Citazioni e critica a Gentile da Fabriano
Cosa dicono i critici d’arte del Novecento di Gentile da Fabriano (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)
Pagine correlate all’artista: Biografia e vita artistica – Le opere – Il periodo artistico – Gentile da Fabriano dalle Vite di Vasari.
Come hanno parlato gentile da Fabriano gli studiosi di Storia dell’arte
A. Venturi, Le vite… scritte da G. Vasari: Gentile da Fabriano e il Pisanello, 1899
Gentile da Fabriano precorse l’Angelico nell’umile dolcezza delle Madonne che si vedono tra le siepi di mirti, di rose e di melograni, e sui prati fioriti …
Adolfo Venturi, Le vite… scritte da G. Vasari: Gentile da Fabriano e il Pisanello, 1899
Soavemente chinano il capo sotto il manto azzurrino, che lascia scoperti i capelli terminati ad angolo acuto al sommo della fronte, e guardano con gli occhi a mandorla socchiusi sotto le grandi sopracciglia.
Il loro volto è ovale, allungato, col mento tondo e il collo tornito; le mani, con le lunghe dita, e disgiunte non sono snodate, ma il loro atteggiarsi, anche per il ripiegarsi del mignolo, non è senza delicatissima grazia.
Le pieghe dei manti sembrano serpeggiare negli orli a mo’ di strisce gotiche e ricadere co’ lembi a punta. A mano a mano il Divin Bambino sulle braccia della Vergine acquista la vivacità propria: a Perugia siede tranquillo, a New Haven sembra sgusciare dalle braccia materne, a Orvieto ride come un faunetto antico, con gli occhi stretti e i dentini bianchi e le guance rigonfie.
Arduino Colasanti, Gentile da Fabriano, 1909
Rapporti assai più stretti passano fra la pala di Gentile [degli Uffizi] e la Adorazione dei Magi che i fratelli De Limburg dipinsero nelle Grandi Ore del Duca di Berry non più tardi del 1415.
Anche qui la folla dei dignitari orientali, con le orifiamme spiegate al vento, muove da città e da castelli lontani, accompagnata da una turba di scudieri e di mori; i ghepardi partecipano all’ampia scena e, particolare assai importante per/In svolgimento iconografico del soggetto, il Bambino carezza la testa del Re genuflesso, col gesto che il pittore fabrianese ripete.
Sono somiglianze queste che è difficile spiegare come il risultato di un identico stato di evoluzione della cultura e dell’arte, ma, se Gentile ebbe occasione di vedere qualche miniatura ispirata dal mirabile codice di Chantilly, egli lavorò amorosamente attorno a quel primo nucleo, trasse nuovi episodi dalla vita, ed espresse la propria idea con la maggiore semplicità di mezzi, in tutta la sua grandezza.
Venturi, Storia dell’arte italiana, VII, 1911
Ma presto egli morì, e a noi appare antico, ancóra come trecentesco pittore cortigiano, in tutte quelle forme lussureggianti, agghindate, splendenti. In generale le sue figure sono dipinte quali cose rare e preziose, pulite e levigate, lustre, con fornimenti d’oro e di gemme, con drappi regali.
I suoi costumi sono inesistenti, fantastici in gran parte, come quelli dei personaggi d’un racconto di fate. Egli non sa muoverli, incerto delle leggi della prospettiva e degli scorci; non riesce a costruire loro l’ambiente, ad allontanarne il paese che sembra un vaghissimo trastullo fanciullesco con i castellini, i cavalieri sui cavallucci in fila, le scimmiette e gli uccelli.
Il pittore che continuava la tradizione trecentesca, volle avvicinarsi all’arte che a gran sforzo rispecchiava la vita sociale, ma di questa riflesse soltanto, come per giucco, ori, broccati, gioielli con ogni finezza di orafo, con ogni vaghezza di miniatore, con ogni carezza della mano piena di cortesia.
Lionello Venturi, Attraverso le Marche, in L’arte, 1915
Tanto Gentile quanto Lorenzo [Salimbemj si adattarono alla moda delle linee tortuose del gotico internazionale, imitarono i costumi di origine francese, ma dell’internazionalismo furono tocchi in elementi esteriori all’arte loro, che svilupparono dal punto in cui era giunto Allegretto [Nuzi] secondo la diversa capacità e il differente temperamento.
