Citazioni e critica a Honoré Daumier nel secolo scorso (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)
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Cosa hanno detto le più autorevoli voci della Storia dell’arte su Honoré Daumier
Vincent Van Gogh, lettera al fratello Theo, 8 febbraio 1883
… Scopro in lui uno spirito acuto e riflessivo, è d’animo sublime ma insieme estremamente sensibile e passionale … Possiamo trovare le stesse caratteristiche in alcune teste di Frans Hals.
Vincent Van Gogh, lettera al fratello Theo, luglio 188…
… Uomini come Daumier dobbiamo venerarli, perché sono i veri pionieri,
H. Marcel, Honoré Daumier, 1906
… ma più spesso Daumier … non perfeziona, lascia alla propria opera qualcosa di indeterminato, che dilata le forme e libera i movimenti. Per creare la luce, rileva le ombre, uniforma o contrasta i valori, come gli olandesi o Decamps. Preferisce i toni caldi e attutiti, i rossi, i bruni, i verdi di smalto, sui quali spesso spicca un giallo o un azzurro vivo.
Sovente li modella con il manico del pennello, traccia solchi, lascia uno spessore su cui si posa la luce; ricorre poco alla vernice, che spegne gli accenti della forma. I suoi neri hanno una qualità ammirevole: mai esili o piatti, non creano vuoti, hanno un indefinibile ardore segreto, come se sotto vi fossero rossi od ori.
La tecnica, la tavolozza sono in perfetta armonia con i temi: gli esseri che dipinge hanno i muscoli fermi, il corpo tornito, le articolazioni segnate; siano i potenti pettorali di un lottatore, o le spalle larghe e pesanti di una lavandaia, o le braccia villose e muscolose dei ‘forti’, la decisione e l’ampiezza del suo tratto creano la massa e il rilievo voluti.
L. Nazzi, Honore Daumier, 1911
Non è facile rendere conto dell’influenza di Daumier, poiché è impossibile seguirne la penetrazione, nell’arte di ieri e di oggi. Ma occorre dire che questa influenza, evidente, tangibile, in certo modo scatenata, è immensa: la generazione attuale, lo voglia o no, la subisce, ne è sommersa. Delacroix cercò di imitare le sue Bagnanti: da allora, quanti giovani artisti hanno domandato al grande Daumier un consiglio chiaro e vitale!
La sua è un’arte sana, franca e libera; il suo esempio è di una virtù senza eguali; insegna, come insegna un albero carico di frutti, una donna gravida, un operaio che riposa. Come la vita e la natura, l’opera di Daumier ignora il linguaggio della critica d’arte; è emozione pura che parla, attraverso gli occhi, soltanto al nostro cuore.
Sarebbe vano citare chi, dopo averlo avvicinato, capito e amato, si è svelato a se stesso, si è trovato più forte, più maturo, più ricco di certezze ed energie. Toulouse-Lautrec, Degas, Forain, Steinlein Bernard-Naudin, per citare a caso qualcuno dei grandi, si sono abbeverati alla fonte della sua parola.
Cézanne, per esempio, ha preso coscienza della propria missione di fronte ai Delacroix del Louvre e a qualche Daumier visto per caso. Insomma, tutto ciò che è stato fatto di nuovo, di giusto, di vitale e di buono in arte negli ultimi cinquant’anni, è saito osato e risolto con la sua complicità, più o meno confessala- riconosciuta o no. Secondo l’immagine di Baudelaire, Daumier è un faro, fra i più alti e abbaglianti, eretto sugli scogli e :;3Ee questi incrollabile, che volge i suoi raggi all’infinito, sul “issato e sul futuro …
P. Cézanne in E. Bernard, Cézanne, 1912
Il vino è stato un male comune a molti di noi. […] Daumier beveva troppo. Che pittore sarebbe stato senza vino.
G. Eschoueh, Daumier: Peintre et Lithographe, 1923
… la tecnica pittorica di Daumier non è poi così unica come si è voluto sostenere. Nel suo desiderio di perfezione, nella sua inquietudine di artista giunto tardi alla pittura, Honoré Daumier varia continuamente il procedimento : qui copre appena la tela e si contenta di una leggera velatura diluita; qui ancora lavora di spatola nella pasta densa; là infine si destreggia con la vernice senza dar tregua alle diverse tonalità.
