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Il monogramma del Cristianesimo è il segno finale omogeneizzante della Roma Imperiale, che persiste nel nuovo affidamento provvidenziale al programma di eternità. Dopo Costantino, il ruolo dinastico si fa esasperato in Costanzo II (Flavio Giulio Costanzo, 337-361), solennizzando l’isolamento rispetto ai sudditi, in una corte insensibile alle esigenze contingenti.
Ammiano Marcellino (il più grande degli storici romani 330-395) scrive del suo ingresso in Roma nel 357: «Guardava davanti a sé rigidamente come se avesse avuto un collare di ferro intorno al collo, non girava la testa né a destra né a sinistra, non sembrava una persona vivente, ma un’icona».
In quell’occasione gli viene innalzata una colossale opera bronzea (Museo del Palazzo dei Conservatori) con un’espressione di solennità superiore a quella del padre.
La calotta arcaica della capigliatura gli copre letteralmente la fronte lasciando scoperte le orecchie, gli occhi hanno più o meno la stessa grandezza di quelli del padre e guardano verso l’alto, ma con un’espressione più austera, il mento più pronunciato e senza il minimo avvallamento, mentre la muscolatura facciale perde i segni del rilassamento.
Il breve regno di Giuliano (Flavio Claudio Giuliano 361-363) raffigura l’estrema manovra di rivalsa della classe senatoria di tradizione politeista: l’effige sulla moneta coniata nel 360 lo mostra con la barba, in un atteggiamento che ripropone quello dei filosofi greci. Gioviano (Flavio Claudio Gioviano 363-364), ex generale di Giuliano, si orienta a rinsaldare il rapporto del potere imperiale con l’esercito e, i due Imperatori che gli succedono – Valentiniano, 364-375 e Valente, 364-378 – continuano nello stesso programma.
Dal ritratto di Graziano (Imperatore 375-383), ritrovato a Treviri, si rileva la ripresa della visione di un Impero Cristiano, con l’integrazione degli schemi precedenti, da Caracalla ai tetrarchi.
Questo orientamento retrospettivo emerge chiaramente nelle pregiate opere realizzate per la corte: ampi piatti d’argento, dittici in avorio, gioielli vari in funzione di sfarzosi cerimoniali. Teodosio (Flavio Teodosio, 379-395) innalza l’obelisco nell’ippodromo della città di Costantinopoli, il cui forte basamento, ancora nella sua originale posizione, conserva il grandioso dispiegamento della casta imperiale fra la più alta autorità al cospetto del popolo, e i barbari che stanno prostrandosi con sottomissione.
Alla morte dell’Imperatore Teodosio, i figli Onorio ed Arcade si spartiscono il dominio, assumendo il potere l’uno in Occidente e l’altro in Oriente.
È questa una divisione totale e definitiva, senza un supremazia prevalente di un Augusto sull’altro. I due Imperi continueranno la loro strada separatamente.
Arte cristiana e Tardo-Antico
Nella potenza persuasiva delle religioni di salvezza, le illustrazioni iconografiche hanno un ruolo determinante ispirandosi fiduciosamente all’immaginario imperiale. Il popolo cristiano matura una migliore capacità di diffondere il monoteismo, innestandolo nella tradizione classica e assorbendo, allo stesso tempo, l’apporto di culture esterne come quelle barbariche, fino a influenzare in senso ideologico l’espressione di tutta l’arte medioevale.
Tra i vari raggruppamenti religiosi del popolo ebraico – farisei, sadducei, la comunità del Qumram, esseni – i cristiani si differenziano nell’ammettere “definitive” le scritture con l’arrivo del Messia, nella compartecipazione delle donne alla devozione, alla comune preghiera e allo sviluppo del proselitismo. Nella multicultura dell’Impero Romano, i cristiani trovano affinità con svariate concezioni ideologiche, tra queste, almeno quattro hanno forti e significative similitudini:
- Il monoteismo degli stoici in Zeus.
- la salvezza personale che promettono i misteri di Dionisio e di Demetra, i quali simboli, spighe di grano ed uva, indicano il pane ed il vino, simboli eucaristici.
- Iside, come la Madonna, madre amorevole e soccorrevole, raffigurata in trono con il bambino Arpocrate
- motivi spirituali nelle sette orfiche e pitagoriche.