Fra’ Bartolomeo: Giudizio Finale (Museo di S. Marco)
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Sull’opera: “Giudizio Finale”, o “Giudizio Universale”, è un dipinto di Fra’ Bartolomeo ed Albertinelli, realizzato con tecnica a fresco su muro intorno al 1499-1500, misura 357 x 374 cm. ed è custodito nel Museo S. Marco a Firenze.
Spostamenti: in origine si trovava nel chiostro delle Ossa nello Spedale di Santa Maria Nuova a Firenze; nel 1657, sempre nello stesso Spedale; nel 1871, nella Galleria dei Quadri di quello Spedale; nel 1900 pervenne alla Galleria degli Uffizi: nel 1924, alla Galleria dell’Accademia; dal 1924 è godibile nel Museo di San Marco.
Restauro: Firenze, Dino Dini, 1982-85.
Trattati, cataloghi e pubblicazioni: ASF, Santa Maria Nuova 5080, “Registro di pagamenti…” (1497-1501), cc. 81v e 82r; ASF, Santa Maria Nuova 1263, “Cancelleria”, filza 61, cc. 499 e 501 r. e v.; ASF, Santa Maria Nuova, “Libro dei Ricordi”, G (1623-1641), c. 75; Ridolfi, 1899, pagine 16 e 18; Ridolfi, 1902, pag. 2; Sinibaldi, 1936, pag. 24; Spalletti in “Gli Uffizi”, 1979, pag. 147; Bonsanti, 1985, pagine 52 e 54; Serena Padovani in “L’età di Savonarola – Fra’ Bartolomeo e la Scuola di San Marco” pag. 164, Marsilio Editori, 1996 (fonte delle presenti informazioni).
È questo il primo dipinto del frate pittore di cui esistono le relative documentazioni, nonché sua prima composizione di grandezza monumentale, realizzata in corrispondenza dell’arrivo del nuovo secolo, che metterà fine – per un certo periodo – alle sue esperienze artistiche.
Il Giudizio Finale venne ceduto nel 1900 allo Stato italiano dalle Gallerie fiorentine dello Spedale di Santa Maria Nuova a Firenze per le Gallerie degli Uffizi, ove vi rimase esposto fino al 1924. Da qui pervenne alla Galleria dell’Accademia e, poco più tardi, al Museo di San Marco, la sede attuale.
Da documentazioni certe si ricava che Gerozzo di Monna Vanna Dini, il 22 aprile del 1499, commissionò un affresco, ove fosse rappresentato il Giudizio Universale, a Baccio della Porta per una cappella dell’Ospedale di Santa Maria Nuova. Dell’opera – che è certamente identificabile nel presente dipinto – il pittore riuscì a portare a termine solamente la zona alta della lunetta, prima di farsi frate e rinunciare per alcuni anni all’attività artistica, dal 26 luglio 1500.
La composizione fu continuata dall’Albertinelli, suo collega di bottega, che riscosse i rimanenti pagamenti, come attesta una ricevuta di saldo datata 11 marzo 1501. Per portare a compimento la grande opera l’Albertinelli impiegò il “cartone finito” dell’ex collega e i suoi disegni preliminari.
Nella zona alta dell’affresco appare il “Cristo Giudice”, entro una lucente mandorla, con il braccio alzato in segno di giudizio, attorniato da serafini e cherubini. Sotto il Cristo un angelo in volo fra le nuvole reca i simboli della Passione, mentre altri due danno fiato alle trombe dell’Apocalisse.
Ai lati, e poco più in basso, si trovano Maria Vergine e gli Apostoli, disposti in scorcio, prospetticamente degradando dagli estremi verso il centro. In basso sta una schiera di figure disposte a semicerchio, attualmente poco leggibili, con al centro l’arcangelo Michele.
In tutto l’affresco si contano in totale 75 figure, tutte identificate grazie all’esistenza di due riproduzioni, una nel cortile dell’ex convento di Sant’Apollonia a Firenze (di scuola toscana) e l’altra in un cartone realizzato da Raffaello Bonaiuti nel 1871, periodo in cui avvenne lo stacco dal muro (Uffizi, Firenze).
All’Albertinelli sono attribuite generalmente le figure ubicate nella zona che va dagli angeli al centro verso il basso.
Nei personaggi raffigurati nella zona inferiore, oggi assai rovinati, venivano in passato identificate anche le effigi di Beato Angelico e Giuliano Bugiardini.
Il Vasari parlò con tanto entusiasmo dell’opera in esame: “condusse con tanta diligenza e bella maniera in quella parte che finì che, acquistandone grandissima fama, oltra quella che aveva, molto fu celebrato per aver egli con bonissima considerazione espresso la gloria del Paradiso e Cristo con i dodici Apostoli giudicare le dodici tribù, le quali con bellissimi panni sono morbidamente colorite. […] Questa opera [rimase] imperfetta, avendo egli più voglia d’attendere alla religione che alla pittura”.