Citazioni e critica su Jean-Auguste-Dominique Ingres (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)
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Su Ingres quello che hanno detto gli studiosi di Storia dell’arte: il ritratto di vostra madre, del vostro amico, della vostra amante. La sua baldanza è tutta speciale, e si unisce a una scaltrezza per cui egli non si arrende di fronte a nessuna bruttura o stramberia …
Talento, avaro, crudele, collerico, sofferente, straordinario miscuglio di qualità in contrasto, messe tutte quante al servizio della natura, e la cui stranezza non costituisce di certo una fra le cause minori del suo fascino: fiammingo nella stesura, individualista e naturalista nel disegno, volto all’antico per congenialità, idealista per ragionamento. (Baudelaire Salon de 1846, in “Le Portefeuille”, 1846).
Accordare tanti fattori opposti non è cosa da poco; così come non è senza motivo se, per esprimere i misteri religiosi del proprio disegno, egli s’è scelto una luce artificiale, che serve a chiarire meglio il suo pensiero: simile a un crepuscolo in cui la natura, risvegliata malamente, ci si mostri opaca, cruda, e la campagna riveli un aspetto fantastico, conturbante …
Le opere di Ingres, che sono il risultato di una cura esagerata, per essere capite pretendono da parte nostra altrettanta attenzione. Figlie del dolore, generano dolore. ch. baudelaire, Salon de 1846, in “Le Portefeuille”, 1846.
Secondo noi, uno fra gli aspetti che anzitutto distinguono il talento di Ingres, è l’amore per le donne. Il Suo libertinaggio è serio, pieno di convinzione. Ingres non appare mai tanto a proprio agio ed efficiente come quando impegna il suo genio con le grazie d’una giovane beltà. Muscoli, pieghe della carne, ombre delle fossette, ondulazioni della pelle: non manca nulla. Se l’isola di Citerà commissionasse un quadro a Ingres, di sicuro non ne sortirebbe uno estroso e gaio come quello di Watteau, bensì uno robusto e succulento come l’amore antico. ch. baudelaire – dufays, Le musée classique du bazar Bonne-Nouvelle, in “Le Corsaire-Satan”, 1846.
Assai più di quanto si pensi le opere di Ingres sono in rapporto coi dipinti primitivi dei popoli orientali, che sono una specie di scultura colorata. Come inizia l’arte in India e in Cina, fra gli egizi e gli etruschi? Dal bassorilievo, su cui si applica il colore; si sopprime quindi il rilievo, e non resta che il profilo esterno, il tratto, la linea. Applicate il colore all’interno di questo disegnp elementare, ed ecco la pittura. Ma l’aria e lo spazio non ci sono per niente. th; thoré (thoré-burger), Salon de 1846, in Salons de 1844, 1845, 1846, 1847 et 1848, 1868.
Ingres è in effetti il pittore dell’arte per l’arte: essenzialmente l’amore esclusivo della forma e la fantasia caratterizzano il suo fare … F. de laoenevais, Peintres et scuipteurs modernes: M Ingres, in “Revue des Deux-Mondes”, 1846.
Io credo sinceramente che Ingres sia fallito nell’attuazione del suo proposito; credo che non sia riuscito ad assorbirsi tutto nel ricordo e nell’imitazione di Raffaello. … Se vi fosse riuscito, non sarebbe nulla; proprio per aver fallito merita attenzione. G. planche, Les ceuvres de M. Ingres, in ‘Revue des Demi-Monde»”, 1851.
