I pittori ferraresi del Quattrocento ed il Ciclo dei “Mesi” a Palazzo Schifanoia (citazioni: “Classici dell’Arte”, Rizzoli Ed)
Pagine correlate: Biografie e cenne biografici di tre grandi pittori ferraresi: Cosmè Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti
Cosa hanno detto i critici della Storia dell’arte su questi tre grandi artisti ferraresi:
II ciclo di Schifanoia: In questo mirabile ciclo di affreschi (in fondo alla pagina) sono raccolti ed espressi con singolare evidenza tutti i caratteri fondamentali della scuola ferrarese non alti ed ampi voli del pensiero, ma in compenso osservazione forte profonda ed acuta della natura: non larga vena di poesia, ma precoce e quasi antiveggente spirito di realismo: non gentilezza di forme, ma rara energia di espressione psicologica, che si manifesta ora con la passione ardente del dramma, ora con la grazia ingenua e schietta della novella. G. agnelli – V. giustiniani, 11 Museo di Schifanoia in Ferrara, 1898
II Salone dei Mesi è stupefacente: una nuova pazzia scoppia nell’arte ferrarese. R. longhi, Officina ferrarese, l914
Quanto è rimasto rappresenta l’opera di maggior impegno e forse il più alto vertice a cui sia giunta l’arte ferrarese del ‘400. C. padovani, La critica d’arte e la pittura ferrarese, 1954
La divisione a lunghe membrature salienti del vasto spazioso salone è di origine fiorentina e fa pensare a quella della sala degli uomini e delle donne illustri affrescata da Andrea del Castagno nella villa dei Carducci poi Pandolfini a Soffiano (Firenze). Però l’insieme è a Ferrara più complicato. Su di un finto sedile in prospettiva posa il basamento da cui partono lesene o colonne con cartelle appese inferiormente, e di proporzione tanto più slanciata per raggiungere il soffitto senza la massiccia trabeazione castagnesca. E mentre la fronte del sedile si adorna di riquadrature e di tondi a finto marmo, il basamento accoglie un fregio monocromo con genietti alati. Le colonne scanalate e le lesene, scanalate esse pure, o prive di ogni ornato, ovvero variamente decorate, si distaccano dalla disciplina fiorentina nel loro mutare che si scorge anche nei capitelli. Al che va aggiunto che le membrature, se dividono con regolarità gli scomparti che illustrano i Mesi, variano in dipendenza dell’irregolare disporsi delle finestre, negli altri riquadri dipinti […]. Comunque le pareti di Schifanoia alludono ad una ricchezza aulica e festosa attraverso le fantastiche figurazioni che le membrature verticali spartiscono e che il lungo basamento lega. Originalità d’immagini e di colori, nobili architetture policrome della Rinascita e profondi paesaggi, con mirabili brani dal vero su colli inverosimili, su pianure paludose, su complicate strutture geologiche che creano talora misteriosi archi di primordiali costruzioni […], ed ornate architetture cittadine, monti contorti, sforbiciati contro il cielo; tutta la esaltante rievocazione poetica secondo il linguaggio ferrarese di una materia ora astrusa ed astratta, ora in rapporto con la vita, lontana da quella esposta dal Castagno con rigore di spazi regolari nell’austera sala fiorentina, limitata a presentare, entro nicchie rettangole, statuarie immagini che rinnovano il ciclo medioevale dei prodi, nei campioni della fiorentina gloria. M. salmi, Cosmè Tura, 1957
I grandi pittori ferraresi del Quattrocento
Tutti i pittori ferraresi del sec. XV, allo stesso modo del Tura, subiscono l’influenza di Padova e di Piero della Francesca. Non possono competere con i fiorentini, dal momento che essi non posseggono lo svolgimento dell’azione drammatica, e che lo stesso senso dello spazio è in loro non perfettamente sviluppato. Ma il realismo serio, la sicurezza dei tratti, la superiorità nel rilievo delle forme, lo splendore dei colori, i chiaroscuri che ottengono anche nei dipinti a tempera, danno alle loro opere un valore durevole. J. Burkehardt, Der Cicerone, 1855 (ed. it. 1952)
Tutto quanto avvenne tra Padova e Ferrara e Venezia tra il ’50 e il ’70 – dalle follie più feroci del Tura e del Crivelli, alla dolorosa eleganza del giovine Bellini, alla speciosamente rigorosa grammatica mantegnesca — ripete la sua origine da quella brigata di disperati vagabondi, di sarti e di barbieri di calzolai e di contadini che passò per un ventennio nello studio dello Squarcione. R. longhi, in “Vita artistica”, 1926
[…] A differenza degli ideali estremi, eroici, stoici, repubblicani, dei grandi fiorentini, […] a Ferrara non si voleva la dissoluzione del Gotico, del suo gusto feudale, cavalieresco, ‘romanzo’ caro alle nuove signorie come al vecchio popolo comunale lombardo [-..]. Si voleva, appunto, conservare la parata ‘cortese’, la più trita e pittoresca che profonda motilità, di tempra sensuale, l’emblematica araldica e la preziosa e artificiosa artigiania ; e in esse – tradizione nordica seguita alla bizantina – il linguaggio artistico del ‘colore’. Ne ci si poteva, d’altronde, spogliare dell’intuizione nativa, d’uno spazio infinito e vibrante, di contro alla definitezza classicista e alla metrica toscana del ‘volume’. Così, finché lo aperto spazio non s’organizzava nel colore, come tono, che ne divenne la stessa forma, esso, nonostante la studiosa applicazione di Jacopo Bellini e il darsi attorno con la prospettiva del malfido impresario Francesco Squarcione, rimase il ‘luogo’ del comporre, ma non potè identificarsi con l’entità plastica del rigoroso stile
toscano; e gli convenne rastremarsi nelle consunte implicazioni e allusioni marginali o trascriversi descrittivamente nella gotica grafia […]. Fu grandezza di questi uomini, anche rispetto ai maggiori del Cinquecento, quel franco ignorarsi, distratti dall’impegno d’una invenzione formale, che non credevano mai li tenesse a tu per tu con l’eterno; e tuttavia fu per essi come se lo fosse. S. ortolani, Cosmè Tura, Francesco Cossa Ercole de’ Roberti, 1941