Pagine correlate alla Pittura fra il Quattrocento ed il Cinquecento: al Quattrocento – al pieno Quattrocento – il Cinquecento ed il Manierismo.
Il Quattrocento e Cinquecento: Il forte benessere del periodo quattrocentesco determina la voglia di conoscere e di sperimentare la natura ed il mondo ad essa collegato. Gli artisti sentono aumentare la fiducia in se stessi, sono in grado di autodeterminarsi e di realizzare, per mezzo delle proprie capacità, importanti opere durature. Il nuovo modo di pensare e le alte potenzialità dell’intelletto umano mantengono viva l’arte del Rinascimento.
L’Italia settentrionale a cavallo tra i due secoli
In tutta l’ampia zona del nord Italia, da ovest ad est, e soprattutto negli importanti centri e nei ritrovi più esclusivi delle grandi città come Milano, in questo periodo, si parla spesso e volentieri la lingua francese.
A questi centri fanno certamente riferimento due grandi personaggi come il Bramantino e Bernardino Luini.
Il primo approfondisce le sue doti artistiche nel campo della pittura ed in architettura con un’interpretazione schematica del linguaggio classico, depurato da inutili e pesanti dettagli, trascinandosi fuori dai canoni e dalle leggi sulle misure, ed allo stesso tempo tenendo sempre presente un senso di intimo sentimentalismo.
Il secondo riesce a fondere le lezioni del linguaggio pittorico di Leonardo da Vinci con le novità apprese dalla visione diretta dei lavori di Raffaello Sanzio, diventando, in seguito agli affreschi della villa della Pelucca (Monza, adesso a Brera) e a quelli del santuario di Saronno (realizzati in collaborazione con Alberto da Lodi e Gaudenzio Ferrari), il più “romano” degli artisti nella pittura del periodo rinascimentale della Lombardia.
Un altro grande lombardo è il milanese Ambrogio de Predis (1467-1517), solido ritrattista dallo sfumato “fumoso” che collabora con Leonardo nella Vergine delle Rocce. Molto vicino al De Predis e suo perfetto contemporaneo, è Giovanni Antonio Boltraffio (1467-1516), a cui piace la maniera leonardesca ed è alla continua ricerca di effetti cromatici nel panneggio.
Andrea Solario si avvicina molto all’eleganza della pittura di Leonardo e alla maniera franco-fiamminga.
Il vercellese Sodoma (Antonio Bazzi, 1477- 1549), affezionatosi a Leonardo, lascia presto la scuola piemontese (la leonardesca Madonna col Bambino della Pinacoteca di Brera è ascritta a lui).
A Brescia, Giovanni G. Savoldo (1480- 1548) è un grande esperto di raffigurazioni notturne di tipo giorgionesco, come nella sua “Visione di S. Matteo” (Museo Metropolitano di New York). A Verona abbiamo Paolo Morando, Giovanni, Giovan Francesco Caroto e Francesco Torbido detto il Moro.
A Venezia, centro di divulgazione in tutto il dominio della regione veneta, dopo la morte di Giorgione, Tiziano Vecellio riesce a dimostrare come la poetica veneziana, colma di un sentimento angoscioso della natura, possa accogliere una concezione della figura umana libera e sicura, con la capacità di dominare la scena nell’assoluta caratteristica pittorica del colore, messo in luce, come nell’Amor sacro e Amor profano, in un meraviglioso e sapiente gioco di contrasti sul carnato e sull’ampio e voluminoso distendersi dei panneggi.
Sono gli anni anche dell’Assunta dei Frari, dove la tradizionale impostazione della pala d’altare viene abbandonata per dare posto ad un’orchestrata concitazione di moti avvolta in una densa atmosfera di luce, colore ed ombra.
I rapporti tra la città lagunare e Roma sono in continuo sviluppo in questo periodo anche grazie a Sebastiano Luciani, meglio conosciuto come Sebastiano del Piombo (1485-1547), chiamato da Agostino Chigi per collaborare attivamente alla decorazione della Farnesina, e successivamente dichiarato dagli studiosi di Storia dell’arte come uno dei migliori cooperatori di Michelangelo Buonarroti. Sebastiano è visto come uno dei protagonisti dell’incontro tra il colorismo tonale delle atmosfere venete e la plastica idealità delle figure romane. A Padova Girolamo del Santo e Domenico Campagnola imitano Tiziano.
