Vita artistica e biografia di Édouard Manet
Édouard Manet è un grandissimo artista, abile ed intelligente, con eccezionali doti artistiche e con un’ottima educazione, grazie anche ai lunghi periodi passati nelle stanze del Louvre.
Egli è capace di reintegrare, con grande capacità, linguaggi moderni con quelli della grande tradizione antica, senza però essere capito né dalla critica ufficiale né dalle istituzioni del mondo dell’arte del suo periodo: ricevendo soltanto derisione ed incomprensione.
La sua rivoluzionaria tecnica pittorica che non viene affatto accettata dai “più” e dai tradizionalisti, i quali non ammettono che una raffigurazione possa essere impostata a macchie di colore, viene invece vista di buon grado dai più giovani: Renoir, Sisley, Monet, Cézanne.
Manet fino all’età di 26 -27 anni ha una forte repulsione a recarsi sul posto per dipingere e preferisce lavorare nel suo atelier, dove la calma e la tranquillità lo aiutano nella meditazione. Soltanto dopo aver conosciuto Monet, e stretto con lui una vera amicizia, fa una brusca virata, rimanendo prima meravigliato, poi affascinato dal fiume in piena che uscendo dal suo pennello investe la tela a getto continuo, senza bisogno di tanti ragionamenti.
Egli è però ancora impreparato alla tecnica puramente impressionista e le sue opere non nascono direttamente come quelle di Pissarro, Monet, Sisley e Renoir. Manet sente ancora il bisogno di fare un’opera ragionata e non riesce a scrollarsi di dosso “l’estensione preparatoria” per un giusto ed equilibrato impianto di composizione.
Terminata accuratamente la fase preparatoria, ecco che Manet diventa Impressionista a tutti gli effetti, tracciando vigorose macchie con pennellate decise e gesti naturali, dimenticando i suoi apprendimenti dagli antichi Maestri; la sua tavolozza diventa pulita, semplice, brillante e libera dalle miriadi di ricercate sfumature, il suo tocco diviene il prodotto di una simbiosi con la natura in cui è immerso. Tutto l’effetto d’insieme risulta di una gradevolissima brillantezza che supera la poesia.
Questo è il periodo in cui la pittura impressionista è molto contrastata: dal pubblico, dalla critica ufficiale e dagli stessi artisti, che sentendosi minacciati in prima persona da questo nuovo modo di dipingere, reagiscono nelle più svariate maniere. Courbet invece, che è sempre stato vicino a Edouard, lo invita a togliersi dalla mente anche quella preparazione programmatica e sistematica degli “à-plats” che verrà gradualmente diminuita fino alla completa scomparsa, anche e soprattutto con l’aiuto di giovani “stravaganti” pittori come Monet, Pissarro e Sisley.
Questa opposizione alla pittura impressionista, è sentita fortemente da Manet, più di ogni altro artista del gruppo, perché lo colpisce in una fase di delicata transizione: si sente pervaso dallo scoraggiamento e dall’umiliazione, ma quando ritorna nel suo Atelier per ritoccare alcune opere, rimane sorpreso da quello splendore solare, da quella miriade di riflessi colorati della Senna, da quelle figure piene di vita, da quei rumori, da quei silenzi e da tutto il movimento, in una meravigliosa armonia. Ed ecco ….. che invece di meditare naufraga in un dolce e seppur sempre malinconico paesaggio.
Cenni biografici su Manet (1832 – 1883)
Édouard Manet nasce da una famiglia benestante: il padre, Auguste, è un giudice e sua madre è la figlia di un illustre uomo diplomatico.
Frequenta nell’anno 1839 il Collège Rollin ma con scarsi risultati, perché è più portato per l’arte della pittura. Egli è fortemente incoraggiato in questa sua attitudine artistica dallo zio materno che lo accompagna spesso a visitare il museo del Louvre e che gli paga il maestro per le lezioni di disegno.
Il padre si oppone quotidianamente e con forza alla carriera artistica del figlio e sceglie per lui la strada della marina. Fortunatamente Édouard Manet non riesce a superare la prova d’ammissione all’accademia navale, ma nonostante tutto imbarca con la mansione di mozzo su una nave mercantile. Con la stessa nave “Le Havre et Guadalupe” nel 1848 parte per Rio de Janeiro.
Dopo alcuni mesi di vita marittima sbarca e riprova a sostenere l’esame, anche questa volta senza successo. A questo punto il padre, vedendo le insistenze di Edouard, deve cambiare idea e gli permette di intraprendere la carriera artistica. Lo consiglia perciò di iscriversi all’École des Beaux-Arts, la via più sicura e tradizionale per studiare le varie forme dell’arte, ma il figlio si rifiuta e decide di studiare con l’artista, ritrattista e pittore storico, Thomas Couture, uomo di grande successo ed esponente del movimento classicista.
Manet, anche essendo di parere diverso dalle impostazioni di base del suo maestro, porta a termine il corso di sei anni (dal 1850 al 1856), acquisendo uno stile marcatamente tradizionale; infatti la sua rivoluzione non riguarda la tecnica impiegata, ma la scelta dei soggetti da rappresentare. Lo stesso anno apre uno studio d’arte con il pittore Albert de Balleroy.