È evidente che un tale eclettismo tecnico sembra fatto apposta per incoraggiare i falsari. Per questo Daumier pittore è relativamente facile da imitare, mentre Daumier disegnatore sfugge totalmente agli imitatori.
Erich Klossowski, Honoré Daumier, 1923
La sua ‘maniera’ può essere paragonata a quella di Balzac, che in letteratura è considerato il creatore del realismo. Si attiene al vero, ma con gli arricchimenti e i sacrifici dell’arte, dice Gautier del poeta … Come Balzac, Daumier è il grande romantico tra i realisti; tra i pittori è, come Delacroix, uno degli ultimi poeti …
Di questo egli condivide non solo la passione drammatica, la visione poetica, ma anche l’arte della composizione, che compendia ogni pienezza dell’espressione in un gesto possente. Come i quadri di Delacroix, anche i suoi nascono da masse che confluiscono da ogni parte e si uniscono con un ritmo spumeggiante. Ma dove Delacroix si serve di colori, Daumier muove onde di toni, masse di chiari e di scuri.
La sua composizione si basa su una geniale distribuzione diagonale di superfici, determinata dal gesto, dagli accenti assommati plasticamente, dall’apporto della luce. Sempre passa nello spazio come un lampo, che rapisce lo sguardo in un movimento repentino, come un colpo di vento che sferzi le acque sollevando possenti spruzzi.
Ancora Erich Klossowski, Honoré Daumier, 1923
In Delacroix la tempesta solleva un intero mare e turba il ciclo di sopra. La sua superficie è solcata da fulmini guizzanti, da fiamme palpitanti. La sua linea è simile a una serpentina che si innalza e si abbassa : crea ruscelli e rigagnoli per farvi scorrere il colore.
A Daumier non era negata la bellezza armonica del colore, ma essa non è lo strumento essenziale del suo linguaggio: si presenta come un ornamento, come un’attrattiva, non come un irrinunciabile mezzo di espressione; i suoi colori sono il nero e il bianco; usa il pennello solo perché decuplica le possibilità d’effetto della natura. Abbiamo visto che in lui è anche lo scultore: la sua pittura tende sempre al tridimensionale.
Rispetto alla linea evolutiva che da Delacroix, passando per Manet, conduce alla pittura per zone cromatiche, Daumier appare un reazionario. Arrivò a conoscere ormai in età avanzata l’impressionismo di Renoir e Monet, e lo respinse, come racconta Monet, senza comprenderlo. Il suo ascendente, come uomo e artista, si è esercitato più che altro sul piano morale.
Altre citazioni di Erich Klossowski, Honoré Daumier, 1923
Tuttavia era così completa la sua personalità, che sapeva dare sempre qualcosa a chiunque si rivolgesse a lui. Parti di lui hanno continuato a vivere, la generazione successiva ha trovato nelle sue immagini di vita quotidiana una formula che apriva all’artista nuove strade. Adottava, nella resa dei particolari, audaci soluzioni compositive che Degas seppe mettere a frutto.
Attraverso la mediazione di Millet, il suo appassionato contorno venne trasmesso a Van Gogh. Il suo effetto più profondo è forse riservato al futuro. Quest’arte, non retta da alcuno scopo, non stimolata da alcuna necessità, realizzatasi nell’isolamento, rassomiglia a una sorgènte che scaturisce in luogo nascosto, e le cui acque conservano ringiovanenti forze di vita.
Henri Focillon, Honoré Daumier, in “Gazette des Beaux-Arts”, 1929
In lui, lo spirito e l’arte possiedono due virtù di cui noi siamo totalmente sprovvisti: il senso del mistero e quell’istinto eroico che non esclude la tenerezza umana. Per questo ancora a lungo rimarrà impenetrabile chi riassunse in sé il senso della strada, spuma leggera che brilla e muore nel mare di Parigi. Così la sua arte, senza dubbio unica nella nostra storia, continua Rabelais attraverso Balzac e si collega alla dinastia dei maestri del nostro spirito.
C. Roger-Marx, prefazione al catalogo della mostra all’Orangerie, 1934
È senza dubbio un pittore degno di ammirazione, che spesso si innalza al livello dei geni fiamminghi e italiani. Ma è un grande pittore a cui — e lo diceva lui stesso — mancò il tempo. Spesso parte da un ricalco, da una preparazione a quadrettatura, e congela il tratto magistrale del disegno.
