Citazioni su Delacroix
Itinerario critico di Delacroix (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)
Pagine correlate: Le opere dell’artista – La sua biografia – I suoi scritti sul Journal – Il periodo artistico di Delacroix
Cosa hanno detto le più autorevoli voci della Storia dell’arte su Delacroix
Charles Baudelaire, in ‘Le Pay” 1855
(…) Bisogna anzitutto notare, ed è importantissimo, che, visto da un punto troppo distante, per poter analizzare o anche solo comprendere un soggetto, un quadro di Delacroix ha già prodotto un’anima un’impressione ricca, felice […] Sembra che il colore, mi si perdonino questi sotterfugi del linguaggio per esprimere delle idee delicatissime, pensi da sé, indipendentemente dagli oggetti che riveste. […] Un poeta ha tentato di esprimere queste sensazioni sottili con versi la cui sincerità può menar buona la bizzarria:
Deiacroix, lac de sang, hantè des mauvais anges,
Ombragé par un bois de sapins toujours vert,
Où, sous un ciel chagrin, des fanfares estranges
Passent commi un soupir étouffé de Weber.
Lago di sangue: il rosso; frequentato dagli angeli cattivi: soprannaturalismo ; un bosco sempre verde : il verde, complementare del rosso;
un ciclo mesto: i fondi tumultuosi e tempestosi dei suoi quadri; le fanfare e Weber: idee di musica romantica cui svegliano le armonie del suo colore. […]
Che sarà Delacroix per i posteri? […] Diranno, come noi, che fu un accordo unico delle più stupefacenti qualità; che ebbe, come Rembrandt, il senso dell’intimità e la magia profonda, lo spirito di combinazione e di decorazione come Rubens e Lebrun, il colore feerico come Veronese, ecc. ma che ebbe anche una qualità sui generis, indefinibile e definente la parte melanconica e ardente del secolo, qualcosa di interamente nuovo, che ha fatto di lui un artista unico, senza generatori, senza precedenti, probabilmente senza successori, un anello così prezioso che non ve n’è nessuno di ricambio e che, sopprimendolo, se una tal cosa fosse possibile, si sopprimerebbe un mondo d’idee e di sensazioni, si farebbe una lacuna troppo grande nella catena Storica.
Charles Baudelaire, in “L’Opinion nationale” 1863
Eugène Deiacroix era, oltre che un pittore innamorato del proprio mestiere, persona di cultura generale [,..]. Era la mente più aperta alle cognizioni e alle impressioni tutte, l’uomo dal gusto più eclettico e più imparziale, […] freddamente deliberato a cercare i mezzi d’esprimere la passione nella maniera più visibile. In questi due caratteri troviamo, sia detto di volo, i due segni che distinguono i più solidi ingegni, ingegni estremi […].
Una passione immensa, sostenuta da una volontà formidabile, ecco l’uomo. Il quale diceva di continuo: “Poiché considero l’impressione trasmessa dalla natura all’artista come la cosa più importante a tradursi, non è forse necessario che questi sia preventivamente armato di tutti i mezzi più rapidi d’espressione?”.
È evidente che agli occhi suoi l’immaginazione era il più prezioso dono, la facoltà più importante, ma che questa facoltà restava impotente e sterile se non disponeva di un’abilità rapida, atta a seguire quella grande facoltà dispotica nei suoi capricci impazienti. […]
A codesta sua preoccupazione incessante sono da attribuirsi le perpetue ricerche relative al colore, alla qualità dei colori, la curiosità delle cose della chimica, e le conversazioni coi fabbricanti di colori; per cui si accosta a Leonardo da Vinci che, lui pure, fu invaso da tali ossessioni. […]
Ancora Charles Baudelaire, in “L’Opinion nationale” 1863
La natura esterna non porge all’artista che l’occasione sempre nuova di coltivare questo germe : essa stessa non è che un cumulo incoerente di materiali, che l’artista è chiamato ad associare e a mettere in ordine, un incitamentum, una sveglia per le facoltà sopite. In realtà, nella natura non c’è ne linea ne colore.
L’uomo crea la linea e il colore. Sono due astrazioni, che derivano la loro nobiltà da una medesima origine. […] La linea e il colore fanno entrambi pensare e sognare; i piaceri che ne risultano sono di natura diversa, ma perfettamente uguali e indipendenti assolutamente dal tema del quadro. […] Vi ho detto che, nonostante il velo mortificante d’un raffinato incivilimento, era soprattutto la parte nativa dell’anima di Delacroix a colpire l’osservatore attento.
In lui tutto era energia, ma energia venuta dai nervi e dalla volontà; che fisicamente era sottile e delicato. La tigre, proiettata verso la preda, non ha altrettanto lampo negli occhi e, nei muscoli, fremiti così impazienti, come ne mostrava il nostro grande pittore, quando tutta l’anima gli vibrava verso un’idea o voleva impadronirsi di un sogno.
Paul Signac, D’Eugene Delacroix au néo-impressionnisme, 1899
Appena uscito dall’atelier di Guérin, nel 1818, Delacroix sente [‘insufficienza della tavolozza troppo carica di colori cupi e terrosi che aveva usato fino allora. Per dipingere il Massacro di Scio (1824), ha la forza di escludere le ocre e le terre mutili e sostituirle con bei colori intensi e puri : azzurro cobalto, verde smeraldo, lacca di garanza.