… A che cosa mira Ingres? Di sicuro, non alla resa di sentimenti, passioni, e relative sfumature; non alla presentazione di grandi fatti storici (nonostante le sue bellezze all’italiana, fin troppo all’italiana, il San Sinforiano, italianizzato sino ad accatastare le figure, non rivela certamente il sublime d’un martirio cristiano …) … Sono più propenso a credere che egli tenda a una sorta d’ideale fatto per metà di salute, metà di calma, quasi indifferenza, qualcosa di analogo all’ideale degli antichi, cui aggiunge le curiosità e le minuzie dell’arte moderna. È tale accozzaglia a determinare, spesso, il curioso fascino dei suoi lavori. Preso, così, da un ideale che adultera in un connubio irritante la calma solitudine di Raffaello con l’indagine dell’amichetta, Ingres doveva riuscire soprattutto nei ritratti; e realmente vi ha ottenuto i successi maggiori e più legittimi. Ma non si tratta d’un ritrattista sempre disponibile … Ingres sceglie i suoi modelli, e — bisogna riconoscere — li sceglie con tatto meraviglioso …
Tuttavia, a questo punto si pone una questione discussa cento volte, e sulla quale è sempre bene ritornare. Di che genere è il disegno di Ingres? Di qualità superiore? di assoluta intelligenza? … Egli pensa che la natura vada corretta, emendata; che l’accomodamento felice, gradevole, fatto per il piacere degli occhi, sia non soltanto un diritto, ma un dovere. Finora si era sostenuto che la natura va interpretata, ma con logica e senza uscire dal suo ambito; invece, nelle opere del maestro in questione, sovente c’è dolo, furberia, violenza, a volte imbroglio e peggio … Qua troviamo un ombelico che si perde verso le cestole, là un seno che punta troppo verso l’ascella; qua — cosa meno perdonabile (che di solito questi vari imbrogli hanno una scusante più o meno plausibile e sempre facile da ricondurre a una smoderata devozione per lo stile) — qua, dicevo, restiamo disorientati da una gamba senza nome, magrissima, priva di muscoli e di forma, e senza piega al ginocchio (Giove e Antiope).
Notiamo inoltre che, in preda a codesta preoccupazione quasi insana per lo stile, spesso il pittore ignora il modellato o lo riduce quasi a nulla, sperando così di conferire maggior valore al contorno, benché le sue figure abbiano l’aria di valersi d’una forma assolutamente esatta, gonfie d’una materia molle, che non vive, estranea all’organismo umano. Capita a volte che l’occhio cada su brani attraenti, irreprensibilmente vitali; ma allora la mente viene solcata dal malvagio pensiero che non Ingres abbia cercato la natura, ma che questa abbia forzato il pittore …
Da tutto ciò si comprende agevolmente come Ingres sia da considerare un uomo altamente dotato, un eloquente ammiratore della bellezza, ma sprovvisto del vigore che determina
la fatalità del genio. baudelaire, Ingres, in “Le Portefeuille», 1855.
Ingres disegna gli esseri viventi, come un geometra descriverebbe i corpi solidi …
È raro che in lui il colore non alteri il disegno. La falsità dei toni cozza contro l’esattezza della linea: i personaggi avanzano o indietreggiano in antitesi a ciò che sarebbe naturale, e lo spettatore è costretto a disertare una raffigurazione così inverosimile. Invano i differenti piani sono stati indicati; invano le figure sono state disposte secondo la prospettiva lineare:
questo colorito assurdo viene a sconvolgere ogni cosa, a fare il vuoto nel pieno, il pieno nel vuoto, a distruggere le distanze, a sopprimere l’atmosfera, a sovrapporre, a comprimere —. come in un gioco di carte — i personaggi gli uni contro gli altri …
La maniera di Ingres esclude naturalmente l’immaginazione, lo spirito, l’originalità. L’ideale non è ne nelle reminiscenze, ne nel plagio, ne nell’ostinatezza, virtù dell’asino. La composizione piramidale, la rifinitura, la dolcezza materiale del pennello, tutto questo non ha nulla in comune col genio …
Ingres è il rappresentante assoluto di quel pedantismo pseudo-greco e pseudo-romano che vuoi far entrare per forza in uno stampo chiamato ‘stile’ tutti i nostri sentimenti, tutti i nostri pensieri …
Ingres non ha niente in comune con noi : è un pittore cinese sperduto, in pieno diciannovesimo secolo, nelle rovine d’Atene. T. silvestre, Histoire des artistes vivants, 1855.
Nel ‘400 sarebbe stato, forse, un Masaccio; sicuramente fu un rivoluzionario.
… Quest’uomo fece qualcosa di più che sbalordire: non lo si è capito. In verità è arduo valutare l’assoluto divario che esisteva, per occhi abituati a un altro senso dell’arte, fra le opere di’Ingres e quelle dei suoi contemporanei. Non esito ad affermare che tale dato di fatto produceva sul pubblico di allora l’effetto che ci danno talune opere delle giovani correnti attuali.
