La pittura gotica ed i suoi continuatori
Ambrogio Lorenzetti
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Ambrogio Lorenzetti e la sua pittura
Ambrogio Lorenzetti, fratello di Pietro, (prime documentazioni 1319 – 1347) realizza nell’anno 1319 la Madonna della chiesa di Sant’Angelo (Vico l’Abate) in Val di Pesa: una Madonna ottenuta con un elegante tratto curvilineo, un cromatismo caldo ed armonioso che richiama la pittura di Simone Martini, una prospettiva frontale che evidenzia la vasta e corposa forma ed un atteggiamento solenne ed ieratico, che lo avvicina a Giotto.
Tra il 1324 ed il 1327) Ambrogio realizza i dipinti parietali nella basilica di San Francesco a Siena con il Martirio dei frati francescani in Ceuta e San Francesco da Siena con San Ludovico di Tolosa (attualmente nell’ottava cappella, quella Bandini Piccolomini). Qui l’artista, andando oltre i concetti dettati dai precedenti tirocini culturali, riesce a creare armoniose composizioni con immagini grandiose e tranquille.
Nella Maestà del Palazzo comunale di Massa Marittima, il cromatismo preziosamente articolato e il tratto calmo dei contorni, conferiscono alle figure un profondo senso plastico. Un’altra importante opera è la Madonna del Latte (Natività della Vergine) dove le figure hanno atteggiamenti più sciolti e pieni di vitalità, nonostante un cromatismo calmo e poco articolato.
Ambrogio Lorenzetti appartiene agli artisti fiorentini fino al 1327. Nel 1332 raffigura i santi Nicola e Procolo per la chiesa di San Procolo a Firenze (attualmente custoditi nel Museo Bandini di Fiesole): due figure allungate ed alquanto smagrite. Sempre nello stesso anno Ambrogio dipinge le quattro storie di Nicola di Bari (oggi custodite agli Uffizi). Qui le composizioni sono più equilibrate, come pure le stesse forme, inserite nei vari piani prospettici in uno spazio ben delineato, tanto da apparire Ambrogio – non a ragione per alcuni studiosi del periodo successivo – come anticipatore del Rinascimento in fatto di spazialità. Ma effettivamente, la forza ed il talento del Lorenzetti nel disegnare, sono certamente lontani dalla logica della Rinascita fiorentina, essendo esso ancora attaccato alle astratte visioni medioevali. Nonostante ciò, la permanenza di Ambrogio nelle zone del fiorentino, ha grande rilevanza storica per quell’ambiente trecentesco, come in seguito avremo modo di vedere.
Nel frattempo Ambrogio inserisce le sue morbide peculiarità nel carnato delle figure rappresentate nella Pala del Municipio di Massa Marittima, in un’articolata composizione dove una meravigliosa Vergine con il Bambino spicca fra angeli, evangelisti, profeti, apostoli, patriarchi e le tre virtù teologali. Il tema della Maestà viene filosoficamente sviluppato dal Lorenzetti che crea un ambiente con una visione ultraterrena.
Più tardi gli vengono commissionati gli affreschi del Palazzo Pubblico Senese nella “Sala dei Nove”, dove rappresenta una moralità simbolicamente figurata sul “Buon Governo” e sul “Cattivo Governo”. Qui egli riesce a districarsi dai vincoli potenzialmente crescenti che immancabilmente si incontrano nella narrazione delle allegorie, specialmente nella descrizione degli effetti del governo nelle città e nelle zone di campagna, ma cadendo talvolta in infelici ispirazioni, come quella dell’antica statuaria per la personificazione della Pace. Infine l’opera offre una visione cartografica, irreale e fantastica dello Sato Senese, dove la panoramica ostenta audacia e vastità, con colline, che graziosamente ondulanti, si succedono con ritmi cadenzati.
Nella rappresentazione della fosca città medioevale, dove le regole prospettiche si devono adattare a sempre più complicate composizioni, prende ancora più forza l’evocazione fiabesca. Il linguaggio descrittivo di Ambrogio, in questa particolare fase, si avvicina a quello di Duccio di Boninsegna, ma trasfigurando la vita profana anziché le narrazioni religiose. Questo può essere derivato dagli incessanti rapporti culturali tra Siena e gli artisti francesi, che già nel Duecento sentivano l’attrazione al reale.