Citazioni su Nicolas Poussin (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)
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Quello che gli studiosi della Storia dell’arte hanno detto di Nicolas Poussin:
Fin da ora notiamo [nella pittura contemporanea] grandi pittori figli di Raffaello, benché in un tempo pieno di calamità e contrario alle Arti di simile natura; e particolarmente nella persona dello Stimabile N. Poussin, attualmente a Roma, che a mio giudizio ha eseguito, soprattutto da qualche anno in qua, delle Opere ammirevoli, una parte delle quali si trova presentemente in questa città, che hanno attirato meritatamente il consenso dei più Eccelsi Pittori […]. A. Bosse, Sentimens sur la dìstinction des diverses manières de peinture…, 1649
E poiché molti amatori e professionisti non sono ancora di quest’avviso, qualora non abbiano idee preconcette ne interessi in gioco, lo dirò per inciso, e si possa aprir loro gli occhi e farne loro conoscere almeno le caratteristiche essenziali, saranno senz’altro d’accordo, se non subito, certo in breve tempo, perché le opere del suddetto Signore sono eseguite con una regola continua e ragionata da cima a fondo. […] Quanto ho detto sopra di Poussin dovrebbe bastare a farne conoscere, in parte, la grandezza; aggiungerò soltanto che chi seguirà le sue tracce per progredire nella pratica di tale arte attraverso un gusto così elevato, non si troverà mai su una cattiva strada. E coloro che sceglieranno sue opere, soprattutto fra quelle eseguite da otto o dieci anni a questa parte, o simili, potranno essere certi di possedere dei quadri così belli che non è possibile averne di migliori, siano essi storici, di paesaggio o altre figurazioni; essendo, a mio avviso, tanto universale e a un tal livello che ho visto anche paesaggi da lui eseguiti per puro svago, che dovrebbero occupare il primo posto in questo genere di opere. A. Bosse, Sentimens sur la dìstinction des diverses manières de peinture…, 1649
[…] Se ciò [trovare delle buone opere d’arte a Roma nel 1655] è difficile, lo è ancora di più assicurarsi un buon pittore. Poussin, che ieri ho espressamente introdotto in argomento, mi assicurò che non vi era più nessuno nella pittura che fosse accettabile e che nemmeno vedeva alcuno formarsi e che quest’arte stava per decadere di colpo. In effetti, non c’è più che lui e non si trova alcun quadro passabile all’infuori di quelli di Poussin, il cui costo è sbalorditivo […]. Nondimeno vi sono tre quadri di Poussin in vendita presso dei romani, ma trattandosi delle sue tre opere di più grande formato e anche più rifinite, ogni quadro costa duecento pistole, tranne uno che è più caro. La qualità delle opere di questo grande uomo e la scarsità di artisti che lavorino bene ha portato i suoi quadri a tali somme elevatissime […]. Poussin, che ha impegni di lavoro per due anni, si offre di dedicarsi poi al tema che vorrò. Quantunque si dica che la mano tremante non rende più le sue opere così belle, tuttavia si tratta di una maldicenza; egli lavora meglio che mai e con maggiore precisione. Si trarrebbe maggior vantaggio dal fargli eseguire qualche quadro piuttosto che comperarne di già fatti. Le sue opere, qualche tempo dopo la sua morte, saranno infinitamente più ricercate e costose. L. fouquet, Lettera a Nicolas Fouquet, 2 agosto 1655
… Il nostro secolo ci ha fatto conoscere [a proposito dei pittori in Roma] degli uomini nuovi che, se non uguagliano i predecessori, liimitano, almeno, e Si seguono molto da vicino. Vedete ad esempio un Pietro da Cortona, che gli italiani considerano superiore a tutti gli altri, ed è in realtà eccellente nelle grandi figure cui si è particolarmente dedicato, a giudicare dalle opere di grandi dimensioni che si vedono nel salone di Palestrina, e dalla quantità di dipinti che papi, cardinali e principi gli hanno fatto eseguire e conservano con stima senza uguali. C’è poi Poussin, i cui meriti sono ben noti, e del quale, come francese, sento il dovere di dire per la gloria della mia nazione che se non occupa il primo posto, è soltanto per l’invidia e la rivalità degli italiani; mirabile per il disegno e la storia che conosce alla perfezione; i quadri di lui, vivo, si vendono cari quanto quelli dei più abili pittori cent’anni dopo la loro morte. ph. E. de coulanges, Relation de mon voyage d’Allemagne et d’Italie es années mil six cens cinquante sept et cinquante huit, 1657-58.
[…] [Lorenzo Bernini, in visita presso M. de Chantelou, nel 1665] Si è diretto nel salone in cui si trovano i Sette Sacramenti, dove non c’era altro quadro scoperto all’infuori della Cresima. L’ha osservata con grande devozione, esclamando: “Ha imitato il colorito di Rafaello in quel quadro; è un bei istoriare. Che divozione! Che silenzio! Che bellezza ha quella putta!” {*}. Suo figlio e Mattia hanno ammirato il giovane levita, poi la donna vestita di giallo, quindi tutte le figure, una dopo l’altra. Poi ho fatto scoprire lo Sposalizio, che ha esaminato come ha fatto col primo, senza proferire parola, scostando la tenda che copriva parte di una figura dietro a una colonna. […] Ne hanno ammirato la grandezza e la maestosità, hanno considerato l’assieme con grande attenzione; poi venendo al particolare, hanno ammirato la nobiltà e la finezza delle fanciulle e delle donne che ha inserito nella cerimonia, e fra le altre quella che sta a metà di una colonna. Dopo hanno visto la Penitenza, osservandola molto a lungo e ammirandola. Frattanto ho fatto tirar giù l’Estrema Unzione, e l’ho fatta mettere vicino alla luce così che il Cavaliere potesse vederla meglio. L’ha guardata stando in piedi per un bei po’, poi si è inginocchiato per meglio osservarla cambiando di volta in volta gli occhiali, manifestando tutta la sua meraviglia senza parlare. Infine si è alzato e ha detto che il quadro produceva la stessa sensazione di una predica che si segue con estrema attenzione e dalla quale si esce senza dire nulla, ma di cui si avverte l’effetto internamente. Ho fatto mettere poi anche il Battesimo vicino alla finestra, e ho detto al Cavaliere che vi era raffigurata l’alba. L’ha osservato un po’ da seduto, poi è tornato a inginocchiarsi, ha cambiato posto di quando in quando per vederlo meglio, da una parte all’altra, poi ha detto: “Questo non mi piace meno degli altri”; ha chiesto se li possedevo tutti e sette. Gli ho risposto di sì. Non si è stancato di ammirarli per un’ora intera. Dopo, rialzatesi, ha detto: “Voi m’avete dato oggi un grandissimo disgusto, mostrandomi la virtù d’un uomo che mi fa conoscere che non so niente” (*).
[…] In seguito ha visto i due restanti Sacramenti, e li ha osservati con attenzione pari agli altri. In quanto alla Cena, è piaciuta molto al Cavaliere, che ha fatto notare ai signori Paolo e Mattia la bellezza delle teste, tutte una dopo l’altra, e l’armonia della luce. Riprendeva ora uno ora l’altro; poi disse : ” Se dovessi scegliere uno di questi quadri mi sentirei molto imbarazzato”, e indicava quello di Raffaello con gli altri. “Non saprei – disse – quale scegliere. Ho sempre apprezzato il signor Poussin, e mi rammento che Guido [Reni] me ne voleva per il modo in cui parlavo del quadro [di Poussin] // martirio di sarCErasmo, in San Pietro, perché, a suo avviso, aveva troppo esaltato questo quadro dicendo a Urbano Vili : Se io /ossi pittore, quel quadro mi daria gran mortificazione l. È un grande genio e inoltre ha fatto la sua più importante esercitazione sull’antico”. […] Ha visto poi [presso Cérisier] il grande paesaggio nella Morte di Focione, e l’ha trovato bello; dell’altro, dove si raccolgono le sue ceneri, dopo averlo a lungo osservato, disse: “// signor Poussin. è un pittore che lavora di là2, mostrando la fronte. Gli ho risposto che le sue opere erano frutto della niente, avendo sempre avuto mani maldestre. P. fréart de chantelou, Journal du voyage du Cavalier Bernin en France (1665), 1885
Tra i pittori che godevano di maggior considerazione in Roma, posso citare come i più celebri il Cavalier Lanfranco, Pietro da Cortona, e il famoso Poussin, che nomino per ultimo essendo il più giovane dei tre. Ho avuto gran cura di conoscerli, in particolare Poussin, col quale ho stabilito un’amicizia molto stretta. Tutti conoscono il suo valore, e, in quanto a me, non credo sia esistito un pittore che avesse un concetto più elevato sulla perfezione della pittura ne che sapesse meglio di lui quello che può rendere compiuta un’opera. E se già ne avvertiamo tracce vigorose in ciò che ha creato, elementi ancora più significativi forniva coi suoi discorsi; e devo ammettere che proprio dalla