La necessità didascalica, a favore di una netta e suggestiva affermazione della verità cattolica, crescono in tutto il settentrione d’Italia, spingendosi ai confini delle Alpi, quasi a creare una barriera fatta di immagini contro il dilagare del luteranesimo.
Una delle testimonianze più importanti è quella dei “Sacri Monti”, sostenuti soprattutto dalla cultura religiosa dei francescani, che porta ancora con sé il massimo della credibilità e la possibilità di immedesimazione nel fatto sacro. Architettura, pittura e scultura concorrono insieme nel riproporre la salita al Calvario, cappella per cappella.
Nelle opere valsesiane troviamo impegnato ed attivo, sin dall’inizio, Gaudenzio Ferrari (Valduggia, ca. 1475 – Milano, 1546, grande anche come plasticatore, dalla personalità gagliarda ed esuberante) che diffonderà con la sua scuola, in tutto il Piemonte e la Lombardia, una concezione più teatrale dell’arte e della pittura in genere. Sente molto i valori dell’arte monumentale di Bramantino.
Un altro esempio è offerto dalla decorazione del duomo di Cremona nel quale lavorano cinque anni, tra il 1515 e il 1520, pittori di diversa formazione artistica: dalle raffigurazioni con composizioni più equilibrate del tardo Quattrocento del Boccaccino si giunge, con importanti mutamenti come quelli di Altobello Melone e Gerolamo Romanino (ca. 1484-1560/6), alla platealità quasi barbarica ormai divenuta anticlassica del Pordenone, memore per visione diretta dell’eroica pittura di Michelangelo alla Sistina.
Anche il Correggio (1489 – 1534) offre il suo forte e prezioso contributo dando spazio ai contrapposti suggerimenti raffaelleschi. Il Correggio sintetizza in maniera diversa dal Giorgione le conoscenze della valle Padana nel campo della pittura. Anche lui sfoggia una libera e sognante capacità scenografica che stempera con toni caldi e sfumati l’impegno narrativo, dove le forme risentono dell’arte del Mantegna.
Accenni su pittori veneti, romagnoli e loro discendenti
(fonti delle ricerche: “L’arte italiana” di Mario Salmi).
Andrea Mantegna
Andrea Mantegna (1431-1506) è il primo artista ad aderire in pieno alla Rinascita, mentre Francesco Squarcione (1397-1474), suo primo maestro e uomo dallo strano temperamento, vi partecipa soltanto in parte.
Nelle sue opere appare un certo compromesso tra il Tardogotico e il linguaggio donatelliano.
Tutti i suoi allievi, oltre al Mantegna, adotteranno il linguaggio rinascimentale: tra questi, Giorgio Chiulinovigh detto lo Schiavone e Marco Zoppo.
pittori attivi a Verona
A Verona sono attivi Francesco Bonsignori, il Liberale, Girolamo da Cremona, Francesco e Domenico Morone, Girolamo dai Libri, Niccolò Giolfino, Giovanni Caroto e G.F. Caroto.
Pittori della Scuola padovana
Della scuola padovana, dove Mantegna è la più alta personalità, fa parte Bernardo Parenzano (1437-1531), che si ispira in maniera alquanto eclettica ai pittori delle scuole ferraresi e veronesi. Il suo mondo figurativo pare trasferito nel vetro.
Alla scuola padovana si avvicinano anche artisti della città lagunare, come Bartolomeo Vivarini (probabili date, 1450-1490). Questi, entrato a contatto con il Mantegna e con la pittura rinascimentale, abbandona presto l’ozioso stile del tardogotico.
Carlo Crivelli
Carlo Crivelli (1430-1495) con i suoi panneggi nelle tematiche di santi e Madonne, conferisce alla pittura rinascimentale uno sfarzoso cromatismo ornamentale, tipico della pittura veneziana, del bizantino–romanico e gotico.
