Simone Martini: Polittico di Orvieto
Sull’opera: Il “Polittico di Orvieto” è una serie di cinque dipinti prevalentemente attribuiti a Simone Martini, realizzati con tecnica a tempera su tavola probabilmente non prima del 1321; misurano 94 x 48,5 cm. (i quattro laterali) e 113 x 63 cm. (quello centrale); il complesso è custodito nel Museo dell’Opera del duomo ad Orvieto.
È molto probabile che il polittico in esame, conservato nel Museo dell’Opera del Duomo, in origine fosse stato composto anche da altri elementi pittorici, e quindi, di dimensioni superiori alle attuali. Infatti la figura di San Domenico (quella esterna, al lato destro) non ha lo sguardo rivolto verso la Madonna col Bambino come le altre tre figure rappresentanti i santi (da sinistra) Pietro, Maria Maddalena, e San Paolo.
In base agli elementi che abbiamo in esame, possiamo affermare che, spostando San Domenico sulla sinistra, verrebbero a mancare altre due raffigurazioni, che porterebbero il polittico a sette tavole.
Nelle attuali cinque tavole, il cui terminale è a forma di ogiva triloba, sono raffigurati:
-
San Pietro (94 x 48.5 cm.).
-
Santa Maria Maddalena con, in basso sulla destra, il donatore Trasmundo Monaldeschi, allora vescovo di Soana (94 x 48,5).
-
Madonna col Bambino (113 X 63 cm.).
-
San Paolo (9a x 48,5 cm.)
-
San Domenico
L’identità del vescovo commissionario si deduce da una annotazione di cronaca, mai resa pubblica a suo tempo, del monastero dei frati domenicani di Orvieto, insieme con una nota dove si ricava anche che il vescovo Trasmundo (o Trasmondo) pago il polittico al prezzo di cento fiorini, per destinarlo a pala d’altare.
La firma dell’artista con la rispettiva datazione, poste entrambe nella zona inferiore della cornice della tavola centrale, si leggono – con una certa difficoltà – più o meno con questi spezzoni di parole: “… N. DE. SENIS. ME. PINXIT. // A. D. M.CCC. XX.”: una firma scritta in modo alquanto incompleta ed una data riportata con una o, forse, due cifre mancanti.
A proposito di quanto appena riportato, negli accesi dibattiti sull’autografia, l’opera ha dato origine a molteplici ipotesi, spesso riguardanti aiuti di bottega e collaborazioni esterne. Jacobsen (Sienesische Meister des Trecento in der Gemàldegaierie zu Siena, Strassburg 1907) ne rinnegò decisamente l’autografia assegnandola a Lippo Memmi. Viceversa, il Berenson, sia nel 1918 (Essays in the Study of Sienese Painting, New York) che nel 1932 (The Italian Painfers of the Renaissance, Oxford), l’attribuiva senza nessuna riserva all’artista, con la concordia non proprio completa del Cecchi (1928), che riteneva la figura di san Pietro realizzata da altra mano.
Si può invece appoggiare con più decisione, la tesi del Paccagnini (1955), ribadita più tardi dal Carli (1959), che sosteneva la piena autografia sulla splendida Vergine raffigurata nella tavola centrale, rilevando invece negli elementi laterali la presenza delle stesse mani che aiutarono Simone Martini alla realizzazione Polittico di Pisa.
L’opera fu portata a Parigi come bottino di guerra napoleonico, quindi fu restituita (1815).