… Ingres non è mai stato un ‘classico’ nel senso che si da al termine; la sola qualifica che gli conviene è quella, del tutto recente, di ‘realista’. Aggiungerei che è stato ‘realista’ nello • stesso modo di Masaccio, Michelangelo, Raffaello. P. amaury-duval, L’atelier d’Ingres, 1878.
Questa reputazione d’artista che ha fatto tanto rumore e che ha ottenuto tutti gli onori … crescerà col tempo? Non crediamo. Come pittore e come autore di composizioni, Ingres è già molto in ribasso; rimane il ‘disegnatore. Come tale, resterà al sommo dell’arte …
Insomma, non fu un grande pittore, ma un grande professore. barbier, Souvenir personnels, 1883.
… Isolati, questi ritratti, questi studi sono fra le cose più belle che la Francia abbia mai prodotto. Ma, quando vuole ideare, comporre, dar fiato alla tromba eroica, salire al disopra della sua natura, egli appare ciò che sarebbe sempre se il suo sensuale talento non intervenisse a salvargli l’anima: uno spirito parecchio volgare, fors’anche un po’ meschino …
… Egli rappresenta il razionalismo del ‘700, giunto infine al potere e risolto a restarvi, anche con la forza bruta, giudicando il lirismo dei romantici come una sorta di cancro demagogico e sovvertitore da estirpare a qualunque costo, addirittura facendo leva su istituzioni e formule che non si perita di deprecare. faure, Histoire de l’Ari. L’Ari moderne, 1909-21.
… Il fatto è che, nonostante tutti i suoi difetti e a dispetto della sua incapacità radicale a percepire quasi tutto ciò che nella natura costituisce la gioia degli occhi, questo diavolo d’uomo ha saputo esprimere, più fortemente di chiunque altro, ffl poco che percepiva. Come ha esattamente distinto lo sguardo penetrante di Delacroix, l’opera di Ingres è “la completa espressione di un’intelligenza incompleta”. Egli è andato fino all’estremo del suo talento, delle sue forze: il che è raro negli aomini. Aveva poco, ma ha dato tutto: il che è un bell’esempio, che esige rispetto …
Poiché la sua buona fede era assoluta, e la sua onestà scrupolosa, non si può accusare che il suo occhio … Ma è probabile che egli fosse infinitamente più dotato per la musica … Forse ci si è burlati troppo della sua passione per la musica. Il vero ‘violon d’Ingres’ è la pittura. R. DE la sizeranne, l’oeil et la main de M. Ingres, in “Revue des Deux-Mondea.”, 1911.
Con le sue arie compassate di pedagogo intransigente e reazionario, egli possedeva il più originale, il più personale dei temperamenti … J.-E. blanche, Quelques mots sur Ingres, in “La Revue de Paris, 1911.
Ogni volta che Ingres si è posto di fronte alla natura, l’ha tradotta con un capolavoro. Dinanzi al modello, in qualunque momento della sua carriera ritrova istantaneamente tutto il proprio acume, la propria certezza e baldanza. … Ne Holbein, ne Dürer, pur così coscienziosi e sagaci, si avvicinano a una tale perfezione. Da notare che Ingres rivela altrettanta sensibilità come colorista che come disegnatore. S’era convenuto di negargli qualsiasi sentimento del colore: a forza di sentirselo dire, lui stesso aveva finito col crederci e menarne un vanto. La verità è che, anche in questo senso, disponeva della medesima penetrazione di cui testimoniano i disegni. L. gillet, Ingres et la nouvelle exposition de ses ceuvres, in “Revue hebdomadaire”, 1911.
Ingres, rivolto ai primitivi, attendeva gli artisti al varco dell’impressionismo, rimanendovi in qualche modo legato per tutto ciò che in Manet testimonia ancora amore dello stile e desiderio di ‘fare un quadro’. ch. morice, l’art contemporain et M. Ingres, in “Mercure de France”, 1911.
… per questa eletta passione dell’ordine, per questa economia del modellato, per questa neutralità di materia Ingres poteva, tutto sommato, affascinare gli avversari del romanticismo. H. focillon, La peinture au XIX’ siecle, 1927.
Grazie a un genio intuitivo che non era però Sostenuto da un’intelligenza viva ne profonda, