Biografia e vita artistica di Rosso Fiorentino
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La Pala dello Spedalingo per la chiesa di Ognissanti
Nel 1518 all’artista fu affidata un’importante commissione, proveniente da Leonardo Buonafede, rettore dell’ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, per la chiesa di Ognissanti. Si trattava della “Pala dello Spedalingo” (titolo derivato dal ruolo di “rettore” del committente, per l’appunto, “spedalingo”).
L’opera, già in avanzato stato di esecuzione ma non ancora portata a compimento – nonostante l’originalità delle scene, con una ben articolata struttura compositiva tendente a chiudersi verso il centro – non piacque al committente poiché, come riportato dal Vasari, il pittore enfatizzava le fisionomie “crudeli e disperate” delle figure. La minaccia del rifiuto, sempre secondo lo storico aretino, avrebbe poi indotto l’artista a smorzare i toni espressivi normalizzandone l’aspetto finale.
Tuttavia, nonostante la risoluzione della controversia e l’accettazione dell’opera da parte del Buonafede (si trattò anche di una riduzione di prezzo, poi ottenuta), la pala venne destinata a una piccola chiesa di provincia [Marchetti Letta, cit., p. 29].
Negli stessi anni il rosso realizzò anche una pala (oggi andata perduta) di cui rimane un frammento con la raffigurazione dell’ “Angiolino musicante”, oggi a agli Uffizi, e l’ “Allegoria della Salvezza” del Lacma di Los Angeles, dove le figure risultano con espressioni insolitamente drammatiche, talvolta irrispettose [Marchetti Letta, cit., p. 29]. In quest’ultima il cromatismo generale si fa sempre più rarefatto, mentre il tratto tocca livelli espressionistici vicini alla caricatura, richiamando addirittura la pittura tedesca del Novecento.
L’arte del Rosso diventa quindi una forma di protesta verso il perfezionismo canonico della figura umana rinascimentale, una voglia di rompere con le regole accademiche, probabilmente inconscia, mirata ad un’arte più briosa, che talvolta sfocia in aspre e crudeli trasfigurazioni.
Presso Jacopo Appiani, signore di Piombino
Sin dagli inizi degli anni venti pare che il Rosso trovasse più congeniale svolgere la propria attività artistica in ambiente provinciale, sentendosi più libero di esprimere il suo rivoluzionario linguaggio figurativo, lontano da vincoli accademici dell’ufficialità fiorentina [Marchetti Letta, cit., p. 7]. A questo è doveroso aggiungere il fatto che avesse subito una condanna nel novembre 1518 che lo costringeva a risarcire una certa somma ad un suo creditore; non essendo poi in grado di pagare tale cifra fu notificato pubblicamente come insolvente in città [Natali, cit., p. 86].
Nello stesso periodo il Rosso, chiamato da Jacopo V Appiani (Piombino, 1480 – Piombino, 1545), partì alla volta di Piombino ove realizzò, da quanto viene riportato dal Vasari, una “Cappelluccia” ed un “Cristo morto bellissimo”, entrambi andati perduti. Probabilmente la pala d’altare era ubicata nella pieve di Sant’Antimo ad ornamento dell’altare della Compagnia del Corpo di Cristo, da come si ricaverebbe da una ricevuta di pagamento all’artista da parte dei confratelli [Natali, cit., p. 86].
È risaputo che la famiglia Appiani avesse idee antimedicee e, quindi, è assai probabile che proprio da essa il pittore avesse pensato di rifugiarsi, data la propria fede politica di stampo repubblicano e – secondo alcuni studiosi – anche savonaroliano [Natali, cit., p. 86].
In questo periodo si configurano due anni bui nell’attività artistica del Rosso, periodo in cui Natali ipotizza un possibile soggiorno napoletano, in base ad una missiva del Summonte in cui si parla della presenza nella città partenopea di un certo “Ioan Baptista fiorentino” e di dipinti con dame della corte aragonese dei quali si potrebbe pensare – ma sono andati perduti, quindi non è possibile un diretto confronto – come derivati da originali del pittore [Natali, cit., p. 86] [La famiglia Appiani era abbastanza allargata e comprendeva importanti personaggi della corte napoletana; inoltre negli elenchi dell’inventario delle opere di Fontainebleau datato 1625 si cita, tra l’altro, un ritratto di Giovanna d’Aragona eseguito da Rosso Fiorentino, cit. in Natali, p. 86].
La “Deposizione” e la “Madonna e santi” nella pieve di Villamagna
Nel 1521 Rosso Fiorentino si recò a Volterra, città in cui fece vi fece ritorno anche in seguito. Laggiù realizzò la “Deposizione” e poi la “Madonna e santi” della pieve di Villamagna. La prima (1521, attualmente nella Pinacoteca-Museo Civico a Volterra) è considerata dagli studiosi come il suo capolavoro.
Essa è simile – per il tema trattato e la forma della tavola, comprese le misure – a quella di Pontormo dalla quale, tuttavia, si distacca profondamente per la concezione.
Il Rosso conferisce l’aspetto drammatico della visione rendendo angolosa la volumetria con lo sfaccettamento delle figure, con il movimento agitato dei personaggi e con l’impiego di un intenso cromatismo rosseggiante sull’uniforme stesura del cielo.
Le trasfigurazioni esasperate delle immagini sono portate all’estremo livello. Anche l’asimmetrica disposizione delle scale conferisce all’insieme un moto impetuoso, enfatizzato dall’incertezza degli appoggi degli uomini che tolgono il Cristo morto dalla croce (soprattutto quello a sinistra che appare come se, per non cadere, si aggrappasse contemporaneamente alla scala ed allo stesso Cristo), mentre la fonte luminosa, proveniente da destra, incide con vigore, creando aspri contrasti.
La “Pala Dei”, “Mosè difende le figlie di Jetro” e lo “Sposalizio della Vergine”
Tra la fine del 1521 e l’inizio del 1522 il Rosso ritornò nella città natale, dove evase le sue ultime commissioni fiorentine: la “Pala Dei” (1522, attualmente alla Galleria Palatina a Firenze), lo “Sposalizio della Vergine” (1523, basilica di San Lorenzo a Firenze) e “Mosè difende le figlie di Jetro” (1522-1523 circa, già appartenente a Francesco I, donatagli dallo stesso artista [Marchetti Letta, cit., p. 7], attualmente agli Uffizi).
Trattasi di dipinti probabilmente derivati da committenze di stampo filo-repubblicano e savonaroliano, alle quali il pittore poteva accostarsi con più disinvoltura.
Vasari citò un aneddoto relativo a quel momento indicando che il Rosso era in conflitto coi frati di Santa Croce, attigui all’abitazione in cui egli viveva, a causa un “bertuccione” (grossa scimmia) capace di malefatte e ladra d’uva. Si pensa che la bertuccia fosse stata scelta dall’artista come modello per il viso animalesco nella “Deposizione” conservata nella chiesa di San Lorenzo a Sansepolcro [Natali, cit., p. 141].
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