Inizia allora, contro la densa materia, una battaglia forse un po’ lenta, se paragonata a un temperamento così violento. Non si perde la splendida orchestrazione dei valori: la governa con la sublimità dell’arbitrario, con quelle grandi semplificazioni in cui i toni particolari sono astratti, mentre vengono esaltate la densità generale dell’atmosfera e le masse essenziali sempre in movimento (anche se si tratta di oggetti immobili).
Ma spesso è il colore a metterlo in difficoltà. Gli oppone resistenza, come resisterebbe a un intruso che voglia portare scompiglio in un sistema ordinato. Si vede la sua mano maschia usare il pennello come una penna, o come userebbe il carboncino, intervenire con rabbia contro la seduzione del colore, rilevare i contorni, la vita di ogni piano prospettico, di ogni piega: piega di stoffa, di carne, piega di sole.
Al tragico, consueto nel disegnatore, così libero sulla pietra o sul foglio bianco, alle smorfie dei personaggi, talora si mischiano sussulti più angoscianti: quelli di un dio che soffre quando si avventura in un mondo dove i suoi ordini non sono eseguiti senza esitazioni.
Giovanni Scheiwiller, Daumier, 1936
Nella vasta produzione pittorica, sulla quale si sofferma saltuariamente la nostra insaziabile curiosità, appaiono quadri che guardandoli invitano a colloquio, altri invece che allontanano oppure lasciano indifferenti : dipinti che stupiscono (Michelangelo), dipinti che canzonano (Hogarth), dipinti che irritano (Soutine), opere insomma che si rivolgono specialmente all’intelletto.
Ma sussistono anche tele che parlano direttamente al cuore, che commuovono; fra tali ‘colorazioni’ che non necessitano preamboli intellettualistici vanno annoverate quelle di Daumier.
La sua pittura è espressiva in sommo grado, non concepita per dilettare o cullare nella dolce illusione del quieto vivere, ma creazione plastica atta a turbare chi ha comprensione per la tragicità della vita quotidiana.
Ricordando le sue mirabili doti di disegnatore e illustratore, si è facilmente indotti a dimenticare o per lo meno a sottovalutare le sue qualità intrinseche di pittore.
Ancora Giovanni Scheiwiller, Daumier, 1936
Che queste non fossero trascurabili, lo dimostra il fatto che non pochi artisti di valore vissuti nella sua epoca e di poi, ne subirono l’influsso. Cézanne stesso a varie riprèse conferma questa asserzione. Ed ancor oggi artisti come Rouault, Kokoschka, Sironi, per citare solo alcuni fra i migliori, palesano nell’opera quanto la forte personalità pittorica di Daumier abbia potuto sul loro animo sensibile d’artisti.
Nei dipinti egli da a occhi chiusi libero sfogo a se stesso, mettendo completamente a nudo il suo animo; nessuna preoccupazione formale riesce a domare il suo spirito ribelle.
In contrasto con chi ama il ‘finito’, con chi quasi esclusivamente esalta l’abilità tecnica, egli gioca arditamente col chiaro e scuro, eleggendosi a guida Rembrandt, usando però, nel decantare col colore, coi ‘beaux noirs’ e grigi preziosi e lillà vellutati quanto egli sente erompere dal suo animo esuberante e ricco di linfe naturali, una fattura ancor più libera. Per Daumier la luce è colore divino.
Roger-Marx, Daumier, 1938
Qualunque asservimento imponesse a Daumier l’obbligo di divertire i contemporanei rimanendo a contatto con l’attualità politica e sociale, lo faceva da gran signore, da uomo libero che accetta il suo ruolo e fa rientrare nel mestiere di giornalista tutto il sublime che sperava di esprimere altrimenti.
Se Daumier, come Molière — cui tanto spesso è stato avvicinato —, per necessità, per concessione alle esigenze del tempo, dovette trasformarsi in buffone, dietro le sue deformazioni volontarie sappiamo tuttavia scoprire una dimensione diversa e più ampia, che non tende al sorriso: una dimensione connaturata ai grandi geni dell’immaginazione innamorati del movimento: ai grandi barocchi, se vogliamo, a Rubens, a Tintoretto, a Goya, a Rodin.
