Il Gotico ed i suoi continuatori
Pietro Lorenzetti
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Pietro Lorenzetti e la sua pittura
Nel mondo della pittura, l’arte gotica senese viene rappresentata, dopo Duccio di Boninsegna e Simone Martini, da due altri grandi artisti, i fratelli Pietro ed Ambrogio Lorenzetti.
Il primo (documentazioni: 1305? – 1345) che viene rivalutato – soltanto nello scorso secolo – nella sua essenza poetica, parte da Duccio di Boninsegna e dallo studio della pittura del Cavallini, ma la sua indole calda e piena di profonda umanità, lo indirizza verso un gotico più legato al sentimento.
Questo psicologismo già si evidenzia nella Madonna, realizzata in età giovanile (duomo di Cortona), dove dal vivo sguardo e caldo atteggiamento della Vergine, traspare il senso di una nuova ed umana affettuosità verso il Bambino.
Il chiaroscuro, ottenuto con un livido cromatismo, conferisce all’opera un’atmosfera cupa e grave, affine alla coloristica bizantina praticata nel Duecento. Nel Polittico della Pieve di Arezzo, realizzato nel 1320 (periodo coincidente con quello della realizzazione del Polittico di Simone Martini a Pisa), le immagini hanno grande vitalità, forza e movimento, e quasi sembrano volersi staccare dal loro supporto. Nel gruppo centrale, dove è raffigurata la Madonna con il Bambino (fig. sotto), si evidenziano influssi di Giovanni Pisano (1248-1315) che Pietro, molto probabilmente, ha seguito con ammirazione durante l’adolescenza, quando questi decorava la facciata del duomo di Siena.
La ricerca della spazialità, del senso plastico e dell’espressività sono sempre più forti nelle sue opere successive, con tonalità sempre più tendenti al cupo ed all’argentino. Con Pietro Lorenzetti, l’arte senese è chiamata ad emulare quella fiorentina in questo campo. Il Vasari ci racconta di alcuni suoi affreschi – purtroppo non arrivati a nostri giorni – che lo avvicinano a Giotto.
Ad Assisi, nel terzo decennio del Trecento, Pietro lavora insieme a Simone Martini ed altri artisti della scuola di Giotto, alla decorazione della basilica inferiore. Nella sua composizione nel braccio sinistro del transetto, dove spicca la Madonna col Bambino fra San Francesco e San Giovanni Evangelista, le immagini dei personaggi, tutte piene di grande vitalità e forza espressiva, si stagliano dallo sfondo come se fossero state dipinte su tavola.
Nella Deposizione si evidenzia l’ormai consumato linguaggio iconografico bizantino, unito al potenziamento della linea gotica decisa e spezzata, che conferisce limiti e spazialità, e nello stesso tempo, ne scandisce ritmicamente le forme: si notino le curve che delineano la figura del Cristo deposto, le quali conferiscono alla scena una sentita drammaticità.
Le opere di affresco nella chiesa dei Servi, raffiguranti Il Festino di Erode e la Strage degli Innocenti, che richiama quello realizzato da Giotto in Santa Croce, sono di più basso valore e, certamente, vi hanno lavorato anche i suoi coadiuvanti. Alcuni dipinti su tavola, tra i quali quello custodito nella Galleria degli Uffizi (1340), dalla ancora ben solida plasticità nonostante la dilatazione delle forme, danno splendore al periodo della sua maturità, nel quale tocca la vetta più alta la Natività della Vergine, custodita nel Museo dell’Opera di Siena, dove l’effetto della spazialità ha la stessa rilevanza di quello nella predella della pala del Carmine. Essa raffigura dettagliatamente l’interno di una casa senese, con figure di grande potenza espressiva, tra le quali l’anziano Giovacchino (sulla sinistra), il cui volto evidenzia un’ansiosa apprensione per l’evento appena consumato.