Pagine correlate alla pittura fiamminga e i colori a olio: Primitivi fiamminghi – Jan van Eyck – Rogier van der Weyden – Al Trecento – Al fine Trecento – Al Quattrocento – Al pieno Quattrocento.
La tecnica della Pittura fiamminga
(continua dalla pagina precedente)
La tecnica ad olio, già praticata in tempi remoti e certamente impiegata nel primo Medioevo, stentava a diffondersi per diversi motivi, fra i quali i lunghissimi tempi di essiccazione: a seconda dei pigmenti impiegati, spesso la stesura pittorica non riusciva ad asciugare completamente con il rischio di attirare e trattenere sporcizia varia. Inoltre, la maggior parte dei colori utilizzati si alterava perdendo il suo tono originale e, spesso, diventava più scura.
I pittori fiamminghi quattrocenteschi furono i primi a perfezionare e sviluppare questa tecnica ponendo rimedio ai vari inconvenienti. Riuscirono quindi con le loro nuove ricerche, sugli oli e sulle resine, ad agire sui tempi di essiccazione diminuendoli drasticamente e facendo sì che la stesura pittorica, a quadro completamente asciutto, si potesse pesantemente toccare con le mani e addirittura lavare; cosa, quest’ultima, assolutamente proibita con i dipinti ottenuti attraverso altre tecniche.
Il colore ad olio così trattato rimaneva tuttavia fresco sulla tela per alcuni giorni, cosa, questa, che permetteva ai pittori di effettuare con tutta calma, e senza tante difficoltà, le sfumature e i vari passaggi tonali.
I nuovi pigmenti si lasciavano lavorare l’uno nell’altro più facilmente che con i colori a tempera, permettendo al pittore di proseguire anche per successive velature, più o meno trasparenti, che conferivano alla stesura pittorica splendore e luce aggiunta. Inoltre, sempre per il ritardo all’essiccazione (poi divenuto accettabile), la definizione del particolare diventava estremamente più facile.
L’aggiunta di indovinati leganti oleo-resinosi non può però da sola giustificare la forte affermazione della pittura fiamminga, legata anche ad altri importantissimi fattori come le ricerche sulla spazialità unificata tramite la luce e la visione del reale in ogni suo dettaglio, elementi che infatti si evidenziano anche in dipinti realizzati con altre tecniche.
Le ricerche fatte in occasione del restauro del Polittico di Gand (1426-1432) e di altri dipinti ad olio dello stesso periodo hanno dato modo di conoscere, ma soltanto parzialmente, le specifiche tecniche attraverso le quali vennero realizzate le più belle pitture fiamminghe.
Il procedimento esecutivo si pensa che si possa sintetizzare nel seguente modo: il pittore in primo luogo ricopriva il supporto pittorico di bianco, poi vi realizzava un sommario disegno a cui seguiva l’imprimitura con l’abbozzo monocromatico dei vari modellati: la “mestica”. Ad esso seguiva una policromia smorzata con toni di base, impiegando il colore medio delle tinte, sulla quale si iniziava, per gradi, a dare plasticità con il chiaroscuro; poi ogni elemento veniva rilavorato con aggiunte di velature successive (anch’esse soggette a leggeri chiaroscuri, seguendo le variazioni sottostanti, a seconda delle zone che coprivano) modulando il numero di ripetizioni e lo spessore aggiunto in funzione degli effetti desiderati.
Nella pittura fiamminga – salvo rarissime eccezione tra cui si ricorda la decorazione, eseguita però in Italia, di due cappelle nella chiesa di Santa Maria dell’Anima a Roma dal pittore fiammingo Michael Coxcie (1499 – 1592) – non esisteva l’affresco, quella tecnica a noi tanto famigliare che è stata la vera protagonista della storia della pittura europea. Questa assenza appare abbastanza evidente pensando al fatto che i caratteri principali della pittura fiamminga sono saldamente collegati alla pittura ad olio e che, quindi, per tal ragione gli artisti si trovavano di fronte a molteplici difficoltà nel passare da una tecnica all’altra, soprattutto quando si trattava di eseguire opere d’affesco. Inoltre nelle Fiandre la decorazione parietale era consuetudine venisse affidata all’arazzo piuttosto che al muro.