Fra’ Bartolomeo: San Girolamo in un paesaggio roccioso
Sull’opera: “San Girolamo in un paesaggio roccioso” è un dipinto di Fra’ Bartolomeo realizzato con tecnica a olio su tela (attualmente su tela incollata su tavola), misura 41,9 x 27,5 cm. ed è custodito negli Staatliche Museen (Gemäldegalerie) a Berlino.
Spostamenti: 1841-42, venduto al Museo; dal 1883 al 1891 e dal 1921 al 1931 a Münster (Tirolo).
Restauro: 1995-96, Staatliche Museen di Berlino (Gisela Helmkampf),
Trattati, cataloghi e pubblicazioni: Waagen (8° ed.), 1845; Meyer e Bode, 1878, n° 124; 2° ed. 1883; Staatliche Museen zu Berlin. Beschreibendes Verzeichniss der Gemälde im Kaiser Friedrich Museum und deutschen Museum (9° ed. a cura di Irene Kunze), 1931; Geismeier, Nützmann e Michaelis, 1963, pag. 35, n. 3; (2° ed.), 1978, n. 12; (3° ed.), 1990, pag. 13, n° 16; Serena Padovani in “L’età di Savonarola – Fra’ Bartolomeo e la Scuola di San Marco” pag. 77, Marsilio Editori, 1996 (fonte delle presenti informazioni).
Il “San Girolamo in un paesaggio roccioso” fu venduto al celebre storico d’arte Gustav Friedrich Waagen (1794 – 1868) durante il suo soggiorno italiano del biennio il 1841-42. Lo studioso l’aveva assegnato all’urbinate Timoteo Viti (Urbino, 1469 – Urbino, 1523). Tale attribuzione fu sottoscritta da Meyer e Bode ma nettamente rifiutata da Morelli, che ipotizzava invece il pittore Giovanni di Pietro (1450 – Spoleto, 1528) detto lo Spagna, muovendo sia Meyer che Bode verso evidenti ripensamenti nella seconda edizione dei loro cataloghi, entrambi pubblicati nel 1883.
Più tardi l’opera passava senza alcun clamore nel deposito a Münster, ove per molti anni vi rimase dimenticata, fino a quando Adolfo Venturi nel 1925, trattando l’altra versione del “San Girolamo” (Collezione Benson in Inghilterra, fino al 1927), non stimolò di nuovo la curiosità della critica.
Irene Kunze nel suo catalogo del 1931, su suggerimento di Roberto Longhi, riconsegnò il dipinto – che nel frattempo era ritornato negli Staatliche Museen di Berlino – a Fra’ Bartolomeo: attribuzione che venne accettata pressoché all’unanimità dal resto degli studiosi di storia dell’arte.