Giorgione: I tre filosofi (Vienna)
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Sull’opera: “I tre filosofi” è un dipinto del Giorgione, realizzato (con aiuti) nel 1504-1505 (1508?) impiegando la tecnica a olio su tela, misura 123,5 x 144,5 cm. ed è custodito nel Kunsthistorisches Museum a Vienna.
Nell’opera dei Filosofi, le tre enigmatiche figure, i tre magi, probabilmente Evandro, Pallante ed Enea (fonte: Wickhoff, 895), si trovano nella zona dove sorgerà Roma. Essi sono raccolti in primo piano e sopra una roccia la cui forma richiama la mano dell’uomo. La viva e folta vegetazione li avvolge e, nello stesso tempo, li mette in evidenza con un energico gioco di contrasti di chiaroscuro. La luce, che proviene da sinistra, ravviva i colori dei loro panneggi e gli rende morbido il carnato. Tra gli alberi, sulla destra, e la scura massa rocciosa vista in controluce sulla sinistra, si apre un paesaggio ed un cielo al tramonto. I colori predominanti sono quelli delle tre figure appartate in primo piano, che rappresentano un giovane e pensieroso sognatore, un vigoroso anziano ed un rassegnato orientale: tutto questo offre al fruitore dell’opera una enigmatica sensazione.
L’identificazione della tematica è stata, nell’arco dei secoli, oggetto di numerose ed accese discussioni tra gli studiosi di storia dell’arte. In un inventario, quello a noi più remoto, del 1659, il dipinto viene catalogato con il titolo de “I tre matematici”; in un altro, quello del Mechel (1783) viene riconosciuto con il nominativo de “I tre Magi che aspettano l’apparizione della stella”.
Nell’Ottocento, come pure nel Novecento, le interpretazioni non solo si intensificano ma si divaricano in tutte le direzioni: lo Janitschek (1871) ipotizza che i tre personaggi simboleggino l’antico, il medioevo e il moderno; il Wickhoff (1895), come sopra accennato, li identifica in Evandro, Pallante ed Enea; per lo Schaeffer (1910), due filosifi stanno colloquiando con Marco Aurelio; il Ferriguto (1933), analizzando a fondo il ruolo delle tre figure, pur accettando l’ipotesi avanzata dal Michiel (“in casa de M. Taddeo Contarino, 1525. La tela a oglio delli 3 phylosophi nel paese, dui riti ed uno sentado che contempla li raggi solari cum quel saxo finto cusi mirabilmente, fu cominciata da Zorzo da Castelfranco, et finita da Sebastiano Veneziano”), li vede incarnare i tre stadi del pensiero umano: il Rinascimento nel giovane, la cultura araba nell’uomo con il turbante e il medioevo nell’anziano. Qualcuno identifica il giovane seduto, nello stesso Giorgione.
Il dipinto, che nel 1659 apparteneva all’arciduca Leopoldo Guglielmo (1614-1662), pervenne al Kunsthistorisches Museum di Vienna dalle raccolte imperiali austriache. La tela subì un consistente restauro nello scorso secolo (L. BALDASS, Die Tat des Giorgione, in «Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien», LI, 1955, pp. 103-144 ), con ottimi risultati nella stesura pittorica, attualmente più viva e luminosa.
A proposito dell’opera in esame, Lionello Venturi nel 1954 scriveva: “ciò che costituisce l’afone poetico del quadro è questa potenza di giungere con la sensibilità pittorica a intravvedere quella concezione sentimentale del mondo che fu chiamata panteismo”.
Particolari dell’opera: