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Lo sviluppo della pittura italiana nel Duecento-Trecento

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Segue dall’articolo precedente “La nascita e lo sviluppo della pittura italiana“.

La pittura italiana nel proprio sviluppo

Una pittura vuole staccarsi da quella bizantina

Mosaico della cupola del Battistero Neoniano

Fino ai primi decenni del Duecento la pittura italiana si presentava ancora condizionata da quella bizantina e dai suoi ripetuti parametri stilistici, sempre statici, con figure diafane in un fondo fortemente dorato. Il colore oro era infatti una costante della pittura bizantina e veniva spesso usato anche per le lumeggiature lineari.

Il primo tentativo dei nostri artisti di staccarsi da tale tradizione, o comunque sorpassarla, fu quello di sostituire quei fondali color oro con vedute paesaggistiche ottenendo i primi effetti – non proprio ordinati – di dilatazione spaziale. Le figure infatti continuavano ad essere statiche e senza peso, disponendosi in modo disordinato su piani non ancora prospetticamente strutturati. Inoltre apparivano ancora in assoluta libertà, lontane da ogni plausibile efficacia visiva. Tuttavia il processo di distacco ebbe inizio ed il problema si sarebbe risolto negli anni a venire imboccando la giusta strada.

La ricerca della tridimensionalità

In sintesi si trattava di creare effetti di tridimensionalità su una superficie piatta. La figura in un supporto pittorico, sia esso una tela o un muro o fatta di qualsiasi altro materiale, si presenta sempre con due dimensioni reali (larghezza e lunghezza). La terza dimensione, quella che va in profondità, dando l’illusione di portare la vista al di là del supporto pittorico, può essere creata solo con la perizia tecnica dell’artista che realizza l’immagine. Questa capacità di creare effetti di ambito spaziale si basa su due tecniche principali: chiaroscuro e prospettiva (lineare e cromatica):

Il chiaroscuro e la prospettiva

Il chiaroscuro

Le immagini assumono l’aspetto tridimensionale con la tecnica del chiaroscuro. Un oggetto solido colpito frontalmente da una luce mostra anche una sua parte in ombra. Ebbene, questa parte più scura dell’immagine crea effetti di corposità e quindi di profondità.

La prospettiva lineare

Nella scena raffigurata appaiono effetti di profondità con la tecnica della prospettiva lineare. Vengono così a formarsi più piani prospettici dove le immagini, via via, diventano sempre più piccole mentre raggiungono la linea dell’orizzonte.

La prospettiva di colore

Nella scena appaiono effetti di profondità e dilatazione spaziale anche con la tecnica della prospettiva cromatica. I colori, che sono molto vivaci nei primi piani, via via, andando verso l’orizzonte, diventano sempre più deboli, confusi, grigi e sfocati.

I periodi del chiaroscuro e della prospettiva

Il chiaroscuro, i cui effetti di luce ed ombra creano solidità, venne applicato in questa fase, ed è il parametro stilistico che distingue la pittura italiana da quelle bizantina e gotica.

Lo studio della prospettiva, invece, iniziò solo intorno ai primi decenni del Quattrocento. Il suo sviluppo poi segnò, senza dubbio, l’inizio di quella splendida e lunghissima stagione artistica conosciuta come Rinascimento italiano.

Non solo chiaroscuro e prospettiva

Un crocifisso di Giotto

Pare ovviamente inutile precisare che sarebbe assai ingeneroso ridurre tutto al chiaroscuro (e, più tardi, alla prospettiva). La pittura italiana stava diventando un immenso laboratorio sperimentale con più traguardi di fondamentale importanza da raggiungere. Fra cui rammentiamo quello dello svincolamento dalla raffigurazione frontale della figura umana. Questa, da quel momento in poi, venne ripresa in più posizioni – compresa quella in scorcio – e su più piani di plausibile costruzione, ottenendo, così, anche peso e corposità.

