Citazioni su Francesco Hayez (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)
Pagine correlate all’artista: Biografia – Le opere – I suoi scritti – bibliografia.
Ciò che gli studiosi di Storia dell’arte scrivono su Francesco Hayez:
Già vivo al guardo la tua man pingea un che in nébbia m’apparve all’intelletto:
altra or fugace e senza forme idea timida accede all’alto tuo concetto:
lieto l’accogli, e un immortai ne crea di meraviglia e di pietade oggetto;
mentre aver sol potea dal verso mio pochi giorni di spregio, e poi l’obblio. A. manzoni, Al signor Francesco Hayez, 1822.
… A questa esposizione Francesco Hayez presentò nove opere, sette delle quali sono composizioni di molte figure. La folla si accalcava innanzi a cedeste sue creazioni: gli uomini dell’arte stavano presso che tutti per lui; l’altra parte si divideva in due fazioni, l’una severa, nimica; l’altra ammiratrice. L’accusa principale che si muoveva a queste opere era intorno al colorito generale e specialmente intorno a quello delle carni. È forza confessare infatti che il più delle volte i quadri dell’Hayez sono come avvolti da un’atmosfera artificiale, e gli avvenimenti che figurano, ci sembra di vederli piuttosto in un teatro che sulla grande scena del mondo: e questo voglio detto circa la intonazione e il colorito, non già per le altre parti che spettano al comporre, e alla espressione de’ volti e alla dignità delle movenze. Ma quando tu vieni innanzi ad uno di questi dipinti, e ti fermi e lo guardi a lungo, il tuo occhio si avvezza, dirò così, a quella atmosfera artificiata, e quei visi e quegli atti parlano al tuo cuore, e quasi dimentichi di essere innanzi ad una fredda tela, e credi a quel pianto o a quella letizia che il pittore ha voluto esprimere. A ben pochi è dato mettere tanta vita ne’ volti come sa fare l’Hayez. O. arrivabene, Della pubblica esposizione di opere di Belle Arti e d’Industria fatta in Milano nel settembre 1838, 1838.
… non è pagano, ne cattolico, ne eclettico, ne materialista:
è un grande pittore idealista italiano del sec. XIX. È il capo della scuola di Pittura Storica, che il pensiero Nazionale reclamava in Italia: l’artista più inoltrato che noi conosciamo nel sentimento dell’Ideale che è chiamato a governare tutti i lavori dell’Epoca. La sua ispirazione emana direttamente dal proprio Genio: non è settario nella sostanza; non è imitatore nella forma. G. mazzini, Modern Italian Painters, “London and Westminster Review”, 1840.
… mentre Hayez sta melanconicamente a dimostrare la caducità dell’arte falsa…… P. levi, II secondo Rinascimento, 1883-84.
Ed ecco il giovane Hayez oscillare tra il nero della vita che lo circonda e il vero della fantasia cara al gusto dei suoi tempi. Se la sua pittura quasi politica e pseudo-tribunizia gareggia nella combinazione dei soggetti e nella ricerca degli effetti con l’artificio e con la sterilita dei melodrammi, e subisce fatalmente la triste sorte e poverissima di un’arte creata piuttosto per suggerimento della moda che per emozione e convinzione personale; dove e quando egli si trova di fronte al semplice ‘modello’ senza preoccupazioni di successo, il suo squisito senso pittorico e la sua virtuosità di disegnatore e di colorista, lo salvano. Una certa grazia morbida e delicata e una istintiva sensualità fanno di lui un pittore della bellezza, un idealizzatore del vero.
Per questo nella pittura di ritratto egli rasenta alcune volte la perfezione e spesso la raggiunge. Egli arriva dall’osservazione esteriore alla penetrazione del mondo spirituale. Il rispetto del vero gli giova ad essere preciso e definito; la preoccupazione del bello lo induce ad idealizzare il ritratto. Una certa grazia raffinata e la sensibilità, per la quale a quanto racconta un suo biografo egli pianse tante volte per amore, fanno di lui un attraente pittore della bellezza femminile. R. calzini, Catalogo della XIII Biennale di Venezia, 1922.
II romanticismo dell’Hayez e dei lombardi, come quello del Manzoni, e, più tardi, quello de’ pittori toscani, non fu che l’inserimento in una classicità casalinga, e diremmo, anche in senso plastico, filologicamente più consanguinea e connaturata. Mosso nel buon insegnamento provinciale di Lattanzio Querena, l’Hayez rimase, se mai, troppo memore delYApollo di Belvedere. L’amore pel vero assicura costantemente alla sua opera una mirabile acutezza di definizione disegnativa. Ma quanto si vorrebbe che, nel colorito, egli si fosse ricordato altrettanto e del vero e di Venezia. E. cecchi, Pittura italiana dell’Ottocento, 1926.
… Lasciando da parte i temi dei suoi dipinti imposti dalle vicende politiche o dalle mode letterarie, dopo il disegno attentissimo e quasi degno di Ingres e la squisita eleganza e finezza nei ritratti, e specialmente in quelli di donne e di dame perché egli sempre le amò e osservò molto da vicino, quattro fatti sono da notare studiando l’Hayez: la vena settecentesca che gli viene diretta dal suo primo maestro a Venezia, Teodoro Matteini, toscano … il garbo francese che gli viene dalla razza;
il culto, sebbene resti in lui soltanto teorico, per la pittura veneziana e non più per Raffaello e Correggio; i suoi legami, infine, attraverso Venezia con Vienna dove la pittura francese del ‘700 era in auge nella Corte e nella nobiltà. U. ojitti, La pittura italiana dell’Ottocento, 1929.
[I suoi ritratti sono] acuti, ben impostati, trattati con una finezza d’analisi psicologica che si estrinseca in una finezza attenta di passaggi chiaroscurali: precisi, ma senza durezze lineari o stacchi bruschi di colore. A. M. brizio, Ottocento – Novecento, 1944.
Questo uomo di insigni qualità che completava il lombardismo locale con la vena settecentesca derivatagli dal suo maestro Matteini, col culto dei Veneziani del Rinascimento e col garbo tradizionale che a lui discendeva dal padre francese, nonostante l’amore per il vero e l’acutezza del segno, si trova impigliato negli improbi cimenti di una composizione impossibile, e a dibattervi la sua dignità costruttiva rinnovando ad ogni opera faticose ricerche dall’origine cerebrale, senza fervori e senza emozioni, preoccupato di ogni correttezza di forma e di ogni gradazione tradizionale di colore. Abortisce per ciò stesso in fondi senza profondità e sordi, in architetture ritagliate nel cartone, in colori convenzionali, e in atteggiamenti studiati o duri o svenevoli, il tutto immerso nella greve e malinconica luce del chiuso dello studio. Dedotta da ipotesi ornamentali, da cultura letteraria e non pittorica, da moda e non da intuizione, questa pittura storica del più illustre dei falsi romantici ce lo rivela come un neoclassico di fattura casalinga …
Eppure quest’uomo, mezzo francese e mezzo veneziano, che dominò per cinquant’anni la pittura lombarda e si inserì potentemente in essa, e che fu indubbiamente sempre un sincero artefice di grandi qualità, si rivelò grande artista coi suoi ritratti, specchio di quella aristocrazia intellettuale di Lombardia che dal Cattaneo al Berchet, dal Manzoni al Grossi può per una generazione essere considerata l’aristocrazia intellettuale d’Italia. Nonostante il tono funerario e commemorativo, nonostante la penembra verdognola in cui sono immersi, egli creò nei suoi ritratti severi eppure eletti, parchi ed armoniosi ad un tempo, dei modelli di virile dignità e misura e di femminile gentilezza che andarono lontano se furono visti tra gli schemi di Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni e tra gli echi del Tallone. Fu egli che educò i pittori della Lombardia a contemplare la figura umana in tale pienezza da influire persino sull’anima sorda del Berlini, a rispecchiare nella finezza dei passaggi chiaroscurali e coloristici, con deliziose modulazioni di bianchi e neri, di celesti e marrone ed avana, la finezza di un’analisi psicologica trattenuta dal pudore e dalla bonomia. Egli, il pittore celebrato e per noi sostanzialmente fallito di tanti macchinoni romantici, rimane lo specchio fedele di una società e di un paese e, come il Manzoni, il poeta sicuro di un costume. A. ottino della chiesa, Pittori lombardi del secondo Ottocento, 1954.
