Scuole venete del Medio Rinascimento: come in quasi tutti i periodi della storia dell’arte, Venezia è il centro nevralgico e di irradiazione della cultura e dell’arte, la cui influenza si ripercuote con forza in tutta la regione veneta, arrivando a toccare città appartenenti alla Lombardia come Bergamo e Brescia.
I pittori veneti del Medio-Rinascimento
Iacopo Nigretti
Iacopo Nigretti (1480-1528), meglio conosciuto come Palma il Vecchio, di origine bergamasca, si stabilisce nella città lagunare.
La sua pittura è fatta da un cromatismo limpido ed ancora appartenente alla maniera quattrocentesca, derivata dagli insegnamenti del Bellini, suo maestro.
Le sue composizioni si giocano in vaste stesure, su voluminose forme, dando risalto ad opulenti figure, alle quali conferisce a suo modo una bellezza (generalmente femminile) radiosa e smagliante, seppur puramente esteriore.
Tra le sue opere più importanti ricordiamo la “Giuditta” (Uffizi, Firenze), il “Ritratto di donna” (Galleria di Berlino) ed il “Concerto campestre” (collezione Landsdowne, Londra).
Palma il Vecchio
Palma il Vecchio è anche un abilissimo ritrattista e realizzatore di ridondanti pale d’altare (tra queste “la Vergine col Bambino fra due santi”).
Il suo grande capolavoro rimane “Santa Barbara, San Domenico e San Sebastiano” (Santa Maria Formosa a Venezia).
Giovanni Busi detto il Cariani
Giovanni Busi detto il Cariani (1509-1547, date incerte), di origine bergamasca ed allievo del Bellini e del Nigretti, nella sua pittura appesantisce le forme e corregge il cromatismo dei suoi maestri, conferendogli una valenza paesana.
Nella realizzazione delle pale d’altare, le sue composizioni appaiono alquanto allegre, ma riesce a conferire quel calore umano ai contesti generali con una certa dose d’intimità familiare.
Lorenzo Lotto
Lorenzo Lotto (1480-1556) è un veneziano dallo spirito tempestoso che sente il bisogno di vagare per i vari centri d’arte. Immancabili sono i viaggi a Roma, Bergamo e nelle Marche. (Vai al collegamento sopra per opere, biografia e critica).
L’artista è talvolta riconosciuto come “spirito romantico”, per la forte sensibilità ed il suo immancabile turbamento caratteriale, nonché per lo stile di vita che lo porta a girovagare per tutta la penisola.
Lorenzo Lotto nasce intorno al 1480 a Venezia, ma la sua attività artistica si svolge prevalentemente nella regione lombarda, negli ambienti romani e nelle zone delle Marche.
Sebastiano del Piombo
Fra Sebastiano Luciani, meglio conosciuto come Sebastiano del Piombo (1485-1547), è stato allievo del Bellini e del Conegliano, ma sente molto gli influssi del Giorgione sia nel cromatismo che nella vastità delle forme.
Non è esente neanche agli influssi di Fra’ Bartolomeo che gli infonde il senso della maestosità e del monumentale, come testimonia l’opera “San Bartolomeo e San Sebastiano” a San Bartolomeo di Rialto a Venezia e la tavola di “San Giovanni Crisostomo”, dove le figure vengono composte con un caldo cromatismo ed inserite in una luminosa atmosfera con sfumature dettate non dalla ragione ma dal sentimento.
L’influsso del Giorgione lo accompagnerà per tutta la sua vita artistica, anche quando, negli ultimi anni sentirà l’attrazione della pittura di Raffaello (la fornarina degli Uffizi ed il Cardinale Antonio del Monte custodito nella Galleria di Dublino). Sebastiano del Piombo risulta essere il pioniere – fra i veneti – dell’armonizzazione nel cromatismo e nella plasticità.
Bonifazio Depitati
Bonifazio Depitati (1487-1553), di origine veronese e di formazione palmesca, ama profondamente il Tiziano ed il Giorgione.
La sua pittura è ricca di colore e plasticità e, seppur derivata dalle sacre tematiche dei due grandi Maestri (prevalentemente dal Giorgione), riesce a trasformare quest’ultime inserendole in piacevoli contesti campestri delle varie vivaci campagne venete.
