Pagine correlate alla pittura del Quattrocento: Primo Trecento – Al Trecento – Al fine Trecento – Al Quattrocento – Al Quattrocento veneziano – Al Cinquecento.
La pittura nell’apice del Rinascimento
Pittura del Quattrocento: nella seconda metà del Quattrocento fiorentino e nella prima metà del Cinquecento, nella regione romana ed in quella veneta, vediamo l’apice del Rinascimento nell’arte della pittura italiana.
La rapida e consistente trasformazione avvenuta nel campo culturale, il ritorno al gusto del classico antico come fonte d’ispirazione, tanto formale che razionale, la totale visione dell’arte intesa sempre più come strumento di conoscenza ed indagine diretta della realtà, sono i più importanti caratteri che distinguono decisamente questo prosperoso periodo, sostenuti da grandissime libertà di espressione e di ricerche, molto spesso sperimentali.
La trasformazione della società ed il passaggio dai Comuni alle Signorie è di notevole influenza sullo sviluppo dell’arte nel campo pittorico italiano.
Le corti signorili diventano punti cruciali di elaborazione, ricerca e di diffusione della cultura e delle tecniche in tutti i campi dell’arte. Nei signori del periodo c’è la volontà di abbellire ed adornare le loro proprietà e soprattutto la città in cui vivono, facendo sfoggio del potere e del prestigio della loro corte.
I grandi esponenti rinascimentali del tardo XV secolo si trovano perciò incoraggiati da parte di importantissime famiglie italiane, come ad esempio i Malatesta di Rimini ed i Monteferltro di Urbino con i quali lavorano Piero della Francesca, Raffaello e Paolo Uccello, i Gonzaga di Mantova dove opera Andrea Mantegna, gli Estensi dove prestano la loro opera Francesco del Cossa e Cosmè Tura, i Medici di Firenze dove lavorano Sandro Botticelli e il Pollaiolo.
A Venezia sorge in questo periodo un’importantissima scuola pittorica guidata da Giovanni Bellini, ma anche negli ambienti della Serenissima Repubblica iniziano le loro ricerche e sperimentazioni artisti provenienti da altre parti, come ad esempio Antonello da Messina.
(si vedano le foto qui rappresentate dei dipinti di Michelengelo, Veronese e Raffaello)
Agli inizi del Millecinquecento la grande scuola dell’arte pittorica italiana si concentra principalmente in alcune aree ben distinte: la scuola veneziana e quella veneta raggiungono uno sviluppo ed una maturità maggiore, passando dai concetti classici del Giorgione e del Veronese all’imponente forza drammatica che ritroviamo negli ultimi anni della lunga vita di Tiziano, dall’intimo linguaggio espressivo di Lorenzo Lotto ai caratteristici effetti di luci del Tintoretto.
Viene portata avanti la ricerca nella regione umbra, dove operano due importantissimi esponenti come Perugino e Raffaello.
Si afferma anche la Milano degli Sforza, dove opera anche lo stesso Raffaello, nel periodo maturo della sua breve vita, e dove si esprime il grande artista Michelangelo Buonarroti.
L’arte del Rinascimento, non solo nella pittura, vive qui la sua stagione più prosperosa durante la quale nascono moltissime monumentali testimonianze dell’arte italiana, di pittori, scultori e architetti, con una potenza tale da influenzare l’intero continente europeo.
I Sangallo
I fratelli Giuliano Giamberti da Sangallo (Firenze ca. 1445-1516) e Antonio il Vecchio (Firenze ca. 1455-1534), il loro nipote Antonio il Giovane (Firenze 1484-Roma 1546) sono fra gli artisti più grandi nel mondo dell’architettura rinascimentale toscana, in particolare fiorentina.
Al forte carattere e personalità di Giuliano si devono monumentali capolavori come Santa Maria delle Carceri a Prato e la villa Medici al Poggio a Calano (dal 1480). Antonio il Vecchio dà l’impronta a Montepulciano, con meravigliose costruzioni di palazzi e la chiesa di San Biagio. Antonio il Giovane, invece, attivo soprattutto a Roma e dintorni, è l’autore del palazzo Farnese, terminato poi da Michelangelo Buonarroti.
Pittori toscani ed umbri del Primo Rinascimento
Accenni schematici su Pittori toscani ed umbri (fonti delle ricerche: “L’arte italiana” di Mario Salmi).
Domenico di Bartolo
Domenico di Bartolo (probabili date: 1428-1447), che non ha avuto il tempo di raggiungere la sua maturità artistica perché scomparso in giovanissima età, tiene alta la tradizione senese.
La sua sollecitudine ad apprendere le novità che vengono dagli ambienti artistici fiorentini, con ampiezza figurativa e nitidezza del suo cromatismo, lo avvicina a Fra Filippo Lippi, come testimonia la Madonna col Bambino e Angeli, custodito nella Galleria di Siena.
