Luca Signorelli e Bartolomeo della Gatta: Testamento e morte di Mosè di Luca Signorelli (Cappella Sistina)
Sull’opera: “Testamento e morte di Mosè” è una raffigurazione di Luca Signorelli e Bartolomeo della Gatta facente parte del ciclo decorativo della Cappella Sistina (registro mediano), realizzato intorno al 1482.
Né il nome dell’uno, né quello dell’altro artista compaiono tra i titolari fiorentini chiamati nella grande impresa per la decorazione della Cappella Sistina. Da fonti certe è noto che l’incarico ai pittori toscani fu conferito da Sisto IV su con l’intercessione di Lorenzo il Magnifico.
Probabilmente i due pittori dovevano essere stati coinvolti, come assistenti, al seguito di Pietro Perugino che soprintendeva a tutti i lavori relativi alla grande decorazione, affiancato dal Ghirlandaio, Botticelli e Cosimo Rosselli.
Infatti detti nomi compaiono nel contratto ufficiale, stipulato il 27 ottobre 1481. È verosimile l’ipotesi di un disegno del Perugino per la presente opera, mentre è tradizionalmente più dubbia la totale attribuzione al Signorelli, in base agli scritti del Vasari.
Il pittore cortonese oltretutto è presente nella documentazione del cantiere dopo l’arrivo in Vaticano del Perugino (1482), come autore “della Disputa sul corpo di Mosè” realizzato sulla parete della porta che, gravemente danneggiata già intorno al 1550, venne poi completamente ridipinta nel 1574 dal pittore Matteo da Lecce (Alezio, 1547 – Lima, 1616 ), un allievo di Michelangelo.
Ricerche più recenti (Mario Salmi) hanno ridimensionato l’autografia e quindi la partecipazione di Signorelli alla presente composizione, mettendo in evidenza come molti dettagli con sottigliezze luministiche e vivi contrasti, siano piuttosto da assegnare a Bartolomeo della Gatta (Firenze, 1448 – Firenze, 1502), artista la cui pittura richiama la purezza stilistica di Piero della Francesca, nonché di Pietro Perugino prima maniera.
Non si può tuttavia non considerare la mano di Signorelli in alcune figure di grande resa anatomica, calibrate con il giusto patetismo d’espressività, che ritroviamo in altre sue opere.