Luca Signorelli: Storie degli ultimi giorni
Sull’opera: Le “Storie degli ultimi giorni” è un ciclo di affreschi iniziato nel 1447 da Beato Angelico e Benozzo Gozzoli e portato a compimento intorno al 1499-1502 da Luca Signorelli. Il complesso pittorico si trova nella Cappella Nova (Cappella di San Brizio) del Duomo di Orvieto.
Descrizione e storia
La cappella di San Brizio per la singolarità tematica, per l’originalità spaziale e volumetrica, nonché iconografica viene considerata dagli studiosi di Storia dell’arte come un “unicum” nell’arte [Touring, cit., pag. 596].
L’edificazione della cappella nel Duomo fu iniziata nel 1396 in seguito al lascito testamentario di Tommaso di Micheluccio di Orvieto, in cui esprimeva il desiderio che si creasse una cappella dedicata alla Vergine Incoronata. Il lavoro fu portato a termine 1444[Touring, cit., pag. 596].
L’Opera del Duomo deliberò la realizzazione del ciclo pittorico nella nuova cappella assegnandolo a Beato Angelico, che in quello specifico periodo soggiornava a Roma, alla decorazione della Cappella Niccolina al servizio di papa Niccolò V (Sarzana, 1397 – Roma, 1455).
Il frate pittore, che aveva già avuto degli incontri l’anno precedente con Francesco Baroni, il maestro vetraio del Duomo di Orvieto, approfittò dell’occasione che gli permise, tra l’altro, di evitare la forte calura estiva romana, allontanandosi dalla capitale, per l’appunto, nel mese di giugno.
Con lui si spostò anche Benozzo Gozzoli, Giacomo de Poli e Giovanni Antonio da Firenze, ai quali si aggiunse in seguito Pietro di Nicola Baroni [Touring, cit., pag. 597].
Sembrerebbe che il tema relativo al Giudizio Universale fosse stato scelto con la consulenza di Beato Angelico, che oltretutto era un frate assai colto e ben preparato in teologia [Touring, cit., pag. 597].
Nel Duomo l’artista rimase per una quindicina di settimane, affrescando due delle grandissime vele della campata soprastante l’altare con le raffigurazioni del “Cristo Giudice tra angeli” e dei “Profeti”.
Per gli studiosi di Storia dell’arte tre-quattro mesi di lavoro per il completamento di una stesura pittorica di tale portata risulterebbero insufficienti; è verosimile perciò che l’autografia del maestro sia alquanto limitata [Pope-Hennessy, cit., pag. 68].
Nel settembre 1447 l’Angelico e la sua cerchia di assistenti lasciavano Roma, forse con l’intento di ritornarvi l’anno dopo. Questo non avvenne e nel 1449 il contratto era già stato annullato, come dimostrerebbe il fatto che il Gozzoli, trovandosi nella capitale per tutta la seconda metà di quell’anno, ormai affrancatosi dal suo maestro, tentò inutilmente di farsi riassegnare l’importante incarico [Pope-Hennessy, cit., pag. 69], che restò in sospeso per una quarantina d’anni.
Nel 1455 a causa di infiltrazioni d’acqua nelle volte venne rialzato il tetto[Touring, cit., pag. 596].
Entrata in scena del Signorelli
Prima di scegliere il Signorelli (5 aprile 1499) l’Opera del duomo cercò di accordarsi con il viterbese Antonio del Massaro(Viterbo, ca. 1450 – Viterbo, prima del 1516) detto il Pastura e soprattutto, per circa un decennio, con Pietro Perugino le cui prestazioni venivano però considerate troppo elevate [Touring, cit., pag. 597].
Il pittore cortonese – che in quel periodo stava evadendo delle committenze tra Toscana, Umbria e Marche – accettò l’importante incarico.
Dalle ricche documentazioni [pubblicate da Luzi nel 1866 e da Fumi nel 1891] si ricava che la scelta ricadde sul Signorelli non solo per motivi economici – il costo finale era molto più basso di quello del Perugino – ma anche per la celebrità, ormai consolidata, di pittore efficiente, attento e rapido [Paolucci, cit., pag. 288].
Il contratto
Il contratto venne rispettato dal Signorelli con solerzia: infatti l’anno successivo, il 23 aprile 1500, gli affreschi delle volte erano già stati portati a compimento e il pittore aveva già i disegni pronti per lo svolgimento delle altre tematiche – “dalle volte in giù” – che gli vennero confermate qualche giorno dopo per la somma di 575 ducati [Touring, cit., pag. 597].
Mantenimento del tema
Il tema del Giudizio, scelto in precedenza dall’opera del Duomo con il consiglio dell’Angelico, fu mantenuto sugli impulsi dei turbamenti politici di quel particolare momento, che già sconvolgevano la regione dai primi anni Novanta, e dei cattivi presagi sull’avvicinarsi del nuovo secolo, che coincideva con la metà del secondo millennio [De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 157].
Gli affreschi
Le decorazioni interessano le volte e le pareti: nelle prime sono articolate in vele su fondo oro, separate da costoloni con ornamenti vegetali e attorniate da cornici di gusto classicheggiante, con fasce i cui toni generali, tendenti al rosso, fanno da sfondo confrontandosi con elementi tratti dalla miniatura, intervallati da forme esagonali con testine [Touring, cit., pag. 597].
Le pareti ospitano raffigurazioni con grosse lunette nella zona alta, inquadrati dalla simulazione di grandi archi e cassettoni con rosette in rilievo.
Questi, con profondità prospettica simulata di due metri circa, permettono un’ampia visualità alla base delle composizioni conferendo alle figure un’efficacissima plasticità ed un’eccezionale stacco, come se stessero uscendo dai riquadri.
Trattasi di un’eccezionale struttura compositiva che, sebbene non sia stata realizzata per il punto di vista del fruitore “a pavimento” (soprattutto quella dell’Angelico), riesce a cambiare l’aspetto dell’architettura gotica in un interno di gusto rinascimentale, equiparandone le dimensioni.
Tutte le luci provengono da un’unica direzione, corrispondente alla posizione delle finestre della parete di fondo, e le ombre vengono quindi generate in un medesimo verso [Touring, cit., pag. 598].
Gli episodi raffigurati sono (si veda, soprattutto, la tabella riportata in fondo alla pagina): la “Predica e fatti dell’Anticristo”, il “Finimondo”, la “Resurrezione della carne”, i “Dannati”, i “Beati”, il “Paradiso”, l’ “Inferno.
Sotto ai riquadri corre una fascia inferiore ritmata da colonnato di paraste – simulato – che regge una una finta trabeazione con un sontuoso fregio a grottesche contro un fondo aureo.
La zoccolatura della parete è dipinta a lastre che ricordano rilievi di antichi sarcofagi romani, distanziate dalle basi delle paraste. I riquadri sono ornati con motivi a grottesche ove sono inseriti, nella zona centrale, ritratti di personaggi celebri, scrittori, e poeti.
Molti di questi ritratti sono stati ripresi, sembrerebbe, in modo da creare confusione all’occhio del fruitore, mentre sfogliano libri che appaiono fuori dal davanzale visto in scorcio [Touring, cit., pag. 598 ].
A ridosso di alcune di queste personalità appaiono dei medaglioni in grisaille con la didascalia, o l’illustrazione, della rispettiva opera, come quella della Divina Commedia.
A completamento della figurazione, negli sguanci delle finestre, appaiono gli arcangeli Raffaele con Tobiolo e Gabriele (raffigurati sulla destra), Michele che cerca di respingere un demone mentre sta pesando le anime (sulla sinistra) e i santi vescovi Costanzo e Brizio, protettori della città (al centro), mentre nella piccola cappella incavata in uno spessore della parete è rappresentato un “Compianto sul Cristo morto tra i santi Parenzo e Faustino”.
Le vele delle volte
La volta è suddivisa in otto parti (vele), intervallate da fasce decorate con motivi vegetali. Sono dell’equipe dell’Angelico quella soprastante l’altare con “Cristo giudice tra angeli” e quella affiancata, a destra, con “Sedici profeti”. In particolare sono considerate autografe del frate pittore la figura, alquanto rovinata, del Cristo, un gruppo di angeli e qualche profeta seduto [Pope-Hennessy, cit., pag. 68]. A parte qualche altra pittura, come le bordure decorative con testine (Gozzoli) e di aiutanti dell’Angelico, tutte le altre vele sono del Signorelli, che vi raffigurò:
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“Gloriosus Apostolorum chorus” (Apostoli), sulla sinistra, prima campata.
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“Signa iudicium indicantia” (Simboli della Passione e preannuncio del Giudizio con angeli), verso l’ingresso, prima campata.
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“Martyrum candidatus exercitum” (Martiri), verso l’altare, seconda campata.
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“Nobilis Patriarcharum coetus” (Patriarchi), sulla sinistra, seconda campata.
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“Doctorum sapiens ordo” (Dottori della Chiesa), seconda campata a destra.
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“Castarum Virginum chorus” (Vergini), verso l’ingresso, seconda campata.
Mettendo a confronto gli affreschi di Luca Signorelli con quelli di Beato Angelico, si evidenzia un resa pittorica alquanto dissimile: il primo lega tutto al fruitore dell’opera ed impiega una tecnica decisa, fluente e – anche per venire incontro alle varie richieste della committenza – sbrigativa, pur sempre di alta qualità [Touring, cit., pag. 598].
L’Angelico invece affrontava la decorazione rispettando, come se lavorasse su una tavola, il dettaglio nei minimi particolari, senza tener conto che questi non sarebbero poi stati goduti in pieno dallo spettatore a causa della lontananza del suo punto di osservazione: nella prima metà del Quattrocento la pittura era ancora considerata, sopra ogni cosa, un’offerta a Dio, il fruitore principale della decorazione!