Il fatto stesso che gli artisti riuscissero con successo a realizzare dei piani visivi orizzontali è da considerarsi una grande conquista. Conquista della dilatazione spaziale che, in assenza di una prospettiva lineare, veniva surrogata da una preordinata scansione di piani, talvolta assai efficaci nel creare forti sensazioni di profondità.

L’umanizzazione delle figure

Non meno importante è il senso di umanizzazione delle figure, che apparivano non più statiche e prive di ogni emozione ma con espressività mai notate nella pittura medievale. Queste divennero persone, dai cui volti emergevano emozioni e sentimenti. Incominciarono, così, a scomparire le ripetute espressioni ieratiche della pittura bizantina e dell’arte medievale in generale.

Giotto: L’ingresso a Gerusalemme

Prese forza anche il senso narrativo della figura. Gli episodi rappresentati, infatti, venivano regolati da ben precise coordinate storico-temporali atte a creare un’esatta cronologia. Le strutturazioni sceniche, in qualsiasi supporto pittorico fossero realizzate, erano costituite sempre con più figure, con il compito di creare narrazioni nel rispetto di una progressione temporale.

Quali furono i principali protagonisti di tale rinnovamento? La questione rimane ancora aperta. La perdita di molte opere e la carenza di fonti documentarie hanno creato non poca confusione, e tuttora la matassa è ancora difficile da sbrogliare.

Le due scuole: fiorentina e romana

Il problema rimane quello di chiarire il ruolo ed il peso della scuola fiorentina, con Giotto e Cimabue, e quelli della Scuola romana, con Cavallini, Torriti e Rusuti. Tutti e cinque gli artisti, intorno alla fine del Duecento, parteciparono ai lavori nel cantiere di Assisi per la decorazione della basilica superiore di San Francesco. Nulla però si sa su quali fossero stati i rispettivi ruoli, i rapporti e le reciproche influenze.

La spinta iniziale di Giotto

Masaccio: Il battesimo dei neofiti nella Cappella Brancacci.

Come tradizionalmente riportato dagli studiosi di Storia dell’arte, il più importante innovatore in tale processo fu Giotto. Trattasi però di notizie la cui diffusione iniziò solo con le “Vite” del Vasari, scritte per la prima volta nel 1550. Dall’opera del celebre storico, infatti, si ricava che la grande pittura italiana nacque soprattutto grazie agli artisti di ambito fiorentino. Da questi, partendo con Giotto – e più tardi, attraverso Masaccio, Botticelli e Leonardo – arrivò fino a Michelangelo, il massimo genio artistico dell’epoca. In conclusione, in questa illustrazione storiografica, fatta «a tesi», si evidenzia che Vasari sopravvalutava l’influenza di Giotto a scapito di quella dei pittori a lui contemporanei.

Pietro Cavallini: Particolare della La Natività (Santa Maria in Trastevere).

Tuttavia le opere di Assisi, tradizionalmente attribuite a Giotto ed assai vicine allo stile di Pietro Cavallini, appaiono piuttosto premature se confrontate con quelle autografe successive.

Data scomparsa di quasi tutti i lavori dell’artista romano (i pochi rimasti sono alcuni frammenti nella chiesa di Santa Maria in Trastevere), non è più possibile configurare una precisa evoluzione del suo stile.

Tuttavia, da un confronto stilistico tra i più significativi dipinti nella basilica di Assisi con le poche opere di Pietro Cavallini a noi pervenute, si evidenzia il peso dell’artista romano nella progettazione dei lavori in quel cantiere.

Concludendo, bisogna tenere presente che forse alcune di queste nuove forme di linguaggio pittorico facevano sentire il proprio peso in ambiente romano già dalla tarda metà del Duecento. Tutto questo, però, senza svalorizzare l’importanza del ruolo di Giotto nello sviluppo della nuova pittura italiana

Continua nella pagina successiva (il Gotico senese)

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