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La pittura in Italia nel Seicento ed il Barocco
I principi fondamentali della pittura barocca nascono a Roma negli ultimi anni del Cinquecento e in essi si individuano due ben distinti orientamenti: quello classico, di Annibale Carracci (1560-1609) e quello realistico, del Caravaggio (Michelangelo Merisi 1571-1610).
I centri dell’arte che fin qui sono rimasti in secondo piano, adesso incominciano ad acquistare una posizione molto importante.
Intorno a queste due diverse scelte, per tutto il Seicento e parte del Settecento, si incrociano le invenzioni artistiche e le alternative nello stile degli artisti italiani ed europei alla ricerca della combinazione di tutte le arti, di effetti illusionistici e di espressioni intensamente inerenti alla realtà di tutti i giorni ed al naturalismo.
Annibale Carracci, arrivato a Roma intorno al 1595, realizza ed elabora la decorazione della galleria di palazzo Farnese (1598-1601) secondo un’impostazione di composizione cambiata rispetto a quella della cupola di Michelangelo della cappella Sistina e sulla base di modelli figurativi ripresi da Raffaello, soprattutto dalla Farnesina.
Nel ciclo del Carracci, che descrive gli amori degli dei, entra con forza il linguaggio atmosferico e sentimentale del Correggio, filtrato da un’indagine vigile della realtà delle cose naturali, sviluppando un’esperienza che Annibale Carracci aveva già avviato a Bologna con il fratello Agostino (1557-1602) e con il cugino Ludovico (1555-1619) nell’Accademia degli Incamminati, un’istituzione artistica nata per insegnare cose concrete e nuove pur conservando intatti i legami con la tradizione del Cinquecento.
Il linguaggio poetico di Annibale è esplicitamente visibile nella ricerca di un ideale di bellezza dipendente dalla natura, ma anche armonicamente fuso con essa, in una grandezza ispirata ai modelli classici antichi e moderni. Viene allontanata la teoria del linguaggio eclettico e l’assurdo concetto di arrivare alla perfezione. Carracci attira a Roma altri artisti di carattere emiliano.
Domenico Zampieri detto il Domenichino ( 1581/2 -1641 ), molto vicino alla pittura di Ludovico Carracci, sente la tradizione raffaellesca, e impersona il versante lirico della corrente classica. Ha momenti di alto livello quando a Roma aiuta Annibale nella realizzazione degli affreschi alla Galleria Farnesiana.
Francesco Albani (1578-1660), stimato dai fratelli Carracci, viene chiamato a collaborare ai famosi cicli a Palazzo Fava e nell’Oratorio di S. Colombiano. Segue alcuni spostamenti di Annibale tra i quali quello di Roma del 1601 che durerà fino al 1614.
Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (1591-1666), sente prima l’influsso di Annibale, poi quello caravaggesco ed è in perenne evocazione malinconica dei temi antichi. Il fratello del Guercino, Paolo Antonio Barbieri, è autore di bellissimi capolavori di nature morte di stampo caravaggesco. Dello stesso linguaggio sono le opere dei nipoti del Guercino, Benedetto e Cesare Gennari.
Guido Reni (1575-1642), il più amato dai bolognesi del Seicento per i suoi ideali di bellezza classicheggiante, comprensibili da tutti, e padre di una pittura colta, raffinata, impeccabile e gradita nel tempo anche alla cultura accademica e alle committenze ufficiali.
Anch’egli segue Annibale nei suo lavori romani. Il pittore attivissimo e ricercato in tutta la penisola ha discepoli tra i quali Gianfrancesco Gessi, Michele Desubleo (origine fiamminga), Andrea Sirani con la figlia Elisabetta, il Cagnacci e Simone Cantarini, quest’ultimo il più creativo fra tutti ad interpretare il Maestro, ma con gamme cromatiche più cupe che richiamano quelle di Poussin.
Altri nomi dell’Italia settentrionale sono: Agostino Mitelli, Angelo e Michele Colonna, i Bibiena, Pietro Faccini studioso della pittura veneta e caratteristico colorista, Alessandro Triani dalle gamme cromatiche solide e vigorose, Lionello Spada, influenzato dal Caravaggio nei suoi brillanti effetti di chiaroscuro, Giovanni Andrea Donnucci detto il Mastelletta (1575-1655), franco, fluido e disinvolto colorista e Paolo Bonzi soprannominato il Gobbo dei Carracci, che si distingue con le sue nature morte.
Il giovane Caravaggio, giunto a Roma intorno al 1593 , effettua i primi esperimenti in campi antiaccademici come la natura morta e la scena di genere, mescolando valori morali a brani naturalistici di straordinaria lucidità ottica.
L’eversione del linguaggio espressivo del Caravaggio si sviluppa prepotentemente a partire dai cicli della cappella Contarelli (1597-1602?) e della cappella Cerasi (1600-01), nei quali il tema sacro è narrato in termini di bestiale e violenta realtà, evidenziata dagli spiccati contrasti di luminosità e dalla mancanza di immagini consolatorie collegate al tema religioso tradizionale, secondo un atteggiamento morale fortemente radicale e anticonformista, che ha preso la sua forma primaria nella Milano di Carlo e Federico Borromeo.
Il vero linguaggio pittorico del Caravaggio, lasciando da parte la tavolozza brillante e smaltata della prima fase, si avvia verso ricerche luministiche ancor più drammaticamente agitate e severe, divenute con il passare del tempo modelli di riferimento per molti artisti italiani e stranieri, genericamente individuati nell’etichetta di “caravaggeschi”.
La sensibilità pittorica di Caravaggio, legato allo studio del vero contro ogni regola accademica, viene vista in aperta contraddizione con quella dei Carracci, che nella ricerca dei modelli classici e rinascimentali, hanno fatto il loro punto di forza.
