Michelangelo: Leda e il cigno
Sull’opera
Leda e il cigno è un dipinto a tempera su tavola, di cui si sono perse le tracce, realizzato da Michelangelo Buonarroti intorno al 1530. Della composizione soltanto alcune copie e varianti sono arrivate ai nostri giorni. Quella qui rappresentata è attribuita a Rosso Fiorentino.
Storia
Alfonso I d’Este, duca di Ferrara, nel 1512 si recò a Roma per chiedere l’assoluzione di Giulio II in seguito ad una scomunica, che già da due anni pesava sulla sua persona. Accenniamo soltanto che l’anatema derivò dal fatto che Alfonso si alleò con Luigi XII di Francia, che allora era in guerra contro Venezia. Ottenuto l’annullamento, il duca Alfonso proseguì il soggiorno romano e l’11 luglio entrò nella Cappella Sistina, incontrando Michelangelo che stava ormai portando a termine la decorazione della volta. Rimanendo affascinato dalle composizioni del soffitto, dopo un lungo colloquio, Alfonso riuscì ad ottenere la promessa di ricevere una sua opera.
La commissione non venne subito formalizzata e quindi passò molto tempo prima che Michelangelo ebbe occasione di recarsi a Ferrara. Nel 1529 l’artista fu chiamato in quella città per ispezionare le mura cittadine con l’incarico di “Governatore generale sopra le fortificazioni” della rinata Repubblica fiorentina. Si temeva, infatti, un assedio delle truppe imperiali. Nell’incontro Alfonso gli ricordò la promessa romana.
Al suo ritorno a Firenze, nell’agosto del 1530, secondo quanto riportato da Condivi e Vasari, Michelangelo iniziò il lavoro commissionato dal duca. Si trattava di un quadro di grosse dimensioni “quadrone da sala” e “colorito a tempera”, dove veniva descritto un accoppiamento carnale tra Leda e Giove raffigurato come un cigno. Nella composizione apparivano Castore e Polluce da fanciulli ed un uovo.
Quando, intorno l’autunno di quell’anno, il quadro fu portato a compimento ed avvertito il commissionario, vi fu un incontro con un inviato per la consegna. Quest’ultimo, dopo aver visto la composizione, ebbe un’indiscreta esclamazione pronunciando due parole: “poca cosa”. L’azione indispettì l’artista che decise di non consegnargliela.
Secondo il Condivi Michelangelo donò l’opera ad un suo garzone. Questa passò per le mani di Antonio Mini che, nel 1531 la trasferì in Francia. L’anno successivo si trovava in deposito presso il re Francesco I, che più tardi, forse dopo averla acquistata, la destinò al castello di Fontainebleau.
Da quel momento si persero le tracce: alcuni asseriscono che venne bruciata da un ministro di Luigi XII perché moralisticamente scandalosa, mentre per altri fu soltanto nascosta.
Forse l’ultima apparizione, di cui il Milizia parla di una composizione “malconcia”, fu nel 1740. Da allora si sono perse le tracce.
Le copie
La riproduzione più significativa è raffigurata in questa pagina e viene attribuita a Rosso Fiorentino, quindi una copia non pienamente autografa di quest’ultimo.
Altre riproduzioni si trovano al Museo Correr di Venezia, alle Gemäldegalerie di Dresda e Berlino, alla Casa Buonarroti di Firenze.
Esiste anche un disegno autografo della testa di Leda a Casa Buonarroti.