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La pittura nel Nord Europa
Caspar David Friedrich (1774-1840), conferisce alla sua opera “Il Naufragio della Speranza” (1824) una valenza politica. La raffigurazione della nave, vinta dalle forze della natura durante un viaggio polare, esprime il naufragio delle speranze di un’intera nazione durante la Restaurazione. L’opera raffigura addirittura l’assenza dell’uomo, divorato da una natura agitata e confusa: resta soltanto il ricordo silenzioso, il segno fra gli elementi naturali devastanti ed ostili.
Di tutto un equipaggio avventuroso, nulla resta. Si vedono confusamente soltanto pochi resti della nave “Speranza” in mezzo alle lastre di ghiaccio che danno forma ad un orribile monumento sepolcrale, a caratteristiche piramidali, elevata nel cielo tetro. È questa un’immagine probabilmente partorita dalla sua ricca fantasia, fatta soprattutto di angosce: Friedrich vide morire suo fratello inghiottito dalle acque gelide mentre voleva salvarlo in seguito ad una caduta in una pista di pattinaggio su ghiaccio.
Nelle sue opere, la natura è un organismo che è sempre presente, che ha vita, che palpita. Il dipinto “Il viandante nella nebbia“, che raffigura un suo amico scomparso (probabilmente un certo Van den Brinken), vuole simboleggiare il destino dell’uomo e la transitorietà stessa della vita. La nebbia, infatti, è collegata agli errori umani che devono essere superati con l’aiuto della fede cristiana.
L’opera è da alcuni considerata come il manifesto del Romanticismo, dove l’uomo viene raffigurato in solitudine, con le sue incertezze, le sue fragilità, i suoi dubbi, a confronto con la forza della natura. Fa molto clamore il dipinto “La croce tra le montagne” (1807-08): con il Cristo in croce pressoché inghiottito dal contesto naturale, che si trasforma in messaggero di un dolore universale ed esistenziale: quello stesso dolore che il Neoclassicismo aveva “riscattato” attraverso un linguaggio dignitosamente misurato. L’opera, realizzata senza nessuna richiesta, verrà in seguito esposta come pala d’altare nel castello di Tetschen.
Le antiche rovine si trasformano per l’artista nel simbolo di un ambiente sociale, ove l’isolamento dell’uomo e la frivolezza delle sue azioni si trovano delimitate dal gelo, da un scenario lugubre.
L’Abbazia inserita in una foresta fatta di querce (1809-10) simboleggia le vestigia di una creazione umana sperduta nell’universo, in una verità soprannaturale, dove l’artista che l’ha creata, otterrà la soluzione nella consolazione, spesso anche per altre vie, esprimendosi nelle opere religiose.
Le opere di Friedrich possono essere interpretate come metafora della divinità, dove ogni lasso di tempo diventa una speranza di eternità; queste trasformano il paesaggio in un ambiente imperfetto e misterioso, nel quale l’uomo non è capace di governare i suoi elementi; un mistero senza fine.
La natura del nord, rappresentata in contrasto con il paesaggio mediterraneo, assume una valenza nazionalistica, in armonia con gli intenti dei grandi letterati dello Sturm und Drang, movimento protoromantico che, oltre tutto, si propone di liberare le arti tedesche dagli influssi centro-europei, specialmente da quelli francesi. Cosa dice dell’artista in esame la critica contemporanea.
Gli artisti inglesi del Romanticismo
Il sentimento della patria è avvertito anche in Inghilterra, dove William Turner (1775-1851), nell’opera la “Bufera di neve”, in cui rappresenta Annibale con i suoi soldati mentre oltrepassano le Alpi (1812), rovescia i significati delle raffigurazioni di David, che aveva dipinto Napoleone al passo del San Bernardo (1801) come novello Annibale. L’artista inglese l’aveva potuta apprezzare nello studio del maestro francese mentre si trovava in soggiorno a Parigi nel 1802; a distanza di dieci anni esatti realizzerà un’opera dove il personaggio principale non è più dominatore delle proprie vicende, ma un uomo soggiogato da una natura a lui ostile. Turner sconvolge la percezione lirica di un tuffo nella natura di Alexander Cozens (1717-86) e continua oltre la spontaneità del linguaggio di John Constable (1776-1837), riversandosi in un genere di panteismo splendente, di mistica della luce.
Thomas Gainsborough (1727-88) aveva già da tempo scoperto la magia misteriosa dei colori con i suoi tocchi quasi abbozzati, fluidi, indeterminati. Per Reynolds l’artista lavorava in simbiosi con la natura: dipingeva «nello stesso modo in cui la natura creava le proprie opere». La consuetudine nobile del ritratto, va avanti e si rafforza con Gainsborough. Altri grandi interpreti di questa tradizione aristocratica pittorica sono Sir Joshua Reynolds (1723-92) e Sir Thomas Lawrence (1769-1830), quest’ultimo nominato pittore personale del re nel 1792, ritrattista dei trionfatori di Waterloo alloggiati nel castello di Windsor.