Pagine correlate alla pittura fiamminga – Primitivi Fiamminghi: Pittura fiamminga – Jan van Eyck – Rogier van der Weyden – Al Trecento – Al fine Trecento – Al Quattrocento – Al pieno Quattrocento.
Primitivi fiamminghi
I primi decenni del Quattrocento delle Fiandre vengono rappresentati dalla “Scuola dei Primitivi fiamminghi”, da cui uscivano – salvo rare eccezioni di ritrattistica e, un po’ meno, di paesistica – generalmente composizioni a carattere religioso.
Gli artisti impiegavano esclusivamente la tecnica ad olio la quale facilitava, specialmente nella miniatura da essi assai praticata, il trattamento di piccoli dettagli, conferendo all’intero contesto una “luminosità aggiunta” per via della brillantezza dei pigmenti utilizzati. Le loro ricerche erano soprattutto indirizzate alla rappresentazione del reale.
I primi grandi esponenti dell’arte fiamminga sono Jan van Eyck, Rogier van der Weyden e Robert Campin (1378/1379 – Tournai, 1444), quest’ultimo generalmente identificato nel Maestro di Flémalle, o Maestro di Mérode.
La seconda generazione, legata specialmente ai centri nevralgici come Bruxelles e Bruges è rappresentata da nomi come Dieric Bouts il “Vecchio” (Haarlem, 1410/1420 – Lovanio, 1475) e Petrus Christus (Baarle-Hertog, 1410 circa – Bruges, 1475 circa), con i quali collaborava un cospicuo numero di pittori anonimi o di minor rilievo.
L’ultima generazione della pittura fiamminga – e siamo ormai all’ultimo periodo del Quattrocento – ebbe vita assai difficile, con artisti che non riuscirono a raggiungere grandi notorietà, preoccupati soprattutto a cristallizzare nostalgicamente il proprio stile, nonostante le burrascose novità del momento legate ad Hans Memling e Hugo van der Goes.
Questo importantissimo fenomeno pittorico è sempre stato oggetto di accese discussioni tra gli studiosi di tutti i tempi: alcuni ipotizzano una certa continuità con la pittura tardogotica che, a cavallo dei secoli XIV e XV, dominava l’intero continente europeo, in modo particolare le zone nordiche, comprese naturalmente, quelle dei Paesi Bassi, culla della pittura fiamminga primitiva. Anche la recente riscoperta di un dimenticato miniatore come Melchior Broederlam (Ypres, notizie: 1381 – 1410), nei cui dipinti c’è chi vi legge i preludi della rivoluzione vaneyckiana, è ritenuta un importante contributo in tal senso.
Altri, invece, ipotizzano come fonte di stimolo la raffinata tecnica miniaturistica che agli inizi del Quattrocento ebbe un grandissimo sviluppo in Borgogna (facente parte, allora, delle Fiandre) e nell’area parigina. Ipotesi, questa, suffragata dal fatto che il principale protagonista della pittura fiamminga, Jan Van Eyck, si fosse cimentato in quest’arte iniziando proprio come miniatore. Altri studiosi, tra i quali Federico Zeri, pensano invece che la pittura fiamminga sia nata dallo stesso Jan Van Eyck proprio come “Minerva è nata dalla testa di Giove” [Federico Zeri, Abbecedario pittorico, 2007], cioè in un naturale passaggio inteso come continuità con il passato, già completo di tutte le sue caratteristiche costitutive.
Rilevante è stata l’influenza di questo importante fenomeno, principalmente visto dal lato tecnico, sulla pittura dell’intero continente europeo: da Nord a Sud e da Est ad Ovest i pigmenti ad olio cominciarono a diventare predominanti su quelli relativi a tutte le altre tecniche, tempera compresa.
Lo stile
Anche sul piano stilistico la stragrande maggioranza dei pittori si mostrò sensibile al nuovo modo di rappresentare il mondo reale, sia pure con intensità diverse, ad esclusione di alcune zone italiane ove dominava la pittura masaccesca, che pur studiava – in maniera assai diversa – il mondo del reale. Infatti due nuovi linguaggi stavano nascendo contemporaneamente in due mondi lontani e tanto dissimili tra loro: quello di van Eyck nelle Fiandre e di Masaccio in Toscana. Nonostante ciò, negli ultimi decenni del quattrocento parti delle caratteristiche della pittura fiamminga entrarono nella tradizione rinascimentale: l’opera di Piero della Francesca e di Antonello da Messina (con la sensibilità luministica del primo e quella sulla ritrattistica dell’altro) nonché alcuni aspetti del del linguaggio di Leonardo (lo sfumato, e la paesaggistica) ne sono esempi ben noti.
La dilatazione spaziale della pittura fiamminga, però, è assai diversa da quella degli artisti toscani. Questi ultimi improntavano la prospettiva lineare con linee di fuga dirette verso un unico centro, all’altezza dell’orizzonte, dove tutto diventava perfettamente strutturato ed ordinato, con proporzioni esatte in ogni punto e in un’unica fonte luminosa che delineava anche le rispettive ombre. Con tale strutturazione il fruitore dell’opera rimane al di fuori della scena, avendone una visione chiara e totale. Nella struttura compositiva fiamminga, invece, il fruitore della visione è compreso illusoriamente entro la volumetria della rappresentazione, in virtù di alcuni espedienti come l’impiego di più punti in un orizzonte non necessariamente ben collocato ma generalmente più alto, ove le molteplici linee di fuga convergono in gruppi (a seconda dei punti impiegati all’orizzonte) conferendo all’ambiente quel senso illusorio “avvolgente” pronto a rovesciarsi sullo stesso spettatore.
In Spagna, invece, si registrò la quasi totale ricezione dello schema fiammingo tanto che, nel corso della Storia, per definire lo stile iberico del tardo Quattrocento si parla, per l’appunto, di pittura hispano-falmenca.
In Germania alcuni maestri delle Fiandre specie di area nordica (l’attuale Olanda), soprattutto Geertgen tot Sint Jans (Leida, 1460 – Haarlem, 1490), sono considerati dagli studiosi una fonte il cui influsso si avvertirà nella pittura dei grandi maestri rinascimentali tedeschi, Dürer compreso [Erwin Panofsky, La vita e le opere di Albrecht Dürer, edizione italiana 1956].