Il Vecchietta
Il Vecchietta a differenza di Sassetta, suo maestro, si ispira alla pittura di Donatello, ma le sue opere risentono ancora del Gotico, come testimonia l’Assunzione, custodita nel Duomo di Pienza.
Francesco di Giorgio e Neroccio di Lando
Francesco di Giorgio e Neroccio di Lando, allievi del Vecchietta, sono ancora vincolati al delicato linguaggio senese alquanto chiuso e raccolto e ciò si evidenzia negli effetti coloristici e nel tratto scevro di energia, tipico dei fiorentini.
Nonostante tutto, Francesco di Giorgio sente molto il Botticelli e il Pollaiolo.
Piero della Francesca
Piero della Francesca si impregna di tutto il meglio che il Rinascimento ha dentro di sé. Egli è un grande teorico della prospettiva e l’applica nelle fasi preparatorie delle sue opere.
Nonostante il suo amore per la pittura di Donatello e Masaccio, per l’antico classico e per la pittura fiamminga, egli conferisce alle sue opere la propria originalità.
Luca Signorelli
Luca Signorelli, collaboratore da giovane, di Piero della Francesca, ha un temperamento diverso: conferisce all’uomo alti valori dinamici.
Influenzato soltanto in gioventù dalla pittura di Piero della Francesca, si avvicina al formalismo del Pollaiolo, con forme movimentate pur sempre realizzate con una salda struttura volumetrica, ma molto più articolate. Il Signorelli dà il meglio di sé nel tessuto anatomico dei nudi.
L’importanza che Luca dà all’uomo, risulta evidente nella Pala del Vescovo Vannucci, dove i caratteri fisici e morali delle figure umane, portati al massimo della definizione, rifuggono da ogni effetto di grazia.
In Umbria, i centri nevralgici della pittura rinascimentale sono Perugia e Foligno. In quest’ultima città il nuovo stile era già vivo fin dal Tardogotico con Bartolomeo di Tommaso e, dopo di lui, con Matteo di Gualdo, mentre il Gozzoli (Benozzo di Lese di Sandro, Firenze 1421, Pistoia, 1497) influenzava Mezastris e Niccolò il Liberatore (detto l’Alunno).
Carlo Crivelli
Carlo Crivelli realizza in Umbria un grande numero di Pale d’Altare. Esso conferisce alle suo opere una forte espressività ed una notevole precisione formale, nonostante il suo cromatismo poco vivace.
Nelle sue tematiche si evidenzia una decisa religiosità che richiama il misticismo dei flagellanti.
Benedetto Bonfigli
Benedetto Bonfigli (probabili date, 1454-1496) mantiene nella sua pittura molte caratteristiche gotiche, integrando le sue figure con i linguaggi di Angelico, di Di Bartolo e del Benozzo.
Alle sue immagini conferisce delicatezza e atmosfere sognanti.
Bartolomeo Caporali
Bartolomeo Caporali (1420?-1425), collaboratore di Bonfigli ha un temperamento spirituale più basso. Influenzato dal Benozzo e dai maestri fiorentino-umbri, è un attivissimo miniatore e pittore di gonfaloni, Pale d’Altare e di affreschi.
Fiorenzo di Lorenzo
Fiorenzo di Lorenzo (1440-1522) sente prima gli influssi di Niccolò da Foligno e della pittura veneta (Bartolomeo Vivarini in particolare), in seguito, quelli del Perugino, del Mantegna e del Pinturicchio. Nonostante questo il suo eclettismo ha un proprio filone, anche se modesto, affascinante.
Pietro Vannucci
Pietro Vannucci detto il Perugino parte dalla pittura di Piero della Francesca e del Verrocchio. Nel primo ricerca la spazialità, mentre nel secondo la misurata eleganza delle forme.
Bernardino di Betto
Bernardino di Betto (1454-1513) detto il Pinturicchio, allievo del Perugino, sente del suo maestro la vibrazione del cromatismo, che impiega nelle sue opere di decorazione. I suoi verdi e blu sono di un’eccezionale brillantezza, ma difetta della costruttività e spazialità del Perugino.
De Chirico ha scritto:
“In questo secolo di faticoso lavoro compiuto attraverso tutto il medioevo; i sogni di mezzanotte e i magnifici incubi di Masaccio o di Paolo Uccello si risolvono nella chiarezza immobile e nella trasparenza adamantina di una pittura felice e tranquilla, ma che serba in sé un’inquietudine come nave giunta al porto sereno d’un paese solatìo e ridente dopo aver vagato per mari tenebrosi e traversato zone battute da venti contrari. Il Quattrocento ci offre questo spettacolo, il più bello che ci sia dato godere nella storia dell’arte nostra, d’una pittura chiara e solida in cui figure e cose appaiono come lavate e purificate e risplendenti d’una luce intensa. Fenomeno di bellezza metafisica che ha qualcosa di primaverile e di autunnale nel tempo stesso”.
Una simile definizione del ‘400 merita di essere divulgata.
Grazie e cordialissimi saluti.