Giovanni Carnevali detto il Piccio ( Montegrino Valtravaglia presso Luino 29- 9- 1804 / Cremona 5- 7-1873)
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Breve biografia di Giovanni Carnevali detto il Piccio
Giovanissimo, ancora quasi bambino, Giovanni seguì il lavoro del padre, capomastro e creatore di giochi d’acqua, ad Albino, nella villa dei Conti Spini, dai quali ricevette il soprannome che lo accompagnò per tutta la vita.
Si racconta che, bambino molto precoce, un giorno il Piccio disegnasse su un muro della villa un bel mazzo di chiavi, subito scambiate per vere.
A undici anni fu ammesso nella Scuola del Diotti all’Accademia Carrara di Bergamo e nel 1926 dipinse una pala d’altare con l’’Educazione della Vergine’ per la Chiesa di Almenno San Bartolomeo.
Nel 1831, ventisettenne, recandosi a Roma, si trattenne a Parma per studiare e ricopiare le opere del Correggio. L’anno appresso si stabilì a Cremona e nel 1836, a Milano, aprì uno studio in via San Primo, tenendolo sino alla morte.
Si incontrò a Parigi con Giacomo Trecourt nel 1845 ed a Roma, nel 1847, con il giovane Federico Faruffini.
La sua opera si riallaccia alla grande tradizione lombarda del Rinascimento, raggiungendo un inconfondibile stile caratterizzato dal forte senso di una luce che si addensa tra fermi volumi.
Grande paesaggista dalla pennellata ricca di accese tonalità, riusciva a creare quell’ atmosfere trasparenti e luminose che si possono ammirare in: ‘Lungo il Brembo’ (Piacenza, Galleria Ricci-Oddi), ‘Paesaggi dai grandi alberi’ (Milano, Galleria Civica di Arte Moderna) o ‘Mattino sulle Prealpi’ (Bergamo, Raccolta dei Conti Agliardi).
Nei numerosissimi ritratti seppe creare intorno alla figura un’atmosfera molto singolare: ‘Ritratto del veterinario’ (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), ‘Ritratto di Benedetta Carminati Ghisoli’ (Milano, Brera).
Numerosi sono anche gli autoritratti e vari ritratti in collezioni private. La visione cromatico-luminosa del Carnevali eccelle molto nei quadretti di fantasia, biblici o mitologici, dalla ricca e vibrante materia, conservati soprattutto in raccolte private: ‘Salmace ed Ermafrodito’, ‘Giudizio di Paride’, ‘Loth e le figlie’, ‘Bagnante’ e ‘Rinaldo e Armida’ (Milano, Galleria d’Arte Moderna).
Comunque, la pittura del Piccio, anche quando si riduce al piccolo studio o al bozzetto, possiede una spiritualità, una libertà di accenti, una scioltezza nei palpiti dei cieli e nella inflessione delle figure, una tale fusione delle forme e dei colori, da trascendere la trita pittura ottocentesca in cui alle ridotte misure del quadro corrisponde la minuziosa ricerca del particolare, la cura del contorno e il colorismo convenzionale.
Solitario e stravagante, sessantanovenne, l’artista morì tragicamente, annegato nelle acque del fiume Po.