L’impiego violento e spregiudicato delle luci e delle ombre, capace di descrivere ambienti, immagini e sentimenti, attira l’ammirazione dei contemporanei al punto di diventare, a sua volta, “maniera”. La luce assume una valenza spirituale e stilistica allo stesso tempo, come quella razionale del Masaccio.
Del resto l’eredità di Caravaggio è molto difficile da gestire, non avendo egli avuto uno studio o una bottega, degli allievi ufficiali. Molti di coloro che si ispirano al suo linguaggio ne comprendono soltanto superficialmente la drammatica profondità, essendo attratti più dalle ambientazioni drammatiche e suggestive, dalle descrizioni crude e realistiche, che dalla tragica e sofferta umanità celata dietro quelle forme.
A Napoli, Battistello Caracciolo (1570-1637, allievo di Francesco Imparato), uno dei primi ad adottare il nuovo linguaggio e senz’altro quello con più talento, è considerato il più fedele sostenitore dei modelli del maestro. La sua pittura è improntata al tenebrismo più drammatico , con figure plastiche, in cui la luce assume maggior importanza a scapito della prospettiva. Dirige la scuola locale, che è nel periodo, fra le migliori in Italia.
Più innovativo risulta essere il ruolo di Jusepe (Giuseppe) de Ribera (detto lo Spagnoletto, Valencia 1591-1652) il quale punta, nei suoi temi, su una imitazione del reale che non tralascia neanche il grottesco e il deforme, rompendo le regole del decoro nel mostrare, con colore smagliante, la crudezza della realtà più povera e derelitta. Ha contatti diretti anche con Guido Reni e Ludovico Carracci.
L’arrivo a Napoli, tra il 1630 e il 1640, dei pittori emiliani Domenichino, Reni e Giovanni Lanfranco (1582-1647), autore degli affreschi della cappella di San Gennaro in Duomo (1634-46), determina una tendenza al classico che trova ardenti sostenitori in Massimo Stanzione (1585-1656) e Bernardo Cavallino (1616-56), giungendo alle gamme brune e tenebrose ed agli esiti più palesemente barocchi e monumentali di Mattia Preti detto il Cavalier Calabrese (Calabria 1613-99) e con Luca Giordano (1632/4-1705). Un’altra strada del linguaggio barocco romano, oltre alle altre due, viene aperta da Pietro da Cortona (1596-1669), famoso frescante nonostante il suo macchinoso linguaggio, al quale si deve la bellissima decorazione della galleria di palazzo Barberini (1632-39), dove l’allegoria storico-dinastica è unificata dal cielo aperto oltre la cornice architettonica, con la natura prepotentemente inserita nello spazio dello spettatore, mentre nel tema del Trionfo della Divina Provvidenza sono confuse storie divine con quelle mondane.
Salvator Rosa (1615-1673), versatile sia nella poesia che nella pittura, è anche incisore e sente molto l’arte veneta. Infine, la tradizione della pittura illusionistica e della quadratura trovano in Giovan Battista Gaulli (chiesa del Gesù, 1672-83) e Andrea Pozzo (chiesa di Sant’Ignazio, 1682-94) gli alfieri di una sintassi decorativa che si apre al XVIII secolo, portando con sé anche la divisione dei generi tra i quali la natura morta di tradizione olandese, la pittura di genere, tra cui le “bambocciate”, le battaglie, le marine, i paesaggi e il ritratto “da parata”.
Caravaggio (Michelangelo Merisi)
Le opere – Cenni biografici e critica
Il Caravaggio, nato a Milano 1571 e morto a Porto Ercole 1610, è il più grande innovatore della pittura italiana del Seicento.
Fin dai suoi primordi il Caravaggio va elaborando uno stile nettamente in antitesi a quello praticato dai suoi maestri e quindi in contrasto con la tradizionale scuola.
Egli cerca soprattutto di affermare, riuscendoci, un nuovo stile tutto suo, mettendosi in modo diretto davanti alla natura e riproducendola con una potenza plastica originata da un forte disegno nelle figure dei suoi personaggi, illuminati da decisi fasci di luce su fondi oscuri, gettati sapientemente sulla tela. Tra le sue opere giovanili (1590) che si ispirano alla pittura lombarda e veneziana, teniamo presente la Maddalena e il Riposo nella fuga in Egitto (Galleria Doria a Roma), la Suonatrice a Leningrado e la Medusa nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
Degli anni successivi al 1590 ricordiamo le due ampie tele che raffigurano la Vocazione e il Martirio di S. Matteo, composizioni di tale potente vigore e bellezza quale non si era vista dopo Michelangelo Buonarroti. A questo periodo appartengono il “Canestro di frutta attualmente esposto nella Pinacoteca Ambrosiana e la Cena in Emmaus a Londra, la Madonna dei Pellegrini custodito in S. Agostino a Roma e tanti altri ancora. Dal 1602 al 1604 dipinge la celebre Deposizione della Galleria Vaticana. La sua vita è sempre inquieta e turbolenta.
Frammento d’arte: Risulta che il Caravaggio abbia dipinto oltre che su varie superfici, anche su lamine di rame, come fece Guido Reni.
Caravaggioe annibale Carracci sono grandissimi pittori innovatori,ma farli rientrare nella pittura barocca è una forzatura, sicuramente la grande pittura barocca rappresentantata a livello europeo soprattutto da Pietro da Cortona e Rubens ha attinto a piene mani mani, dall’opera geniale di questi due sommi aritisti, grandi anche gli altri esponenti della scuola classicista emiliana, ma nel seicento andrebbero perlomeno citate antre 2 grandi”scuole regionali:la genovese e la fiorentina decisamente rivalutatata negli ultimi anni