Biografi di Zurbaran (Fuente de Cantos, 1598 – Madrid, 1664)
Da documentazioni certe si ricava che Francisco de Zurbarán fu battezzato il 7 novembre 1598 nella chiesa di Fuente de Cantos, nell’Estremadura. Suo padre era Luis de Zurbarán, un ricco commerciante di origine basca, e sua madre Isabel Márquez.
A sedici anni entrò come allievo nella bottega di Pedro Diaz de Villanueva a Siviglia, un pittore poco noto che realizzava soggetti a tema devozionale.
Il primo dipinto arrivato ai nostri giorni con la sua firma (“Franco de Zurbarán fac/1616”) è l’Immacolata Concezione, realizzata su commissione di un convento sivigliano ed attualmente custodita a Bilbao presso una collezione privata. In questa opera, piuttosto modesta nel suo insieme, vengono evidenziati gli influssi di artisti italiani come Tiziano, Pordenone, Donatello, Marco Dente e Domenico Campagnola.
Nel 1617 si stabilì a Llerena dove conobbe Maria Paez de Silices, una donna di dieci anni più grande di lui, figlia di un norcino locale. Con essa si unì in matrimonio e, nel febbraio dell’anno successivo, nacque la sua prima figlia, Maria.
Il 5 novembre 1618 gli venne affidato l’incarico per la realizzazione di una Madonna, andata perduta, della quale è documentato il compenso che l’artista ricevette dal Municipio di Llerena nell’anno successivo.
Il 20 luglio 1620 nacque il secondogenito, Juan.
Nel 1622 realizzò per la Cappella del Rosario della chiesa di Fuente de Cantos un ciclo di quindici tele aventi per tema i Misteri del Rosario. Il ciclo, oggi completamente disperso, fu richiesto dalla parrocchia per volontà testamentaria del canonico Alonso Garcia del Carro.
Il 13 luglio 1623 gli nacque la terzagenita, Isabel Paula, ma poco dopo, nello stesso anno, gli morì la moglie Maria. Due anni dopo Zurbarán si risposò con una nobile vedova llerenese, Beatriz de Morales, anche questa volta di una diecina di anni più anziana di lui.
Il 17 marzo 1626 gli vennero commissionati ventuno dipinti (“Dipinti per San Pablo el Real a Siviglia”) dal priore del convento (attualmente chiesa della Magdalena) di San Pablo a Siviglia, da realizzare in un periodo abbastanza ristretto, otto mesi: quattordici tele dovevano narrare la vita di san Domenico, mentre le rimanenti avrebbero dovuto rappresentare i Dottori della Chiesa nel loro esercizio.
In seguito alla guerra napoleonica del 1810 e, più tardi, alla secolarizzazione del convento (1835), dell’intero ciclo è rimasto ben poco: la “Apparizione della Vergine al monaco di Soriano” e la “Guarigione del beato Reginaldo d’Orléans” (nella stessa chiesa); un “Sant’Ambrogio”, un “San Gregorio” e un “San Gerolamo” (Museo di Siviglia); un “Cristo crocefisso”, firmato e datato dall’artista con la scritta “Franco Dezur fa 1627” (Art Institute di Chicago).
Quest’ultimo, non citato nell’elenco dei dipinti della committenza ma proveniente anch’esso dal convento sivigliano, scomparve nel 1810 dal convento e riapparve nel 1880 in Inghilterra. Nel 1954 venne acquistato dall’ Art Institute di Chicago.
Sia nella composizione della “Guarigione del beato” che in quella dell’ “Apparizione della Vergine” si evidenziano gli influssi di Juan Sánchez Cotán (1560 – 1627), un pittore fra i massimi esponenti spagnoli del genere del bodegòn, e la predilezione per strutture compositive oblique, nonché per le figure allungate come la Maddalena della stessa Annunciazione. Queste ultime, unite ai volti con lo sguardo pensieroso, diventeranno il modello delle sue future rappresentazioni femminili. Secondo la storica dell’arte, Mina Gregori (Cremona, 7 marzo 1924), il vigoroso contrasto luminoso a cui le figure in primo piano sono soggette «le astrae dal contesto ambientale, nello stesso tempo caricandole di realtà quotidiana. Indagandole più a fondo, ci si rende conto che assecondano una strutturazione simmetrica dello spazio pittorico, imperniata su direttrici ortogonali, e che la fonte luminosa concorre con la sua drastica unicità a stringere legami di per sé resi ben saldi dal ricorso a schemi tanto elementari» (Mina Gregori).
Il “Cristo crocefisso” dell’Art Institute di Chicago, appartenente al ciclo “Dipinti per San Pablo el Real a Siviglia” viene considerato dagli studiosi di tutti i tempi come il primo capolavoro realizzato dall’artista, quando aveva ventinove anni. Questo dipinto certamente contribuì ad aprire a Francisco la strada per una carriera di grande successo. In esso si rileva una pittura solida, di forte effetto plastico e realistica nel dettaglio. Guinard ne evidenziò il realismo nella fattura dei chiodi, nelle asperità delle assi della croce, nell’irregolarità del cartiglio, non tralasciando quello derivato dalla disposizione dei piedi, giustapposti invece che incrociati, tipico dei crocifissi del Pacheco.
Il 26 maggio gli fu affidato l’incarico per la decorazione di un altare nella chiesa del convento de la Encarnación ad Arcos de la Frontera; nel registro basso l’artista doveva raffigurare, ai lati di una scultura situata nella zona centrale, i due San Giovanni (Evangelista e Battista); nel registro principale doveva essere rappresentata l’Annunciazione fra i santi Francesco e Chiara e, nell’attico, il Cristo crocefisso.
Nel 1637 Zurbarán rientrò a Siviglia con il titolo di pittore alla corte del re: in quel periodo la sua fama aveva raggiunto il massimo livello. Qui realizzò importantissimi cicli pittorici, tra i quali ricordiamo quello per i certosini di Jerez (oggi smembrato in più parti) ed uno per i geronimiti di Guadalupe, questi ultimi caratterizzati da vigorosi contrasti luministici.
Negli anni Cinquanta iniziò il declino dell’artista, con il grande pubblico che preferiva la pittura del giovane Murillo arrivato a Siviglia nel 1645. I questo periodo Zurbarán incominciò a lavorare con committenze legate alle colonie spagnole in America, soprattutto quelle nel Messico.