Paolo Uccello: Episodi di vita eremitica (Tebaide)
Sull’opera: “Episodi di vita eremitica (Tebaide)” è un dipinto autografo di Paolo Uccello realizzato con tecnica a tempera su tela nel 1460, misura 80 x 109 cm. ed è custodito nella Galleria dell’Accademia a Firenze.
La composizione è stata realizzata su commissione per il monastero delle vallombrosane dello Spirito Santo alla Costa San Giorgio. Quando il convento fu soppresso l’opera venne spostata all’Accademia di Firenze, l’attuale sede, ove rimase fino al 1853, quando passò nei depositi della Galleria degli Uffizi. Da qui ritornò poi all’Accademia.
Assai articolata è l’iconografia e non tutte le figure, come pure gli episodi, sono state identificate.
La disposizione dei personaggi e delle storie, ad iniziare dal basso a sinistra sono così ritmati. La Vergine che appare a san Bernardo; sopra di essi un gruppo di monaci, inginocchiati intorno al crocifisso, si sta flagellando; nella zona centrale è rappresentato san Gerolamo in orazione di fronte al Crocifisso; in basso in un’ampia zona a destra vi è la predicazione di san Romualdo; sopra, al centro, compare san Francesco nell’atto di ricevere le stimmate.
Il dipinto, in precedenza assegnato a un seguace del Baldovinetti dallo Schmarsow [1901] e datato 1460, fu riferito alla scuola di Paolo Uccello dal Gamba (“RA” 1909) per le similitudini con “La caccia”, quando venne da lui rinvenuto nei depositi degli Uffizi.
Le ipotesi del Gamba furono accettate da Adolfo Venturi (1911) e da Van Marle (1928) ma la gran parte degli studiosi, tra i quali il Berenson (1932), Pudelko (1934), Salmi (1933 e 1950), Pope-Hennessy (1950) e Carli (1954) ritennero fosse opera del ‘Maestro di Karisruhe”.
La totale riconsegna della composizione a Paolo Uccello fu avanzata dal Boeck nel 1931 (ribadita poi nel 1939).
Lo studioso di storia dell’arte, evidenziandovi influssi di Lorenzo Monaco (Siena, 1365-1370 circa – Firenze, 1424), la riferì al periodo giovanile dell’artista, prima del 1420.
A sostegno della piena autografia si aggiunsero altri autorevoli nomi della critica tra cui il Marangoni (1932), Ragghianti (1945), Longhi (1952) e Sindona (1957).
Il Parronchi ed il Berti collocano l’opera nel periodo maturo di Paolo.