sua conversazione ho imparato a conoscere quanto di più sublime esiste nelle opere dei maestri insigni, e quanto hanno ponderato per renderle più perfette. Benché affettasse la necessità di appartarsi quando lavorava, per non vedersi costretto ad ammettere la presenza di persone che lo avrebbero disturbato con visite troppo assidue, godevo tuttavia d’un tale trattamento di favore da consentirmi sempre di vederlo dipingere; e allora, associando la pratica agli insegnamenti, mi faceva notare, concretamente sul lavoro e attraverso una dimostrazione sensibile, la verità di quanto m’insegnava a parole. Notavo con grande compiacimento in che modo operava per fissare su una tela i maestosi e nobili temi che aveva coordinato nella mente. Osservavo con attenzione in quale maniera definiva le figure, marcandone i tratti, se mi è lecito usare questa parola, con una nettezza che echeggiava quella del suo pensiero. Osservavo con una cura affatto particolare come mescolava i colori, per rendere quegli abbassamenti di tono atti ad arrotondare i corpi, a rilevare le luci e le ombre e a produrre gradi diversi di allontanamento per fare retrocedere o aggettare le varie parti di un quadro : ciò che ha saputo realizzare con tanta maestria e bellezza. Avrò [così] il privilegio di parlare con encomio di un pittore francese [Poussin] che è stato gloria e onore della nostra nazione, e, si può dire, ha strappato tutta la scienza della Pittura dalle braccia della Grecia e dell’Italia per portarla in Francia, dove le più elevate Scienze e le più belle Arti sembrano oggi aver confluito. I suoi quadri, che arricchiscono il gabinetto del rè e i molti altri sparsi in varie parti d’Europa, serviranno da testimoni ineccepibili su quanto esporrò parlando di questo grande uomo. félibien, Entretiens sur les vies et sur les ouvrages des plus excellens peintres anciens et modernes, 1666
[…] Non aveva nulla dell’umore diffidente dei normanni. Era la franchezza in persona. Aveva l’animo grande e nobile ed era degno non soltanto di essere pittore, nella qual cosa egli eccelse, ma di governare lo Stato, se si fosse applicato alla politica e alla finanza tanto si era applicato, per fatalità della sua Stella, alla pittura. Era un genio di prim’ordine, nato per le scienze e le arti, il suo più tenero amore : e che costituirono quasi l’unico piacere della sua vita, felice e infelice. Oscura e celebre, intendo dire, povera e agiata; dapprima screditata dall’invidia, e infine ricoperta di gloria e onori quand’egli ormai non era più in condizione di goderne. Poiché aveva molta ragione e cervello, una immaginazione vivace e forte, una memoria sicurissima, un giudizio assai solido, accompagnato da un buon senso naturale che il cielo non concede a tutti i pittori, egli decise di darsi a questa professione, che non ha in sé di abietto nient’altro che il nome e la qualifica di pittore, con tutti i soprannomi che malignità degli uomini ha trovato conveniente attribuire. Avendo la vista buona e un’eccellente facoltà di discernimento, una mano discreta (infatti non mi pare l’abbia mai avuta delle migliori) decise di darsi alla pittura. Ma non avendo ancora alcun senso del colore e per quanto dipingesse con gusto abbastanza buono, la sua pittura non poteva piacere, per la mancanza del colore e degli accordi cromatici. In effetti le sue prime opere sono molto secche, poco nutrite. Non eccelse mai per il colore come per altri elementi della pittura, cioè il disegno e la composizione, nei quali ha superato non solo tutti i pittori del suo tempo, ma – non è necessario asserirlo — lo stesso Raffaello. Wandeyck [Van Dyck], sostenuto solo dalle doti di colorista gli è assai inferiore nel disegno, e così Rubens e tutti i maestri fiamminghi. L. H. loménie de brienne, Discours sur Ies ouvrages des plus excellens peintres anciens et nouveaux…, 1693-95
