La pittura e lo stile del Giorgione
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Il mondo dell’arte, nel campo della pittura, continua incessantemente a rinnovarsi nei principali centri della nostra penisola, tra i quali non manca certamente Venezia. Giorgio (o Zorzi) Barbanelli da Castelfranco, meglio conosciuto con l’appellativo di Giorgione (1470/77? – 1510), è il primo artista dallo spirito poetico nella pittura veneta rinascimentale del Cinquecento. La sua risonanza, assai alta, è purtroppo affidata a poche opere certe (tra queste gli affreschi nel Fondaco dei Tedeschi a Venezia realizzati in collaborazione con Tiziano nel 1508, purtroppo andati completamente perduti, salvo il frammento di una ignuda). Giorgione parte dalla pittura di Giambellino, ma conosce molto bene anche lo sfumato leonardesco che rende più pregevole il suo cromatismo. Questo si evidenzia soprattutto nell’affievolirsi delle linee di contorno in contrapposizione con la nitida definizione disegnativa degli artisti veneti e soprattutto veneziani del Primo Rinascimento.
Giorgione condensa le sue composizioni in una struttura dove il disegno, la prospettiva, la forma, il volume e lo spazio – che già hanno un proprio ruolo – vengono impreziositi da un morbido cromatismo, fluido e quasi impalpabile, creando atmosfere da sogno, soprattutto in presenza di figure prive delle linee di contorno. Tuttavia lo sfumato rimane l’unica peculiarità che può avvicinare l’artista al suo grande contemporaneo toscano, le cui soffici penombre, i vibranti riflessi e le armoniose luminosità assumono valenze diverse, come pure il disegno, legato fortemente all’ambito fiorentino.
La Pala della Chiesa di San Liberale (Castelfranco Veneto, Treviso) nella quale viene raffigurata la Madonna in trono col Bambino fra i santi Francesco e Liberale (1504 – 1505), concordemente attribuita a Giorgione, sembra riassumere le esperienze quattrocentesche, soprattutto considerando la tradizionale composizione simmetrica, con la Madonna in un alto trono collocato fra terra e cielo , come già visto nella Pala Portuense di Ercole de’ Roberti (Pinacoteca di Brera, Milano).
Una calda, morbida, attenuata ma efficace illuminazione proveniente da destra, conferisce preziose valenze alle snelle ed aggraziate figure in una varietà cromatica che rende benissimo il senso plastico. La Vergine ha un atteggiamento rilassato, ma il suo volto appare timido e pensoso come quello di una innocente e casta giovinetta.
L’elevazione della Madonna in trono, non ha soltanto la funzione di tramite fra sacro e profano, ma rappresenta anche il collegamento tra la terra (il posto dove stanno i santi Francesco e Liberale) e lo spazio aperto alle spalle della stessa Vergine, armonizzato dal delicato cromatismo del cielo e dai morbidi candori di alcune nuvole. Il Bambino, dalle forme agili ed aggraziate, esprime tenerezza ed affettuosità. Nella figura di San Liberale, completamente rivestito da una scintillante armatura, contrasta il tenero viso del giovinetto con l’equipaggiamento marziale che indossa.
Il senso di quell’armonica serenità, propria dei pittori veneti del Quattrocento, viene da Giorgione sviluppato in un condensato di valide esperienze pittoriche che caricano di tristezza gli atteggiamenti dei personaggi rappresentati. Anche nelle opere giovanili traspare mestizia e malinconia come nella Giuditta dell’Hermitage a Leningrado.
L’opera che più ampiamente rappresenta Giorgione è la Tempesta (Gallerie dell’Accademia, Venezia), che può essere certamente considerata come il primo dipinto paesaggistico arrivato ai nostri tempi. Qui la tematica è alquanto incerta: in primo piano stanno tre nitide figure che sembrano rappresentare una zingara seminuda nell’atto di allattare il proprio figlio, ed un giovane con atteggiamento da vero soldato (impressione data a Michiel nell’osservare il quadro in casa di Gabriel Vendramin). Ma quello che più dovrebbe attirare l’attenzione dell’osservatore è l’armonia e la sensibilità coloristica dell’artista che affida alle tonalità verdastre l’atmosfera di quell’ambiente di bassa collina, immerso in una soffusa luce crepuscolare, che sembra scuotersi dall’improvvisa saetta proveniente dalla profondità di quel cupo cielo.
Nell’opera dei Filosofi del Kunsthistorisches Museum di Vienna, tre misteriose figure (alcuni ritengono siano i tre magi mentre altri pensano che siano probabilmente Enea, Pallante ed Evandro, nella zona in cui sorgerà la città eterna) sono raccolte in primo piano su di una roccia trasformata dalla mano dell’uomo ed inserite in una folta vegetazione. La luce, proveniente da sinistra, rende vivi i colori dei loro panneggi e morbido il loro carnato. Tra gli alberi sulla destra e la scura massa rocciosa vista in controluce sulla sinistra, si apre un paesaggio ed un cielo al tramonto. Il cromatismo dominante è quello delle tre figure raccolte ed appartate in primo piano che rappresentano un giovane sognatore pensieroso, un gagliardo anziano ed un rassegnato orientale: tutto questo dà all’osservatore del dipinto una sensazione di mistero.
Nella Venere dormiente (Gemäldegalerie, Dresda) Giorgione cambia il suo linguaggio e lo rende più spazioso come quello impiegato negli scomparsi affreschi del Fondaco dei Tedeschi. Anche aver scelto di ritrarre un nudo femminile come unico soggetto della composizione, perlopiù collocato in primo piano, rappresenta un vera novità che prelude all’arte moderna. La dea è una serena figura dormiente, impassibile alla propria nudità, dal candido carnato che riluce in un limpido paesaggio da sogno, fatto di case e rigogliose colline.
Nella pittura rinascimentale del primo Cinquecento Giorgione è considerato dagli studiosi di storia dell’arte come un artista dall’affascinante e dolce indole romantica, che insegue costantemente una classica idealizzazione. Inoltre assume un’importanza dominante perché è il padre del successivo colorismo veneziano.