Paris Bordone
Paris Bordone (1500-1571), di origine trevisana, ha una pittura tutta giocata sugli effetti di cromatismo portati quasi all’esasperazione con carnati alquanto accesi e panneggio marezzato.
Egli ama il Giorgione ed il Lotto, i cui influssi si evidenziano rispettivamente nella ritrattistica e nella pittura sacra, sempre però con le sue caratteristiche trasfigurazioni cromatiche.
A questo proposito si ricordano le opere a temi giorgioneschi (“Amanti” a Brera, Milano e “Nutrice di casa Medici” a Palazzo Pitti, Firenze) e quelle ad impeto lottesco (pala nella Galleria Tadini a Lovere).
Giovanni Antonio da Pordenone
Giovanni Antonio da Pordenone (1483/84-1539) ama la pittura di Tiziano, del Giorgione e del Palma, che trasfigura cromaticamente con un’impetuosità, spesso squilibrata.
Più tardi si orienterà verso Raffaello e Michelangelo, ma i suoi colori rimarranno infuocati e le figure in esasperato movimento (decorazione realizzata nella cappella del duomo di Treviso con l’Adorazione dei magi, la Sibilla e l’Eterno fra gli Angeli).
Anche le pale d’altare – escluse le prime – risultano essere alquanto declamatorie, macchinose nella forma (l’Annunciazione in Santa Maria degli Angeli a Murano) e talvolta cariche di echi romani (Gli sportelli d’organo per la chiesa di San Rocco con San Rocco e San Martino).
Bernardino Licinio
Bernardino Licinio (1511-1549) di Bergamo, di formazione pordenoniana – tanto da essere stato per un certo tempo confuso con lo stesso Pordenone – ha una pittura un po’ eclettica (un prodotto tipico di ambienti veneti) ispirata al Giorgione, al Palma ed al Bonifazio.
Il Licinio è soprattutto famoso per i suoi ritratti (dama col ritratto del marito, al Castello sforzesco di Milano).
Per la provincia veneziana è questo un periodo nel quale il mirabile mondo del colore incomincia a subire qualche piccola crepa, facendo spostare alcuni importanti artisti dal Veneto a Roma.
Tra questi figurano Francesco Torbido detto il Moro (1482-1562), dalla pittura con evidenti accenti giorgioneschi e Giovanni Caroto, che si recano nella capitale nel momento in cui Giulio Romano incomincia a divulgare la tendenza raffaellesca da Mantova.
Il Moro rimarrà incantato anche dalla pittura michelangelesca. Non a caso, poco prima, c’era stato un consistente flusso di scultori verso Roma, per ammirare le monumentali opere che venivano create dai grandi artisti.
Girolamo del Santo, Domenico Campagnola, Giovan Francesco Caroto e altri
Alcuni pittori rimangono fedeli alla pittura tizianesca, tra i quali Girolamo del Santo (1485/90-1561), artista attivissimo di cui nulla si conosce sulla sua prima formazione, e Domenico Campagnola (1500?-1564), entrambi attivi a Padova.
Anche Giovan Francesco Caroto, fratello e maestro di Giovanni, preferisce continuare ad operare nel Veneto, dove insieme a Paolo Morando detto il Cavazzola (1486?-1422), rappresenta la tradizione locale della città di Verona.
Il Cavazzola sente anche gli influssi della pittura raffaellesca, e per questo motivo viene ricordato come il Raffaello veronese.
Giovanni Girolamo Savoldo
A Brescia e dintorni l’ambiente artistico è pressoché uguale a quello veneziano. Qui vi opera Giovanni Girolamo Savoldo (1480-1548) di formazione giorgionesca, la cui pittura, pur avvicinandosi a quella del Giorgione nella realizzazione di luminosi notturni (Maddalena, Galleria Nazionale di Londra e “Visione di San Matteo”, al Metropolitaneo di New York), risulta alquanto astratta e con tendenze lombarde.