Poussin ebbe al principio uno stile abbastanza fiero, e si avverte che i suoi primi dipinti sono ben eseguiti, con gusto cromatico superiore rispetto ai successivi. Agli esordi della seconda maniera, egli creava ancora opere colorite piuttosto bene, ma nelle seguenti trascurò del tutto il colore, divenne grigio tanto da far apparire i suoi quadri privi di vigore e di effetto; le sue opere presenti a Parigi forniscono le prove palmari del disgregamento dei colori dovuto al mutamento dello stile… Poussin aveva un’immaginazione feconda, che gli suggeriva in gran numero concetti geniali per ogni genere di temi. Egli ha trattato parimenti il grazioso, lo storico, il tenero e il terribile […]. È pur vero che il suo genio era incline più a un carattere nobile, virile, austero che alla grazia. Quanto al disegno, è altrettanto bello e preciso quanto quello di Raffaello; non oso dire, quanto quello degli antichi… Poussin ha espresso vivacemente le passioni dell’anima; tuttavia gli si può rimproverare di essere incorso spesso in ripetizioni espressive troppo sensibili. Aveva contratto tale difetto per la scarsa inclinazione a studiare la natura, fonte della varietà. Sempre per la stessa ragione, il nudo, specialmente nelle ultime creazioni, si assimila alla pietra dipinta, acquisisce piuttosto la durezza del marmo che non la delicatezza della carne che, come in Vandeick [Van Dyck] e in Rubens, deve esprimersi piena di sangue e di vita… Poussin realizza tutti i panneggi in una stessa stoffa, dipingendoli soltanto con tinte diverse; le pieghe, numerose, contrastano una nobile semplicità, e richiamano troppo quelle delle figure antiche… J.B. DE boyer d’argens, Réflexions critiques sur les differentes ecoles de peinture, 1752
Poussin aveva trascorso tanto tempo nell’assidua frequentazione e
indagine delle statue antiche, che si può dire le conoscesse meglio delle persone a lui vicine. Ho sovente pensato che avesse spinto la venerazione per gli antichi al punto di augurarsi che le proprie opere assumessero, appunto, l’apparenza di quadri antichi […].
Non v’è alcun altro pittore moderno le cui opere tendano all’antico quanto i dipinti di Poussin. Le sue creazioni migliori sono improntate a un rigore esecutivo considerevole, che, quantunque non lo si debba in alcun modo prendere a esempio, è pur tuttavia in rapporto con quella linearità di gusto antico che caratterizza il suo stile. Come Polidoro (Caldara) da Caravaggio, aveva studiato tanto gli antichi che si era abituato a pensare a modo loro, e sembra aver appreso alla perfezione i movimenti e gli atteggiamenti che essi assumevano in ogni circostanza.
Nell’ultimo periodo della vita, Poussin mutò il suo fare conciso in una maniera più morbida e ricca, perseguendo un accordo più intimo tra le figure e il fondo : come si avverte nei Sette Sacramenti della Galleria del duca di Orléans. Tuttavia ne questi quadri, ne alcuno di quanti egli ha dipinto secondo tale gusto, possono essere paragonati ai numerosi quadri della maniera aspra esistenti in Inghilterra.
I temi preferiti da Poussin sono stati le favole antiche, e, nel dipingere simili figurazioni, nessun pittore ha avuto mai abilità maggiore, non solo per la sua profonda conoscenza di cerimonie, costumi e usanze vetuste, ma più ancora per la consapevolezza dei diversi caratteri impressi alle figure allegoriche da coloro che le crearono. Quantunque Rubens abbia manifestato molta fantasia nelle sue immagini di satiri. Sileni e fauni, tuttavia in lui esse non costituiscono quella galleria differenziata di tipi messa in scena così attendibilmente dagli antichi e da Poussin. Senza dubbio, quando si vuole raffigurare simili temi dell’antichità non bisogna che dal dipinto traspaia nulla che riporti ai tempi moderni. Lo spirito è relegato nei secoli trascorsi, e non deve apparire nulla che spezzi quest’illusione.
Poussin sembra aver creduto che lo stile e il linguaggio atti a esprimere questo genere di episodi non si sminuiscano a conservare qualcosa della vecchia maniera di dipingere, la quale, pare, consisteva in una generale uniformità dell’assieme; di modo che lo spirito ritorni al mondo antico non soltanto per la scelta del tema ma anche per la tecnica con cui esso è realizzato. […] Poussin ha dipinto sovente una macchia di drappeggio blu quando il tono dell’assieme tende al bruno o all’ocra: ciò dimostra che l’armonia dei colori non era il punto forte di questo grande uomo. J. reynolds, Discourses delivered at Royal Academy, 1772-1778