Questo originale esponente della pittura, oltre che formare il fratello minore Vittore e l’Alemanno, ha un forte ascendente sui pittori dell’intera regione, tra i quali Giovanni Boccati (probabili date, 1445-1480) attivo in Umbria, Girolamo di Giovanni da Camerino (1449-1490), e Lorenzo d’Alessandro da Sanseverino (probabili date, 1468-1503), quest’ultimo forse suo allievo.
Pittori della Scuola di Ferrara
I pittori che formano una gloriosa scuola a Ferrara sono prevalentemente legati al Mantegna ed a Donatello, ma hanno dentro di loro il tormentato seme della pittura nordica, sentito probabilmente attraverso Roger van der Weyden che soggiorna a Ferrara nel 1449.
Cosmè Tura (1430-1495) è il primo fra i ferraresi a creare tormentate figure dal livido incarnato, colpite da sofisticate luminosità e immerse in bagliori irreali.
Francesco del Cossa (1436-1478), ferrarese e discepolo del Tura, ha un linguaggio meno tormentato e meno energico del maestro, ma il suo cromatismo è più ricco e riesce a conferire alle forme ampiezza, staticità e imponente monumentalità.
Ercole de’ Roberti (1450c-1496), ferrarese, ha probabilmente partecipato agli affreschi del Palazzo Schifanoia. Si pensa inoltre che il de’ Roberti abbia in gran parte diretto la decorazione della Pala di San Lazzaro (Museo di Berlino), un progetto ideato dal Cossa. Il de’ Roberti è stato confuso per un certo periodo con Ercole Grandi, un altro pittore ferrarese ma di calibro minore.
Lorenzo Costa (1460-1535), ferrarese, conserva a fondo tutte le caratteristiche della pittura della sua terra, insistendo principalmente sulla fermezza formale: tutto questo viene evidenziato nelle opere “Ritratto di Giovanni II Bentivoglio (1488, a Bologna in San Giacomo Maggiore) e nella Pala con “La vergine e quattro santi” (1492, in San Petronio).
Marco Zoppo
Marco Zoppo, bolognese (probabili date, 1433-1478), la cui pittura è colma di richiami al Mantegna e a Donatello, ha però una rudimentale energia.
Il Francia
Francesco Raibolini detto il Francia, bolognese, con il suo temperamento calmo ed affine agli artisti umbri, si orienta verso una silenziosa paesaggistica con figure estatiche, colme di religiosità.
Riesce a combinare un deciso disegno ad una pura lucentezza cromatica. Oltre che pittore è orafo.
Amico Aspertini
Amico Aspertini, bolognese pellegrino, si ispira alla pittura fiorentina, senese ed umbra.
Agnolo e Bartolomeo degli Erri
Agnolo e Bartolomeo degli Erri, modenesi e di formazione gotica, cambiano strada indirizzandosi verso Piero della Francesca e Francesco Cossa.
Francesco Bianchi Ferrari
Francesco Bianchi Ferrari (1457-1510) combina la pittura ferrarese e bolognese con quella d’oltralpe, ma questa combinazione è alquanto secca e stridente.
F. De Manieri, Melozzo e Bramante
F. De Manieri opera a Parma e si ispira molto ai pittori lombardi.
Il Melozzo (Forlì, 1438-1494) si ispira molto a Piero della Francesca, ma conferisce alle disumane espressioni delle figure di Piero una concreta umanità.
Un grande architetto-pittore è Donato di Angelo di Pascuccio detto il Bramante (1444-1514). Le sue poche opere di affresco decorativo del periodo giovanile, sentono il valore della pittura forlivese, quanto gli “uomini d’arme e filosofi” (Pinacoteca di Brera) disposti alla stregua di statue entro comode nicchie.
Lorenzo da Viterbo
Nel Lazio abbiamo Lorenzo da Viterbo (1446-1470), che si avvicina a Piero della Francesca con gli affreschi “Storie della vergine” realizzati in Santa Maria della Verità (Viterbo).
Antoniazzo Romano
Antoniazzo Romano parte dal linearismo di Benozzo Gozzoli per poi approdare alla pittura di Piero della Francesca, dei fiorentini e degli umbri; continuerà in seguito sulle orme del Melozzo.