Pagine correlate alla pittura nel periodo della Controriforma: Pittori della Controriforma – Il Manierismo – La pittura di Michelangelo – Pittori veneti del Cinquecento – Pittura del nord e centro del Cinquecento.
L’arte pittorica della Controriforma
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Il Giudizio Universale di Michelangelo ai tempi della Controriforma
Realizzato tra il 1536 e il 1541, il Giudizio Universale di Michelangelo, rappresentava totalmente il pensiero religioso dell’artista e degli intellettuali appartenenti alla cerchia dei cardinali riformatori, Pole e Contarini: in esso vengono raffigurate 400 immagini, riprese in vario modo ma accomunate tutte dalla nudità, nella narrazione del grande dramma universale messo in luce essenzialmente dalla genuinità dell’impianto, senza integrazioni retoriche, ove primeggia la stessa nudità.
L’affresco della Cappella Sistina non venne compreso per quello che effettivamente era. A tal proposito, nel documento conciliare del 21 gennaio 1564 si legge che: «le pitture nella cappella apostolica vengano coperte, nelle altre chiese vengano invece distrutte qualora mostrino qualcosa di osceno o di patentemente falso».
Michelangelo moriva nel febbraio del 1564 e, a nemmeno un anno dalla sua morte, il pittore Daniele da Volterra fu incaricato di coprire (a secco) con delle braghe le vergogne delle figure del Giudizio, nonché di ridipingere (a fresco) la “indecente” figura del San Biagio, impudicamente accovacciato su Santa Caterina d’Alessandria.
Poco più tardi il Veronese subì un processo per il Cenacolo che realizzò nel 1573. L’Inquisizione riscontrava nel dipinto un affollamento di immagini poco attinenti alla scena sacra, accusando l’artista aver inserito arbitrariamente tali figure per indebolire il senso mistico della narrazione. Il processo si concluse con l’assoluzione del Veronese, che dovette però correggere “et emandare” la composizione prevedendo anche il cambio della titolazione con “La cena in casa Levi”.
La questione sulla rappresentazione delle immagini sacre
I più importanti riformatori, Giovanni Calvino (1509-1564) e Ulrich Zwingli (1484-1531), furono intransigenti verso tutto ciò di cui la Chiesa cattolica si vestiva, comprese naturalmente le immagini.
Andreas Rudolph Bodenstein von Karlstadt (1480 circa – 1541), da noi conosciuto come Andrea Carlostadio fu, tra i predicatori svizzeri e tedeschi, il più aggressivo verso coloro che definiva “idoli di pittura”.
Erasmo da Rotterdam, nel suo “Elogio della follia” (1511), sottolineò che le immagini sacre nella venerazione dei Santi coltivavano un rito pagano. In molte città della Germania, della Gran Bretagna e della Svizzera i riformisti passarono quindi all’atto pratico promuovendo una grande campagna iconoclasta (distruzione delle immagini), proprio come fece Savonarola a Firenze anni prima.
Lutero, il principale protagonista dei riformatori, non era affatto d’accordo con lo sviluppo del movimento iconoclasta, la cui posizione era assai vicina a quella che di lì a poco assunse la Chiesa cattolica col Concilio di Trento, attribuendo cioè alle immagini una funzione didattica, quella che la tradizione cattolica ha sempre riconosciuto tale, essenziale per lo sviluppo della fede tra le persone incolte: l’arte figurativa paragonata alla Biblia pauperum, la bibbia dei poveri analfabeti, in passato già legittimata da Gregorio Magno.
Il decreto della Chiesa romana, “De invocatione, veneratione et reliquis sanctorum et sacris imaginibus”, introdusse il controllo delle arti figurative, che doveva essere svolto dalle autorità religiose locali.
Le produzioni artistiche dovevano essere scrupolosamente esaminate e vagliate nella chiarezza, nella verità e nella fedeltà alle scritture, caratteristiche queste, ritenute imprescindibili.
La trasfigurazione, la confusione, il lusso e la disinvoltura del movimento manierista erano cose assolutamente proibite. Il decreto però non poneva delle regole ben precise e non metteva paletti ben definiti, affidandosi così al vaglio delle gerarchie locali. Proprio per la mancanza di dettagli della legge nacquero dei trattati con lo scopo di dare una codifica a quelle norme, tra i quali si ricordano i più importanti e cioè: le “Instructiones fabricae et suppellectilis ecclesiasticae” (1577) dell’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo (1538 – 1584), e il “Discorso intorno le immagini sacre e profane” (1582) dell’arcivescovo di Bologna, Gabriele Paleotti (1522 – 1597). Eppure, né le direttive del Concilio tridentino, né i trattati integrativi riuscirono a avere un significativo impatto sulla libertà stilistica degli artisti dell’epoca.
Pittori della Controriforma
Principali esponenti della pittura della Controriforma sono: Antonio Campi, Federico Barocci, Luca Cambiaso, Scipione Pulzone, Simone Peterzano, Marcello Venusti, Ludovico Carracci, Bartolomeo Cesi, Il Cerano Tanzio da Varallo, Jacopo Barozzi da Vignola, Camillo Procaccini, Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, e Giulio Cesare Procaccini.
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