È importante mostrare che cosa diventa Daumier quando abbandona il ruolo di buffone. Scopriremo allora la sua natura più segreta, il vero tono del suo spirito, tutto ciò che possiamo indovinare solo imperfettamente attraverso gli ‘albums comi-ques’ e gli acquerelli su commissione; in questi è costretto a ritrarre gli artigli, e a preoccuparsi che l’opera sia corretta, pulita, compiuta: cure estranee al suo temperamento; deve sforzarsi di riuscire meno sgradevole, di moderare il gesto e la voce, o piuttosto dissimulare, senza riuscirci, quella febbre che gli brucia dentro fin dall’infanzia.
Paul Valéry, Daumier, 1938
È stato detto tutto su Daumier, tutto ciò che si può dire … Poi sopraggiunge la sensazione di non avere detto niente, o che forse non ci fosse niente da dire. Un’opera d’arte che non ci lasci ammutoliti vale poco: si può tradurla e ridurla a linguaggio verbale. Ne consegue che chi scrive d’arte può solo sperare di restituire o di preparare questo silenzio stupito e affascinato, l’amore senza parole …
È stato detto di quest’opera che ricorda Michelangelo e Rembrandt: ed è giustissimo. Non è forse sublime costringere lo spirito a richiamare maestri così nobili (e insieme così diversi) di fronte a caricature, litografie di giornali, o piccole tele, spesso appena abbozzate? E non è tutto. Scrittori potenti, inventori di tipi sono evocati dal disegnatore rapido ed esuberante, che riesce a scovare spettri, dèmoni, dannati, mostri di cupidigia e d’orgoglio, di eroismo o furberia nel fango e sui marciapiedi della sua Parigi, al palazzo di giustizia, nei treni o nelle alcove, dai portinai e fruttivendoli, sul trono o alla barra; e ai peccati capitali, ai vizi, alle manie attribuisce la struttura anatomica adatta, atteggiamenti e aspetti caratteristici. Per questo il nome di Dante, quelli di Cervantes e di Balzac, a loro volta menati in causa, si propongono e si impongono allo spirito affascinato da Daumier.
Ancora Paul Valéry, Daumier, 1938
L’accostamento della sua arte a quella di Michelangelo e di Rembrandt, generalmente riconosciuto, ci si offre, per il consenso quasi universale, con la forza di una verità incontrovertibile, scaturita da un incontro violento con la realtà: poi rinforzata dalla riflessione che vi si applica. Allora si sviluppa e dimostra non solo la correttezza del suo fondamento, ma anche una propria fecondità: non tutte le verità hanno quest’ultima caratteristica.
Vediamo sorgere nell’arte dei tre maestri diversità fruttuose, mentre continua a permanere nella sua essenza l’associazione di questi tre grandi attraverso il pensiero. Si è allora portati a ricercare con maggiore precisione i loro punti di somiglianza e di discordanza. Tre ‘maniere’, entro cui dapprima esisteva un’analogia innegabile, si oppongono in seconda istanza, e si vanno delineando tre nature molto diverse, tre differenti sguardi sull’Uomo, tre modi irriducibili di interpretare l’Uomo e di servirsene.
Chiaro che, in causa, non è il ‘mestiere’ di ognuno : i loro strumenti materiali non hanno quasi nulla in comune.
Sostengo che ciò che ci obbliga a riunire questi tre veri ‘creatori’ sono l’esigenza, l’istinto, la passione che li induce a impiegare l’immagine dell’Uomo per qualche fine profondo, attribuendole un significato, un valore, una sorta di missione, conferendole una carica vitale tutta diversa da quella che ogni essere reale possiede. Li sentiamo ugualmente tesi verso questa realizzazione, quasi votati a essa. Forse, a un certo momento, ognuno di loro ha scoperto che occorreva confrontarsi con la effettiva somiglianzà dell’Uomo e la diversità dei tipi e degli atteggiamenti, assunte come mezzi non di espressione, ma di azione sugli animi. Per ognuno di loro, questo concetto fu forse la grande scoperta della vita.
Jules Gustave Besson, 1945
II suo è un realismo da visionario. In lui, la pittura, che lo situa non lungi da Rembrandt e che in realtà occupa una posizione primaria all’interno della sua produzione artistica, a lungo sembrò soltanto attività di riposo del cronachista superficiale. Vivifica e nutre invece il suo disegno, che già di per sé è dei più originali e personali di ogni tempo. Da ogni quadro di Daumier sprizza il colore di una lirica; ogni figura diventa un tipo, e ogni cosa è un pretesto perché fauni, fatti epici… figure umane si trasfigurino in armonie.