Bruno Molajoli, Gentile da Fabriano, 1927
Gentile, infatti, ama abbandonarsi alla propria visione fantastica, lasciarsi prendere da essa, per un prezioso dono di spontaneità che fa somigliare le sue opere a fiori sbocciati così, per una forza ignota e miracolosa, nella rorida freschezza di un mattino.
Facilmente egli rinuncia al dubbio che importerebbe inquietudine e turbamento, volentieri si sottrae alla ricerca di nuovo, che significherebbe ansietà e contrasto; non è, e non potrà essere, per questo, un innovatore.
Prendendo se stesso a misura dell’umanità, di questa ignora i sentimenti più laceranti, gli oscuri tormenti, le sconvolgenti passioni: sembra ne ignori finanche la virtù del pianto; spirito timidamente affettuoso, conosce e sa intendere ed esprime la malinconia, la trepidazione, l’affanno anche; non il dolore.
Tra le sue opere cercheremmo inutilmente qualche riflesso di questo eterno sentimento umano: anche in quelle che potremmo chiamare le sue predilezioni iconografiche egli mostra d’ignorarlo: e infatti non piega mai la sua arte a raffigurare scene di morte, di patimento, di dolore, che pure erano tra i temi obbligati e più consueti che l’arte attingeva alla religione.
Roberto Longhi, Me pinxit, Un San Michele Arcangelo di Gentile da Fabriano, in “Pinacoteca”, 1928
Di certo Dio Padre non ebbe mai a guardiano, un più innocuo fannullone di torneo che codesto San Michele arcipennuto, allo stesso modo che il paradiso cristiano non ebbe mai ospiti più “incroyables” che i santi del polittico Quaratesi.
Tutta gente che non si sa come entrasse in cielo; non certo per una cruna d’ago e, insomma, della stessa casta di quei Magi miliardari — Nino, Sardanapalo, Dagoberto — della Pala di Santa Trinità.
Ne dubitiamo che anche il San Michele non appartenga a quello stesso momento fiorentino, dei modi del pittore; momento di fasto smisurato in cui ad una con Masolino, Gentile, dilatando teneramente la forma, così dilata i motivi della decorazione astratta; il tempo della pala Quaratesi e dell’Incoronazione della Vergine del Fabrianese, come dell’Annunciazione di Masolino nella raccolta Goldman;
dove i motivi più lenticolari s’ingigantiscono a coprir tutta l’opera come un solo frammento di enorme bordura immaginaria; ciò che avveniva a Firenze intorno al venticinquesimo anno del Quattrocento.
Luigi Serra, L’arte nelle Marche, II, 1934
Ma Gentile ha creato qualcosa che è accetto a tutte le anime umane, che le tocca veramente nell’intimo, ne trova la via immediata e sicura, cioè un tipo di bellezza delicata e soavissima, che ci affascina, anche perché nulla in esso rinnega l’umano e tuttavia reca il segno di un mondo sconosciuto e fantastico, al quale aspiriamo dalle più secrete profondità del nostro sogno.
E anche la colorazione smaltata, l’inebriante ornamento, il poetico paesaggio partecipano di questo superiore mondo incantato. Mentre i partiti ritmici su ondulate cadenze, rotte a quando a quando da qualche notazione ferma sembrano formare quasi l’atmosfera musicale in cui le cose, come le ha trasfigurate l’artista, svolgono naturalmente la loro magica vita.
Roberto Longhi, Fatti di Masoliao e di Masaccio, in “Critica d’arte”, 1940
Eppure è facile intendere di che peso sarebbe accertar ‘come’ Gentile dipingesse in effetti sui primi del Quattrocento in Lombardia, a Venezia o chissà dove. Giurerei che le onde della tempesta dipinta in Palazzo Ducale tra 1’8 e il ’14 e tanto vantate dal Facio, grande ammirator di fiamminghi, eran già della famiglia stupefacente di quelle che si svolgono intorno alla barca di Giuliano e Marta nelle “Ore di Torino”; ma è una scommessa che, purtroppo, non si può fare […].
