Biografia, formazione e vita artistica di Fra’ Bartolomeo (Al secolo, Baccio della Porta, 1472 – 1517)
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Fra’ Bartolomeo di Paolo di Jacopo “del Fattorino”, il cui nome deriva da quello del padre (Paolo di Jacopo, carrettiere e mulattiere), visse dal 1478, quando aveva sei anni, a Firenze nella casa in Porta San Pier Gattolini. Per tal motivo, nell’arco dei secoli, l’artista è conosciuto anche con l’appellativo di Baccio della Porta.
Formazione artistica
Nel 1483, o forse nell’anno successivo, con l’appoggio di Benedetto da Maiano, egli riuscì ad entrare come allievo nella bottega di Cosimo Rosselli (Cosimo di Lorenzo Rosselli, Firenze, 1439 [forse 1440] – Firenze, 1507), dove strinse amicizia con Piero di Cosimo (Piero di Lorenzo, Firenze, 1461 circa – Firenze, 1522).
A proposito dell’artista il Vasari scriveva: “Era Baccio amato in Firenze per la virtù sua, che era assiduo al lavoro, quieto e buono di natura et assai timorato di Dio, e gli piaceva assai la vita quieta e fuggiva le pratiche viziose e molto gli dilettava le predicazioni, e cercava sempre le pratiche delle persone dotte e posate”.
Già molto tempo prima delle edizioni due delle “Vite” del Vasari Fra’ Bartolomeo veniva menzionato. La prima citazione risale al 1485, quando l’artista era ancora ragazzino, in una ricevuta di pagamento, saldata dalle monache di Sant’Ambrogio per la realizzazione di un’opera del suo maestro, Cosimo Rosselli.
Nel 1490-91, Bartolomeo e Mariotto Albertinelli (Firenze, 1474 – Firenze, 1515), lasciarono la bottega del loro maestro per instaurare un’importante e reciproca collaborazione, sospesa nel 1493 ma subito ripresa nel 94.
La nuova bottega era situata appena fuori della casa del padre di Bartolomeo, in Porta San Pier Gattolini.
L’assidua frequenza del convento S. Marco ed i rapporti con Savonarola
La prima opera, datata dell’artista, che si conosca è l’Annunciazione della Cattedrale di Santa Maria Assunta (Duomo di Volterra), in cui si evidenziano gli influssi del Ghirlandaio e, soprattutto, quelli del trattamento chiaroscurale di Leonardo da Vinci.
L’opera, datata 1495, appartiene al periodo in cui il priore di San Marco, Girolamo Savonarola, si preoccupava di imporre una rigorosa questione morale alla città di Firenze, additando la corruzione incalzante e le gerarchie ecclesiastiche, attirandosi la scomunica di papa Alessandro VI (Xàtiva, 1431 – Roma, 1503) nella primavera del 1497.
Bartolomeo subì più di ogni altro artista il carisma del celebre frate ferrarese. A proposito di ciò riportiamo le parole del Vasari: “continovando Baccio la udienza delle prediche sue, per la devozione che in esso aveva, [con Savonarola] prese strettissima pratica con lui e dimorava quasi continuamente in convento avendo anco con gli altri frati fatto amicizia”.
Risulta che Bartolomeo distrusse diverse opere in cui apparivano figure nude (forse soltanto disegni) proprio a causa dei principi dettati da Savonarola contro l’amoralità dei fiorentini, le impudiche composizioni dei pittori ed il ritorno al paganesimo dei neoplatonici. È probabilmente riferibile al 1498 il “Ritratto di Girolamo Savonarola” (Museo nazionale di San Marco a Firenze).
L’assalto al convento, il voto e l’abbandono della pittura
Bartolomeo, frequentando assiduamente il convento di San Marco, l’8 aprile 1498, si trovava presso quella struttura quando fu assalito dagli avversari di Girolamo Savonarola. In tale occasione – sempre avendo come riferimento gli scritti del Vasari – il pittore per la paura di morire (se “campava da quella furia”) fece voto per l’abito domenicano. Si ricava dalla Storia che Savonarola, dopo la cattura e la prigionia, fu arso vivo in piazza della Signoria, come eretico, il 23 maggio 1498.