… Allora l’Hayez dipinse anche la prima edizione del suo quadro ancora oggi più noto: II bacio. Un quadro che a taluno sembrerà troppo famoso, troppo dolce, stucchevole addirittura e melodrammatico, ma che ai suoi tempi ebbe un successo grandissimo. Un quadro per intendere il cui valore bisogna rifarsi appunto a quella sorta di misticismo sentimentale e tenero cui allora si aspirava e che troverà la sua migliore espressione più che nella poesia, nella musica romantica italiana. E ciò a prescindere dalle qualità cromatiche del dipinto che pur sono notevoli, divenute più evidenti nelle edizioni successive e nelle quali riaffiorano, modulati musicalmente, elementi della iniziale cultura veneta dello Hayez. Il quale nei tempi successivi dipinse molti altri quadri di soggetto storico, sempre mantenendosi ligio ai precetti accademici e molte volte pose anche la firma a loro repliche.
Ma egli ha lasciato indubbiamente il meglio della sua produzione nei ritratti, specie in quelli dipinti fra il ’25 ed il ’45, alcuni dei quali veramente belli. Impostati con certa tradizionale solidità, in essi egli tende, attraverso una minuziosa indagine della forma, superato ogni gravame meccanico di resa veristica, ad un’ispirata ma serena interpretazione del carattere dei personaggi rappresentati i quali, anche per suo merito, ci appaiono quasi sempre trasferiti su di un piano di altissima dignità. E. lavagnino, L’arte moderna dai neoclassici ai contemporanei, 1956.
… Quanto perduri in lui, sotto la copertura dei soggetti romantici, l’ossatura neoclassica, quanto il credo nel bello idealizzato, nel soggetto eroico, nella posa, nello statuario comporre, quanto la identica economia e la uguale concezione del quadro che potevano avere non diciamo un Appiani, di tanto maggiore ingegno, ma un Sabatelli o un Diotti, non sappiamo. Per noi sotto le architetture e i costumi medievali, sotto tutte quelle parole accomodate, quei gesti rettorie!, su tutta quella sterminata pittura in cui la pittura è un mezzo illustrativo non sentito, e stride nel vuoto dell’arte il dualismo tra contenuto e forma, permane, deteriorato, lo spirito e la dottrina neoclassica. La dottrina ultima, quella della decadenza, quella dell’impero, quella che voleva l’arte civile, l’arte morale, l’arte politica, l’arte a edificazione. Permane con i suoi soli e molti difetti e senza neppure una delle sue ultime. A. ottino della chiesa, L’età neoclassica in Lombardia, 1959.
… In altre parole, mentre in un quadro dell’Hayez i sentimenti da descrivere o suscitare assumevano sempre un valore dominante tenendo per acquisiti i mezzi per raggiungerlo, in un quadro di Ingres il problema della pittura come tale veniva ogni volta riproposto daccapo tutto intero.
… Lo Hayez intanto aveva già al suo attivo un Carmagno la, un Ossian, l’Ultimo bacio di Giulietta e Romeo, i Profughi di Porga, Carlo V che si china a raccogliere il pennello a Tiziano, e — fin dal ’22 — parecchie redazioni dei Vespri siciliani, al cui tema diede assetto definitivo e solenne nella grande versione del 1845-46 (ora alla Galleria d’Arte Moderna di Roma), dove ancora una volta confuse il sentimento patriottico con gli affetti domestici e il sentimento religioso. Qui non sai bene se prevalga nel caduto francese il dolore, Pira o la sorpresa per l’insospettata rivolta, ne sai se taluni degli astanti siano più commossi per l’affronto subito o per il timore della rappresaglia o se il giovane con la spada sguainata e coloro che son decisi a cacciare lo straniero siano più furenti per il sentimento dell’onore offeso o per la presenza di odiati dominatori. Il colore è vivo, architettato secondo una ‘verosimiglianza’ discreta ma sobria; il disegno è sciolto. In questa come in tutte le vaste composizioni di questo tipo si trattava per il pittore di agire come un abile regista : studiare atteggiamenti, ricercare costumi, ricostruire ambienti, identificare vedute. C. maltese, Storia dell’arte in Italia 1785-1943, I960.