Ultimo periodo artistico di Pinturicchio
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Le opere realizzate presso Pandolfo Petrucci
La fama di Pinturicchio , ormai arrivata ai massimi livelli, gli aveva dato modo di manifestare tutta la sua cultura sul mondo classico, per cui gli venne affidato dal ricchissimo Pandolfo Petrucci (Siena, 1452 – San Quirico d’Orcia, 1512), “Signore di fatto della città” (in contrapposizione con il potere della Signoria), l’incarico per una grandiosa opera decorativa nel suo palazzo (Palazzo del Magnifico) in via de’ Pellegrini a Siena.
La decorazione è considerata come una tra le più importanti del genere in tutta la Toscana [Acidini, cit., pag. 237]. Si trattava di un ciclo di affreschi nel salone principale per il quale vennero scelti i più affermati artisti presenti in quel periodo a Siena (tra cui Luca Signorelli e Girolamo Genga), che li portarono a compimento nel 1509. Nella grande sala (6, 74 x 6,29 m.), si narravano otto episodi sulle pareti (due per ognuna di esse) e scene a soggetto mitologico nei comparti del soffitto ispirate alla sala della Volta dorata della Domus Aurea.
Gli affreschi erano attorniati da una struttura lignea, dai pregiati intagli della nota bottega dei Barili, che correva ai bordi delle pareti, mentre la pavimentazione era costituita da piastrelle di maiolica [Acidini, cit., pag. 237].
Qualche anno dopo, a pochi mesi dalla morte di Pandolfo Petrucci, avvenuta nel 1512, a partire dalla cacciata dalla città del figlio Borghese, la pregiata decorazione andò via via disperdendosi. Attualmente soffitto si trova, ricomposto, nel Metropolitan Museum di New York mentre gli affreschi recuperati sono custoditi – divisi – in vari musei del mondo, di cui due di Pinturicchio alla National Gallery di Londra (tra questi c’è il “Ritorno di Ulisse“) [Acidini, cit., pag. 238].
Nonostante i danni subiti nella stesura pittorica, rimangono oggi indenni molti dettagli che permettono di valutarne l’alto pregio, come, ad esempio, l’arco e la custodia delle frecce di Ulisse appesi al telaio, i monili e i preziosi panneggi, nonché il vivo naturalismo che si respira nella scena con l’ancella e il gatto in primo piano [Acidini, cit., pag. 299].
Presso la famiglia Petrucci sono probabilmente da ricondurre anche i disegni di Pinturicchio per la decorazione del cassone con gli stemmi Piccolomini e Petrucci, attualmente custoditi nel Museo Civico di Torino. Tra le opere che l’artista realizzò a Siena si ricordano anche la “Madonna della Melagrana“, ispirata all’ancona dei Fossi, ed il tondo con la “Sacra Famiglia con san Giovannino”, entrambe custodite nella Pinacoteca Nazionale di Siena.
Altri importanti soggiorni romani e le ultime opere dell’artista
L’ultima grandiosa committenza affrontata dall’artista è quella nella basilica di Santa Maria del Popolo a Roma. Qui venne chiamato da papa Giulio II (Albisola, 1443 – Roma, 1513) per la decorazione della volta del coro (Incoronazione della Vergine, Evangelisti, Sibille e Dottori della Chiesa).
I lavori furono portati a compimento nel 1510, ma è probabile che l’artista si trovasse già da due anni nella capitale, quando Giovan Battista Caporali (Perugia, 1476 – Perugia, 1560), solitamente suo assistente nelle varie grandi committenze, nel suo commento a Vitruvio, parlò di una cena fatta insieme a Perugino, Signorelli e lo stesso Pinturicchio in casa del Bramante [Acidini, cit., pag. 241].
L’impianto della volta del coro, che si presenta col quadrato doppio, è tratto da quello della Villa Adriana, come testimonia un disegno di Giuliano Giamberti da Sangallo (Firenze, 1445 – Firenze, 1516) e dai primi disegni di Michelangelo datati 1508 (custoditi a Londra e Detroit) e impiegati per la decorazione della volta della Cappella Sistina.
Secondo gli studiosi di storia dell’arte, tra gli artisti che collaborarono in questa grandiosa impresa ci furono G. B. Caporali, Antonio da Viterbo detto il Pastura (n. metà XV secolo – m. tra il 1509 e il 1516) e probabilmente Manni Giannicola di Paolo (Città della Pieve 1460-1544). Quest’ultimo fu anche collaboratore di Perugino [Acidini, cit., pag. 242].
L’ultima grande opera a noi pervenuta di Pinturicchio, riferibile al triennio 1510-1512, è la “Madonna in gloria tra i santi Gregorio Magno e Benedetto”, realizzata per la congregazione degli Olivetani e destinata alla chiesa di Santa Maria di Barbiano a San Gimignano, attualmente custodita nel Museo Civico locale. È probabile che il successo del dipinto dovette far seguito ad un’altra commissione, da parte della stessa congregazione, per la chiesa di Sant’Anna dei Lombardi a Napoli con la pala dell’ “Assunzione della Vergine”, attualmente custodita nel Museo di Capodimonte.
Tra i suoi ultimi capolavori non si può dimenticare la tavoletta con l’ “Andata al Calvario“, realizzata nel 1513, attualmente custodita nelle collezioni Borromeo a Isola Bella.
La piccola tavola, di 51 x 42,5 cm., attorniata da una cornice a meandri, comprende un cartiglio dipinto ove si legge: “Questa opera è di mano del Pintoricchio da Perugia M.CCCCC.XIII”. Qui, ove l’esuberanza decorativa è ai massimi livelli e con un andamento poco scorrevole, non viene rispecchiata affatto la pittura dell’ultima fase di Pinturicchio bensì lo stile degli anni Novanta, come testimonierebbe il raffronto con le gracili figure rappresentate nelle volte di Osiride ed Iside dell’Appartamento Borgia. A tal proposito alcuni studiosi la considerano come un campionario in cui appaiono i motivi più amati di Pinturicchio, raccolti fino agli ultimi momenti della sua vita artistica.
Il Pinturicchio passò gli ultimi momenti della sua vita in solitudine, notoriamente tradito dalla moglie che lo abbandonò per andare a vivere con Girolamo di Polo detto Paffa, e dimenticato dai figli. Il 7 maggio 1513, consumato dalla malattia ed ormai prossimo a morire, dettò testamento, che volle modificare alcuni mesi dopo a favore della moglie.
Si dice che essa, che aveva fatto sposare la figlia Clelia con il suo amante, per paura di qualche ripensamento, permetteva solo ad alcune persone di sua fiducia di far visita al marito malato, come testimoniano gli scritti Sigismondo Tizio, suo biografo, rettore della parrocchia dei Santi Vincenzo e Anastasio, luogo in l’artista visse l’ultima fase della sua vita. Fu sepolto nella stessa chiesa senza onori né memorie. Soltanto dal 1830 appare l’iscrizione che lo ricorda [Acidini, cit., pag. 243].
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