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Raffaello inizia la decorazione della Stanza della Segnatura nel 1509 trovandola con alcuni affreschi già impostati da altri artisti. Nella volta realizza le allegorie della Giustizia, della Filosofia e della Poesia insieme ad altri affreschi di minore rilievo, mentre nelle pareti celebra l’ordine spirituale e l’ordine politico-sociale, impiegando tutta la sua indole pacata e serena, consapevole dell’importanza della propria missione.
Negli affreschi vengono rappresentati la Scuola di Atene, la Disputa del Sacramento con la consacrazione dell’Eucarestia, il Parnaso, Gregorio IX che consegna i decretali (fig. 1108) ad un avvocato concistoriale, Giustiniano che dà a Treboniano le Pandette.
Le opere si presentano con una autentica chiarezza cromatica, soprattutto nella parte figurativa nella quale il Sanzio ha saputo integrare il vigore, la plasticità e le solide composizioni di Michelangelo. La stanza viene portata a termine nel 1511.
Fra tutte le rappresentazioni di cui sopra elencate, le più profondamente celebrate sono la Scuola di Atene e la Disputa del Sacramento: nella prima sono disposti, secondo due ordini, celebri personaggi di scienza in acceso dibattito, attorniati ad Aristotele e Platone, in un ambiente interno vasto ed arioso, ricco di grandiose architetture che fanno pensare al vicinissimo San Pietro del Bramante.
Sul lato sinistro domina la scultura di Apollo che rappresenta la ragione, mentre sul lato destro quella di Minerva, ovvero l’intelligenza. Questo ci induce a considerare il grande entusiasmo di Raffaello per la scultura antica, con la quale entra in stretto contatto sin dal suo primo periodo romano. Sotto le statue sono dipinti in rilievo un combattimento degli ingnudi ed un tritone nell’atto di rapire una nereide. Nella parte centrale, come abbiamo già detto, stanno Aristotele e Platone. Quest’ultimo, che assomiglia a Leonardo da Vinci, reca nella mano sinistra la sua opera Timeo mentre con la destra indica il cielo (un gesto che indica il bisogno dell’uomo di ricercare un rapporto con il Creatore). Anche Aristotele reca nella mano sinistra un grosso volume – l’Etica – rivolgendo, invece, il palmo dell’altra mano verso il mondo terreno (un gesto che indica la determinazione e l’impegno umano nello studio del mondo che lo circonda).
Nella Disputa sono raffigurate due scene, una alta ed una bassa: nella parte alta stanno coloro che appartengono alla “Chiesa Trionfante” cioè i santi e gli apostoli con il Cristo al centro, affiancato dalla Vergine e da Giovanni Battista. Nella parte bassa sta la “Chiesa Militante” dove sono raffigurati teologi, papi, dottori, filantropi e letterati: Zenone, Epicuro, Averroè, Empedocle, Pitagora, Anassagora o Parmenide, Socrate, Eraclito (Michelangelo), Platone (Leonardo), Aristotele (Bastiano da Sangallo), Diogene, Euclide (Bramante), Zoroastro (probabilmente Pietro Bembo o Castiglione), Tolomeo , Senofonte o Eschilo, Gruppo di platonici, Gruppo di aristotelici, Gruppo di matematici, autoritratto di Raffaello, Francesco Maria della Rovere, Federigo Gonzaga. Per la maggior parte degli studiosi, la presenza di grandi personaggi appartenenti a periodi diversi che dibattono in gruppi, simboleggia la stabilità storica della Chiesa nel tempo e l’alto intelletto delle personalità che ne recepirono la dottrina.
La stanza di Eliodoro, decorata tra il 1511 ed il 1514, ha nelle volte quattro narrazioni del Vecchio Testamento, attribuite al Peruzzi o al Penni suoi allievi collaboratori, nelle quali è emblematico e significativo l’intervento divino: La scala di Giacobbe, Il roveto ardente, Il sacrificio d’Isacco, L’Apparizione di Dio a Giacobbe, tutti in stretta relazione con gli affreschi parietali. Al centro sta lo stemma papale, da dove si dipartono eleganti fasce arabesche. Nelle pareti sono raffigurate storie attinenti a quelle della volta: Eliodoro espulso dal tempio (inviolabilità del potere temporale della Chiesa), Attila fermato da Leone I nella marcia su Roma, San Pietro liberato dal carcere e il Miracolo di Bolsena.
In Eliodoro espulso dal tempio, dove viene chiaramente raffigurato papa Giulio II, di cui famosa è la sua frase “Fuori i barbari”, il cromatismo si presenta con meravigliosi effetti luministici, visibili anche nelle architetture che, con l’andamento volteggiante delle cupole, ne aumenta il vigore ed il movimento. Meno enfatizzata è la luce nella Liberazione di San Pietro, ma concitati ed efficaci contrasti di chiaroscuro, messi in evidenza con maestria, si precisano nei riverberi di luce notturna.
Nel Miracolo di Bolsena, strutturata con una perfetta simmetria, il solido cromatismo assume le valenze tonali proprie della pittura veneziana, di un fervore tizianesco, per gli influssi di Sebastiano del Piombo, maestro dei sontuosi vestiti cardinalizi e costumi delle alte autorità della corte papale, di così elevata costruttiva evidenza.
Raffaello si trova così a dover svolgere un difficilissimo concetto figurato per scopi didattici, ma supera brillantemente questa preoccupazione e si innalza con la propria genialità raggiungendo le vette più alte della poesia.