L’anno dopo Gerozzo di Monna Vanna Dini commissionò all’artista un affresco in cui venisse raffigurato il Giudizio Universale, per l’ornamento di una cappella del cimitero dell’Ospedale di Santa Maria Nuova, che “condusse con tanta diligenza e bella maniera in quella parte che finì che, acquistandone grandissima fama, oltra quella che aveva, molto fu celebrato per aver egli con bonissima considerazione espresso la gloria del Paradiso e Cristo con i dodici Apostoli giudicare le dodici tribù, le quali con bellissimi panni sono morbidamente colorite. Oltra che si vede nel disegno, che restò a finirsi, queste figure che sono ivi tirate all’Inferno, la disperazione, il dolore e la vergogna della morte eterna, così come si conosce la contentezza e la letizia, che sono in quelle che si salvano, ancora che questa opera rimanesse imperfetta, avendo egli più voglia d’attendere alla religione che alla pittura”. Di questa grande opera, più tardi portata a termine da Giuliano Bugiardini (Firenze, 1476 – 1555) e Mariotto Albertinelli (Firenze, 1474 – Firenze, 1515), può essere assegnata a Bartolomeo soltanto la zona alta col Cristo, gli Apostoli e gli angeli. L’intero affresco ispirò Raffaello per un modello sulla “Disputa del Sacramento“.
La ragione per cui il Baccio non portò a termine l’opera fu il fatto che, il 26 luglio 1500, egli si fece frate nel convento di San Domenico a Prato, abbandonando l’attività artistica e lasciando ogni suo avere al fratello Piero. Nell’anno successivo ritornò al convento di San Marco a svolgere la sua funzione da semplice religioso.
Il ritorno all’arte e i rapporti con Raffaello
Il frate smise di dipingere per ben quattro anni ma poi, stimolato dal priore del convento che “facesse qualche cosa di pittura”, nel 1504 fece ritorno all’ “Arte”, costituendo un piccolo Studio nello stesso convento.
Essendo frate, tutti gli introiti relativi alle sue opere andavano a finire nelle casse dell’istituzione, da cui al frate artista veniva concesso il rimborso i costi di produzione, colori, pennelli, trattamento delle tavole, oli ed altri strumenti.
Il 18 maggio 1504 gli fu commissionata, da Bernardo del Bianco, la pala con l’ “Apparizione della Vergine a san Bernardo” (attualmente custodita alla Galleria degli Uffizi a Firenze), per la cappella di famiglia nella Badia Fiorentina. A proposito di questa pregiata tavola ancora Vasari scriveva: “Un non so che di celeste che resplende in quella opera, a chi la considera attentamente, dove molta diligenza et amor pose”. Da documentazioni certe si ricava che la composizione fu portata a totale compimento nel 1507, dopo che il commissionario ebbe saldato tutte le dilazioni arretrate non ancora pagate.
Nel 1504 Fra’ Bartolomeo conobbe il giovane Raffaello Sanzio che in quell’anno si stabilì a Firenze per studiare le novità di Michelangelo e Leonardo. Lo stesso Vasari ricorda la stretta amicizia tra i due pittori: “insegnò [parla di Raffaello] i termini buoni della prospettiva a fra’ Bartolomeo; perché, essendo Raffaello volonteroso di colorire nella maniera del frate e piacendogli il maneggiare i colori e lo unir suo, con lui di continuo si stava”. La reciproca ed efficace influenza tra i due artisti è una delle materie più articolate relativa agli studi sul soggiorno di Raffaello a Firenze. Si sa per certo che gli scambi culturali tra i due furono reciproci: Raffaello apprese dal frate una più moderna e pacata monumentalità, mentre Baccio rimase affascinato dalla notevole misura classica del Sanzio e dal suo cromatismo, ardente, equilibrato ed elegante, nonché dalle raffinate strutture compositive, dall’efficace luminosità e dal movimento. La misura di questi scambi, più o meno pendente verso l’uno o l’altro artista, è ancora argomento di accese discussioni fra gli studiosi.
Il soggiorno veneziano e i grandi capolavori
Nei primi mesi del 1508 Fra’ Bartolomeo si recò a Venezia per concordare, con i frati domenicani di San Pietro Martire a Murano, su una raffigurazione di un “Dio Padre in gloria tra le sante Maria Maddalena e Caterina da Siena”.