Dalle opere più tarde del maestro (e dubito che quelle che conosciamo sian sempre opere piuttosto tarde), si può tuttavia cavar tanto da concludere che quel suo puntuale naturalismo di particolari, rilegato poi nei ritmi teneri e persino un po’ flaccidi del gotico estremo, non ebbe agio di comunicarsi in alcun senso allo spirito di Ma saccio.
Sarebbe semmai da assumere cautamente il contrario, e cioè che durante il soggiorno fiorentino qualche tratto di novità non sfuggì all’occhio insinuante di Gentile: la Madonna al centro del polittico Quaratesi, fiancheggiata da angeli attenti, composti, mostra un’inclinazione a semplificare che è pur toscana: non dico di Masaccio, ma di Masolino, almeno o del Ghiberti o dell’Angelico. Anche a veder, nell’affresco di Orvieto, il riso quasi sfrenato del Bimbo, il suo gesto stesso a torcer la mano della Vergine, e questa dalle guance grevi e affossate […].
Charles Sterling, Un tableau inédit de Gentile da Fabriano, in “Paragone”, 1950
[…] Gentile, capace di unire l’arabesco e il rilievo, di equilibrare le masse colorate in un gioco sottile di opposti valori, d’introdurre un movimento musicale in una composizione ferma e statica; oltre a tutto, di conservare una naturalezza, una toccante umanità in un ambiente di lusso e d’eleganza tra i più raffinati.
Così più del Pisanello, le cui forme sono più solide, ma freddamente asservite alla resa del vero, Gentile condusse l’arte cortese alle estreme possibilità, come lo fecero fuori d’Italia i suoi ultimi grandi rappresentanti che cercavano di arricchirla di valori spirituali; l’ardente sognatore, il Maestro de Trebon (Wittingau), il mistico di importazione, il Maestro delle Ore di Rohan. Gentile, sereno e squisito, si contenta di lasciarci ‘una dolce memoria’.
Luigi Grassi, Tutta la pittura di Gentile da Fabriano, 1953
[…] sentiamo che Gentile ha attinto ancora coerenza, equilibrio di elementi, fedeltà alle proprie aspirazioni.
In altri termini, il maestro marchigiano, fino all’ultimo, ha saputo conservare alto il grado della qualità dell’arte, tramite quella sua costante serenità morale, che gli ha consentito di assimilare e riesprimere in una propria, diversa sintesi i componenti di culture spesso molto diverse, o addirittura antitetiche.
Questo dunque, il senso del cosmopolitismo; il significato della sua situazione concretamente europea, ‘internazionale’, nella pittura del primo quarto del XV secolo. Ma anche, diremmo, la partecipazione di Gentile alle nuove aspirazioni del Quattrocento. In quanto, cioè, l’artista fornisce la concreta riconferma, tramite le proprie opere, della conciliabilità fra l’onesta tradizione del Gotico, e il fermentare umanistico delle nuove idee, che equivale dunque alla possibilità di trasferire, disciogliere e risolvere senza più residui, per via osmotica e fino alla fusione, quel ricco e ancora amabile passato entro la diversa W eltanschauung rinascimentale.
Forse, l’idea di un Gentile da Fabriano umanista potrà far sorridere taluno; ma certamente egli lo è nel maturo equilibrio, idealmente classico, che la Madonna di Velletri esprime; o nella serenante e però intensa umanizzazione dei volti della Vergine e del Bambino, nel medesimo dipinto.
Carlo Volpe, Due frammenti di Gentile da Fabriano, in “Paragone”, 1958
Converrà allora domandarsi a che punto dell’opera di Gentile convengano questi due pigri, elegantissimi apostoli […]. Che essi siano nati per i pilastri di un polittico lo dicono le misure e il formato; e di un polittico, senza dubbio di grande impegno suntuario come, fra quelli noti, sono stati il polittico di Valle Romita e quello Quaratesi, proprio ai due capi opposti del percorso di Gentile.
Facile, in tal caso sarebbe indicare senza incertezze, una inclinazione stilistica dei due Santi Berenson verso il più antico dei due altari, tanto si prolunga, in similissima guisa la misteriosa arcatura, l’indicibile lun- ghezza della frase ritmica; dove trascorre in una circolazione senza fine lo stesso torpore esistenziale dei Santi oggi a Brera, e con la stessa lentezza dei moti che destano, la stessa ‘indifferenza’ di crescere e di spandersi, nella forma, come crescono gli steli e si espandono i fiori.