Nel 1850 inizia una relazione amorosa con Suzanne Leenhoff, sua maestra di pianoforte, dalla quale due anni più tardi avrà un bambino di nome Léon-Édouard Koëlla. Molto probabilmente Manet è il padre, anche se non vi sarà mai nessun riconoscimento ufficiale. I due si uniranno in matrimonio soltanto nell’anno 1863.
Durante questo periodo Edouard inizia a viaggiare per tutta l’Europa (Germania, Olanda, Austria, Spagna ed Italia), copiando le opere ammirate nei principali musei delle capitali. Nel 1858 fa amicizia con il poeta Charles Baudelaire (1821-1867) che l’anno precedente aveva avuto dei guai con la giustizia a causa di alcune sue poesie valutate oltraggiose. Due anni dopo conosce la giovane pittrice e modella Berthe Morisot, la quale diverrà poi sua cognata sposando suo fratello Eugène e diventerà protagonista di una sua celebre opera “Le balcon”.
Intorno alla fine del 1862 il padre del pittore muore e il grosso capitale che eredita gli consente l’indipendenza economica per tutto il resto della sua vita e la possibilità di dedicarsi all’arte.
È in questo periodo che realizza la sua opera più controversa “Colazione sull’erba” (“Le déjeuner sur l’herbe” 1862-1863, olio su tela, 208×264 cm., Musée d’Orsay, Parigi) che espone in una sua mostra personale alla Galerie Martinet ed anche al Salon des Refusés. Il quadro viene giudicato alquanto osceno, mentre Baudelaire prende le sue difese. Nel 1865 il quadro “Olympia” viene presentato al Salon, ma viene accolto dalla critica in modo ancor più negativo. In questo stesso anno decide di andare in Spagna e dopo un breve periodo ritorna in Francia.
Nel 1867 la sua personale all’Esposizione Universale viene criticata aspramente ed è oggetto di scherno, ma cresce la sua influenza nel mondo dei giovani artisti e dei nuovi scrittori. Al Café Guerbois fa amicizia con Émile Zola, Claude Monet, Pierre-Auguste Renoir ed Alfred Sisley. Da questi incontri vengono fuori tutti i principi del movimento che sconvolgerà il mondo della pittura: “l’Impressionismo”.
Nel 1869 raggiunge Londra dove conosce Eva Gonzales, l’unica sua allieva. L’anno seguente scoppia la guerra franco-prussiana ed Edouard si arruola nella Guardia nazionale con il grado di sottotenente.
Al termine della guerra si forma nella capitale la cosiddetta “banda Manet”, che inizia con l’allestire una mostra collettiva nel 1874 nello studio del fotografo Nadar. Edouard non parteciperà mai a nessuna delle esposizioni impressioniste.
Nel 1879 compaiono i primi segni dell’atassia locomotoria, malattia che lo porterà alla morte. Nell’ultimo periodo della sua vita comincia ad ottenere le sue prime soddisfazioni: nel 1881 viene premiato al Salon ed insignito della Legion d’Onore, uno dei più nobili riconoscimenti della Repubblica francese. Nei primi mesi del 1883, tentando di fermare il progredire della malattia, subisce l’amputazione della gamba sinistra; l’intervento fallisce e il pittore muore il 30 aprile.
Édouard Manet, Souvenirs, pp. 15-16, Paris, Laurens 1913 di Antonin Proust
A quell’epoca, Édouard Manet era di corporatura media, molto muscoloso. Aveva un’andatura cadenzata cui il passo dinoccolato conferiva una particolare eleganza. E per quanto esagerasse volutamente quest’andatura e affettasse la parlata strascicata dei ragazzi parigini, non era mai volgare. Si avvertiva la razza. Sotto una fronte larga, il naso si stagliava nettamente con la sua linea dritta. La bocca, rialzata agli angoli, era canzonatoria. Lo sguardo era chiaro : l’occhio, per quanto piccolo, aveva una grande mobilità. Quand’era molto giovane, portava gettata all’indietro una lunga capigliatura naturalmente ricciuta. A diciott’anni, era già un po’ stempiato, ma gli era spuntata la barba; i capelli estremamente fini rendevano armoniosa la fronte. Pochi uomini sono stati così seducenti. Nonostante tutto il suo spirito e la sua tendenza allo scetticismo, era rimasto ingenuo. Si meravigliava di tutto e si divertiva con niente. Per contro, tutto ciò che riguardava l’arte lo rendeva serio; su questo argomento era intrattabile. Le sue idee erano ferme, irriducibili. Egli non ammetteva ne contraddizione ne discussione. 1l breve soggiorno nei paesi assolati gli aveva suggerito una concezione che gli faceva apparire tutto semplice, cosa che Couture non capiva. Per un certo periodo, avrebbe soppresso le mezze tinte. La sua costante ricerca era volta al passaggio immediato dall’ombra alla luce. Lo entusiasmavano le masse luminose di Tiziano; i primitivi lo turbavano. « Ho orrore » mi diceva spesso « di ciò che è inutile, ma la difficoltà sta nel non vedere solo ciò che è inutile. La cucina della pittura ci ha pervertito. Come liberarsene? Chi ci renderà il semplice e il chiaro? Chi ci sottrarrà all’eccesso di decorazione? Vedi, caro amico, la verità sta nell’andare dritti innanzi a sé, senza badare a ciò che ti diranno ». Édouard Manet, Souvenirs, pp. 15-16, Paris, Laurens 1913
Édouard Manet, Etude biografique et critique, pp. 22-25. Paris. Denta. 1867 di Emile Zola
Io mi pongo dinanzi ai quadri di Manet come dinanzi a fatti- nuovi che voglio spiegare e commentare. Ciò che mi colpisce innanzitutto in questi quadri è la delicata misura nei rapporti dei toni tra di loro. Mi spiego. Alcuni frutti sono posati su un tavolo e si stagliano contro un fondo grigio; ci sono, tra i frutti, a seconda che siano più o meno ravvicinati, dei valori di colorazione che formano tutta una gamma di tinte. Se partite da una nota più chiara di quella reale, dovrete seguire una gamma sempre più chiara : il contrario dovrà succedere quando partirete da una nota più scura. È quella che si chiama, credo, la legge dei valori. Nella scuola moderna, io conosco solo Corot, Courbet e Édouard Manet che nel dipingere figure abbiano costantemente obbedito a questa legge. Le opere acquistano una straordinaria nettezza, una grande verità e fascino. Solitamente Édouard Manet parte da una nota più chiara di quella esistente in natura. Le sue pitture sono bionde e luminose, di un pallore solido e fermo. La luce cade ampia e bianca, rischiarando dolcemente gli oggetti. Non c’è la minima forzatura; personaggi e paesaggi sono immersi in una specie di chiarore leggero e gaio che riempie tutta la tela. Ciò che mi colpisce in un secondo momento è una conseguenza inevitabile dell’esatta osservazione della legge dei valori. L’artista, posto di fronte a un qualsiasi soggetto, si lascia guidare dai suoi occhi che percepiscono questo soggetto in larghe tinte comunicanti le une con le altre. Una testa posata contro un muro non è più che una macchia più o meno bianca su un fondo più o meno grigio; e l’abito giustapposto alla figura diventa, ad esempio, una macchia più o meno blu posta a fianco di una macchia più o meno bianca. Di qui, una grande semplicità : assenza quasi totale di particolari, un insieme di macchie giuste e delicate che, a qualche passo di distanza, danno al quadro un rilievo avvincente. Insisto su questo carattere delle opere di Édouard Manet perché è dominante e ne fa ciò che esse sono. Tutta la personalità dell’artista sta nel modo in cui è organizzato il suo occhio : egli vede biondo, e vede per masse. ‘” Ciò che mi colpisce in terzo luogo, è una grazia un po’ asciutta ma incantevole. Intendiamoci, non parlo di quella grazia bianca e rosa che hanno le teste di porcellana delle bambole; parlo di una grazia penetrante e veramente umana. Édouard Manet è un uomo di mondo, e nei suoi quadri ci sono talune linee squisite, taluni atteggiamenti esili e graziosi che rivelano il suo amore per l’eleganza dei salotti. È questo l’elemento inconscio, la natura stessa del pittore. E approfitto dell’occasione per protestare contro i legami che si sono voluti vedere tra i quadri di Édouard Manet e i versi di Charles Baudelaire. So che una viva simpatia ha avvicinato il poeta e il pittore, ma credo di poter affermare che quest’ultimo non ha mai fatto la stupidaggine, commessa da tanti altri, di voler mettere delle idee nella sua pittura. La breve analisi che ho fatto del suo talento prova con quale semplicità egli si pone dinanzi alla natura : se raggruppa più oggetti o più figure è guidato nella sua scelta solo dal desiderio di ottenere delle belle macchie, delle belle contrapposizioni… Dopo l’analisi, la sintesi. Prendiamo una qualunque tela dell’artista e non cerchiamo in essa altro che quello che contiene : oggetti illuminati e creature reali. L’aspetto generale, ho già detto, è quello di un biondo luminoso. Nella luce diffusa i visi sono intagliati come a grandi fasce di carne, le labbra divengono dei semplici tratti, tutto si semplifica e si staglia sul fondo con masse possenti. La giustezza dei toni stabilisce i piani, riempie la tela di aria, da forza a ogni cosa… La prima impressione prodotta da una tela di Édouard Manet è un po’ dura e aspra. Non si è abituati a vedere delle trasposizioni così semplici e così sincere della realtà. Poi, l’ho già detto, c’è qualche elegante durezza che sorprende. Dapprima l’occhio non vede che delle tinte applicate largamente : ma subito gli oggetti si delineano e si collocano al giusto posto : dopo qualche secondo appare l’insieme vigoroso e solido, e si prova un vero piacere nel contemplare questa pittura chiara e grave, che rende la natura con una dolce brutalità, se così posso esprimermi. Édouard Manet, Etude biografique et critique, pp. 22-25. Paris. Denta. 1867