Il Savoldo impiega una coloristica fatta da ricche gamme argentine (“santi Eremiti” all’Accademia di Venezia) e da forti contrasti di chiaroscuro, che saranno molto apprezzati dal Caravaggio.
La sua prima formazione è di stampo fiorentino, ma subito dopo viene attratto dalla pittura veneziana, della quale però, non accetta i caldi accordi cromatici.
Tra le sue opere si ricordano la pala d’altare di Brera, dove si evidenzia qualche residuo accenno della sua formazione fiorentina, il meraviglioso “Arcangelo con Tobiolo” (Galleria Borghese, Roma) e l’Adorazione dei pastori nella Galleria Sabauda di Torino.
Girolamo Romani
Girolamo Romani, bresciano, meglio conosciuto come il Romanino (1485-1566), compie la sua prima formazione artistica sotto la guida del Ferramola.
Il suo amore per il Giorgione lo porta però ad una pittura dalla quale traspaiono tutte le caratteristiche di questo grande artista (Pala di San Francesco a Brescia e la Pala al Museo di Padova).
Più tardi aggiungerà ai toni scuri gamme tendenti al verde, e la sua pittura si avvicinerà più al Tiziano, come testimoniano gli affreschi con “Le storie di Cristo” (nel duomo cremonese) e ad altri due grandi artisti come il Lotto ed il Palma.
La ricchezza immaginativa e l’amore per la bellezza e l’eleganza, che sono le caratteristiche principali del Romanino, lo rendono sfarzosamente decorativo sia nelle tematiche religiose che nella ritrattistica.
Questo artista lascia a Trento importanti testimonianze della sua pittura (Affreschi al Castello) e consegna alla sua terra, rilevanti capolavori come “I santi Faustino e Giovita” nella Galleria Tosio e Martinengo, “Lo Sposalizio” ed una serie di affreschi (“la Resurrezione di San Lazzaro”, “la cena in casa del fariseo”, “San Giovanni e San Matteo”) in San Giovanni Evangelista.
Bemo, Meloni, Campi, Gambara, Dosso
Meritano di essere accennati anche alcuni tra i suoi allievi più importanti, quali i cremonesi Gianfrancesco Bembo e Altobello Meloni (coadiuvanti agli affreschi del duomo nella stessa città), Francesco Prato da Caravaggio, Girolamo Muziano e Lattanzio Gambara da Brescia.
Un artista che fra questi spicca in modo particolare è Giulio Campi (1500-1572), celebre per il suo eclettismo ed amante di grandi maestri come il Tiziano, il Dosso, il Correggio, Giulio Romano e Pordenone.
Vincenzo Civerchio
Di Vincenzo Civerchio si ricorda la pala d’altare nella Cappella di Corpus Domini, che di fatto fa parte della produzione del “Primo Rinascimanto” della Scuola bresciana.
Alessandro Bonvicino e Giovan Battista Moroni
Alessandro Bonvicino, meglio conosciuto come il Moretto (1498-1555), è uno dei pittori più famosi della Scuola bresciana.
Suoi sono la serie di affreschi con “Raccolta della mamma”, “San Marco, San Luca e i profeti” e la decorazione della lunetta sopra l’altare nella Cappella di Corpus Domini.
Il Moretto ha un’indole calma e ponderata, una grande conoscenza del disegno che spesso lo porta ad interpretazioni un po’ fredde e ama la pittura dei veneti.
Il suo cromatismo, fatto di toni argentini, perlacei e talvolta plumbei, lo avvicina al Savoldo ed ai pittori lombardi. Egli è anche un abile ritrattista (Gentiluomo nella National Gallery di Londra).
Giovan Battista Moroni
Uno dei suoi allievi più importanti è il bergamasco Giovan Battista Moroni (1523–1578) famoso per i suoi ritratti, ma poco convincente nella realizzazione di pale d’altare.
Tra i suoi ritratti si ricordano “il Gentiluomo” e “Pace Rivola Spino”, entrambi custoditi all’Ambrosiana di Milano, “Antonio Navagero”, custodito a Brera e il “Vecchio gentiluomo” alla National Gallery di Londra.
(Fonti delle ricerche: “L’arte italiana” di Mario Salmi)