quasi istantaneamente dinnanzi; e si continua così per tutta la giornata…”.
Era da circa una decina di anni che Monet aveva in mente di realizzare una serie di tele aventi come soggetto lo stagno di Giverny, ma continuamente rimandava la cosa a “momenti migliori”: oppresso dalla perdita della moglie e del figlio non se la sentiva di affrontare un lavoro troppo impegnativo. Finalmente gli affetti della figliastra Blanche e dell’amico giornalista Georges Clemenceau (Mouilleron-en-Pareds, 1841 – Parigi, 1929) riuscirono ad attenuargli il dolore, tanto che il pittore riprese a pieno ritmo l’attività artistica riaprendo un nuovo e grande atelier.
Nel 1920, per celebrare la pace, Monet volle donare dodici opere (Ninfee) allo stato francese. “Non dormo più per colpa loro” racconta qualche anno più tardi: “di notte sono ossessionato continuamente da ciò che sto cercando di realizzare. Mi alzo ai mattino rotto di fatica. L’alba mi rida coraggio ma la mia ansietà torna non appena metto piede in studio ….. dipingere è cosi difficile e torturante. L’autunno scorso ho bruciato sei tele insieme alle foglie morie del mio giardino. Ce n’è abbastanza per far perdere la speranza. Ciononostante non vorrei morire prima di aver detto tutto quel che avevo da dire: o almeno aver tentato di dirlo. E i miei giorni sono contati… Domani forse…‘.
Marchiori nel 1931scrisse: “Le Ninfee, per tale connubio delle qualità istintive del genio di Monet, dettato solo dalla sensibilità, senza restrizioni teoriche, son lì a dire quanto fosse vitale l’impressionismo per giungere a cosi grandi altezze, fuori dei limiti di quelle leggi che regolano la pittura proprio nel tempo in cui il cubismo era già passato alla storia e cento altre scuole si susseguivano febbrili, secondo il costume di questo secolo irrequieto di ricerca”.
L. Venturi scrisse “l’errore artistico più grave di Monet” dove “nessun tragico accento in questa specie di cupio dissolvi bensì un gioco d’artificio al quale l’eccezionale abilità non toglie i caratteri di gioco”.
Cesare Brandì scrisse: “tra tutti i dipinti quello che mozza il fiato è proprio questo, il più grande con le Ninfee”; e poi ancora: “Questo è veramente il quadro da mostrare a chi ricerca il soggetto, il messaggio, la comunicazione: il quadro che fa capire che cos’è la pittura, o se non si capisce, la fa ignorare per sempre”; e oltre: “Quando l’emozione del primo incontro si placa […] si riconosce che questa pittura è calma, che la sua sovversione cromatica risulta rigorosa e precisa come un tiro al ber