Tale circostanza fu per l’artista una preziosa occasione per un’ulteriore integrazione al proprio stile con le novità della pittura veneziana del Giorgione (Castelfranco Veneto, 1478 – Venezia, 1510) e del Giambellino (Venezia, 1433 circa – Venezia, 1516), che lasciarono segni indelebili nella sua coloristica.
Problemi con i pagamenti imposero al pittore di lasciare Venezia portandosi con sé la pregiata tavola, che pervenne poi a Lucca. Sempre in questa città, nell’autunno del 1509, con la collaborazione dell’Albertinelli, realizzò la pala della “Madonna col Bambino tra i santi Stefano e Giovanni Battista” per l’Opera del Duomo.
Da documentazioni certe si ricava che il 26 novembre 1510 al Baccio fu commissionata una pala per la Sala del Consiglio di Firenze (attualmente custodita nel Museo di San Marco): “gli fu da Piero Soderini allogata la tavola della sala del consiglio, che di chiaro oscuro da lui disegnata ridusse in maniera ch’era per farsi onore grandissimo nella quale sono tutti è protettori della città di Fiorenza, e que’ Santi che nel giorno loro la città ha avute le sue vittorie; dov’è il ritratto d’esso fra’ Bartolomeo fattosi in uno specchio”. In questa pregiatissima tavola, non portata a compimento, si respira l’influenze della pittura raffaellesca (Madonna del Baldacchino).
Nel 1512 realizzò, ancora in collaborazione con l’Albertinelli, per la Cattedrale di Besançon, la “Pala Ferry Carondelet”. Sempre in quell’anno il governo fiorentino fece dono a Jacques Hurault de Cheverny (1417-1517), l’allora vescovo di Autun, nonché ambasciatore del re di Francia, del “Matrimonio mistico di santa Caterina da Siena” (attualmente custodito al Louvre) realizzata nel 1511e firmata con la scritta “Orate Pro Pictore MDXI Bartholom Floren”. In sostituzione di questo dipinto, eseguì un’altra versione, abbastanza simile, in San Marco, “nella quale sono alcuni fanciulli in aria che volano tenendo un padiglione aperto, […….] sono molte figure in essa intorno a una Nostra Donna tutte lodatissime e con una grazia et affetto e pronta fierezza vivaci. […] Fecevi innanzi, per le figure principali, un San Giorgio armato, che ha uno stendardo, in mano, figura fiera, pronta, vivace e con bella attitudine. Èvvi un San Bartolomeo ritto, che merita lode grandissima insieme con due fanciulli che suonano uno il liuto e l’altro la lira”.
Il soggiorno romano
Nel gennaio del 1513 Fra’ Bartolomeo interruppe la collaborazione Mariotto Albertinelli e subito dopo si trasferì a Roma per evadere la committenza di fra Mariano Fetti, relativa alle raffigurazioni dei Santi Pietro e Paolo (attualmente nella Pinacoteca Vaticana): “non gli riuscì molto il far bene in quella aria [si parla di Fra’ Bartolomeo], come aveva fatto nella fiorentina, atteso che fra le antiche e moderne opere che vide, et in tanta copia, stordì di maniera che grandemente scemò la virtù e la eccellenza che gli pareva avere, deliberò di partirsi: e lasciò a Raffaello da Urbino che finisse uno de’ quadri il quale non era finito; che fu il San Piero il quale, tutto ritocco di mano del mirabile Raffaello, fu dato a fra’ Mariano”.
Ad onor del vero si tratta di dipinti in cui la valenza mistica – certamente grandiosa – dei personaggi in essi raffigurati è più che mai suprema, in un’altissima resa cromatica dell’atmosfera e della paesaggistica. Secondo il Vasari, per l’artista, il fatto di aver messo a confronto diretto le proprie opere con quelle di Raffaello e Michelangelo in Vaticano, lasciò in lui forti turbamenti. Infatti nelle composizioni immediatamente successive al ritorno da Roma lo stile del frate si chiuse temporaneamente su sé stesso, allentandone forza cromatica ed energia innovativa.
Nel 1517, anno della sua morte, egli portò a compimento l’affresco del “Noli me tangere” commissionato dal convento di Pian del Mugnone, l’ultimo suo capolavoro. Secondo Vasari Fra’ Bartolomeo, assai goloso di frutta, morì per un’indigestione di fichi. Dopo le alte ed ininterrotte febbri, durate quattro giorni, morì a soli quarantotto anni. Fu sepolto sepolto nel convento di San Marco.
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