Wart Arslan, Gentile ila Fabriano, in “Enciclopedia universale dell’arte”, V, 1958
Ma l’Adorazione dei Magi è opera di straordinaria complessità all’incrocio delle più alte esperienze raggiunte in quegli anni dalla pittura italiana; e va detto anzitutto quanto sia notevole l’abilità senza sforzo apparente con cui il Marchigiano riduce a proprio linguaggio elementi lombardi (le donne dietro la Vergine), senesi (il gruppo divino derivato da Taddeo di Bartolo) e di altra origine, rendendo l’idea di una facoltà di sintesi – nell’aspirazione a uno stile non più regionale — che, se non pari, è certo simile a quella che distinguerà più tardi i suoi conterranei Raffaello e Bramante.
Frederick Antal, la pittura fiorentina e ti suo ambiente sociale nel Trecento e nel primo Quattrocento, 1960
Ma anche in questo periodo tardo non si perdono del tutto gli elementi mistici, in certo senso ‘popolari’ della sua arte; neppure a contatto con l’alta borghesia fiorentina, che in definitiva era il vero sostegno del movimento dell’Osservanza. Con Gentile non si può mai dire – si veda ad esempio, la Natività che è nella predella della grande Adorazione – dove cessino gli elementi mistici e favolosi nella rappresentazione, nei particolari, negli effetti di luce, e dove cominci la sua frequente osservazione della natura.
Anche l’Adorazione risente l’influenza non solo delle Très Riches Heures del Duca di Berry, ma, ancor più di un quadro tipicamente gotico-popolare, l’Adorazione di Bartolo di Predi (Siena, Pinacoteca), l’artista principe del periodo democratico a Siena. Senza dubbio Gentile ha impresso una delicata raffinatezza alle schematiche e bambolesche figure, riccamente vestite, di Bartolo, goffa imitazione di un’arte aristocratica: soprattutto ha svolto la narrazione con un realismo di particolari assai minuto. Nondimeno perdura il rapporto stilistico, che fa intendere come Gentile manifestamente abbia tratto da Bartolo non solo l’affollata disposizione generale, ma anche numerosi motivi singoli.
E. Micheletti, L’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano, 1963
Anche Gentile, tuttavia, come tutti i pittori gotico-cosmopolitani, ricerca e rappresenta la realtà: una realtà spicciola e minuta, fatta di piccole cose, di oggetti, di fiori, di animali. Uno specchio della vita cortese di quel primo scorcio del Quattrocento, in cui però ogni più semplice forma si muta in oggetto prezioso. Così il suo vero si trasforma e si intesse di colori di fiaba, come fiaba era, in fondo, l’apparenza rispecchiata nell’arte del mondo cortese del Nord.
Liana Castelfranchi Vegas, II Gotico Internazionale in Italia, 1966
Intento così a scavare sempre più a fondo nel proprio mondo medievale, anche Gentile non sembra avvedersi delle grandi novità che gli andavano crescendo vicino nella Firenze del 1425, l’anno in cui dipinge il polittico Quaratesi.
E se qualche cosa traspare in lui dell’ambiente fiorentino, sono sempre accenti ghibertiani dei nobili profeti sdraiati sulle cuspidi dell’Adorazione e forse masoliniani nel polittico Quaratesi. Qui tuttavia vi è pure una insolita semplificazione di forme, una nuova misura decorativa, che ricompare nella bellissima Madonna adorata da San Lorenzo e San Giuliano, di collezione privata francese, pubblicata dallo Sterling, cui si aggiunge un sentore appena di plasticità e di spazio nel volto proteso e scorciato di San Lorenzo, acutamente pensoso.
Vedeva forse giusto il Vasari che parlava con entusiasmo della predella del polittico Quaratesi come della cosa più bella di Gentile. Qui Gentile si inoltra sulla strada di intimismo luminoso e sentimentale iniziata nella predella dell’Adorazione e raggiunge toni di alta poesia nella scena degli infermi alla tomba di San Nicola […] con quell’andirivieni di povera gente malata, l’ossessa, lo storpio, il paralitico portato a broccia […].