Nonostante tale audacia, presto avvertirà di non aver ancora raggiunto i suoi scopi. Invano disporrà sulla tavolozza una gran quantità di semitoni e mezzetinte preventivamente preparati con cura. Sente ancora, il bisogno di nuove risorse e, per l’ornamentazione della Sala della Pace [al Lussemburgo, 1854], arricchisce la sua tavolozza (che Baudelaire rassomiglia a un “mazzo di fiori sapientemente assortiti”) di un sonoro cadmio, un pungente giallo di zinco, un vigoroso vermiglio, cioè dei colori più intensi che un pittore abbia a disposizione.
Rialzando con questi potenti colori — giallo, arancione, rosso, porpora, azzurro, verde e giallo-verde — la monotonia dei molti, ma scuri, in uso prima di lui, egli crea la tavolozza romantica, in un tempo raccolta e tumultuosa. Occorre notare che questi colori, puri e franchi, sono precisamente quelli che più tardi comporranno, a esclusione di ogni altro, la tavolozza semplificata degli impressionisti e dei neo-impressionisti. […] In lui il colore ha ogni volta un linguaggio estetico conforme al suo pensiero.
Il dramma che ha concepito, il poema che intende cantare si esprimerà sempre attraverso un colore appropriato. Questa eloquenza del colore, questo lirismo dell’armonia, è la grande forza del genio di Delacroix. Grazie a tale comprensione del carattere estetico del colore egli potrà con estrema sicurezza e ampiezza esprimere il proprio sogno e dipingere di volta in volta i trionfi, i drammi, l’intimità e il dolore. […]
Ancora Paul Signac su D’Eugene Delacroix …
Per mezzo secolo Delacroix si è dunque sforzato di ottenere più luce e più splendore mostrando così la via da seguire e lo scopo da raggiungere ai coloristi che gli dovevano succedere. […] A loro ha chiarito quali siano i vantaggi di una tecnica sapiente, logica e articolata, che non impaccia in nulla la passione del pittore, bensì la fortifica.
Ha rivelato il segreto delle leggi che reggono il colore: raccordo dei similari, l’analogia dei contrari. A loro ha mostrato che un colore unito e piatto è inferiore al colore prodotto dalla vibrazione di elementi diversi combinati fra loro.
Li garantisce sulle possibilità della funzione ottica che permette di creare nuove tonalità. Li consiglia di bandire il più possibile i colori scuri, sporchi e opachi. A loro insegna che si può modificare e abbassare un tono senza sporcarlo eseguendo l’impasto sulla tavolozza.
A loro indica la portata morale del colore che contribuisce all’effetto del quadro; li inizia al linguaggio estetico dei toni e dei valori. Li esorta a tutto osare e a non temere mai di caricare di eccessivo colore le loro armonie. Il grande creatore è anche un grande educatore: il suo insegnamento è prezioso quanto la sua Opera.
Lionello Venturi, Pittori moderni, 1946
Egli disegnava d’istinto e di foga, e coloriva di scienza, perciò è stato considerato un cattivo disegnatore e un grande colorista. Oggi invece ci accorgiamo che quel colorire di scienza, importante come conquista del gusto, come impulso all’arte a venire, era un ostacolo alla libera espressione della personalità dell’artista e doveva essere distrutto nel semplice effetto di luce e di ombra.
Così che proprio la forma di Delacroix, quella forma deformata, libera da ogni naturalismo e subordinante a sé stessa il colore, dava all’opera intiera la sua unità, riassumeva in sé l’impeto creatore, era essa l’impronta della fantasia, l’espressione del genio.
[…] Chevaux arabes se battant dans une écurie, del Museo del Louvre, è opera anch’essa del 1860. Mancano i colori, ma la luce e l’ombra sono realizzati in un modo degno di Rembrandt. E la furia dei cavalli è espressa da linee luminose, indipendenti dalla naturalità dei cavalli, in un modo che sa di prodigio.
Ancora Lionello Venturi, Pittori moderni, 1946
Chi ricordi il cavallo impennato del Massacro di Scio, può intendere quanta retorica torbida fosse nel Delacroix del 1824, e com’essa turbasse la natura senza saperla muovere. Nel 1860 il pennello di Delacroix scorre leggero, signore di sé, non insiste, non s’intorbida, ma rivela fuor della penombra di una scuderia, non due cavalli, ma veramente gli éclairs dei cavalli.
Perciò verso la fine della vita, attraverso una lotta tormentosa, sempre sorretto da un’alta nobiltà di sentire, Delacroix seppe fondere le sue qualità di uomo e di pittore. Per affermare il suo gusto, per imporre la sua personalità prepotente, aveva riempito immense tele, aveva compiuto monumentali decorazioni.
Ma tutto quello che di artificiale, di sforzato, di voluto era insito nel gusto del tempo, si era infiltrato nella sua produzione, proprio per la necessità della lotta. Quando invece egli si ritirò dalla lotta, e dipinse per la necessità di dipingere, e seppe fare tutte le rinunzie, dalla gioia della bellezza alla scienza del colore, allora in alcuni piccoli quadri, che furono colloqui con se stesso, la foga divenne visione, lo spasimo divenne malinconia, la passione divenne meditazione, e la sua forma fu così spirituale, come di rado la storia ricorda.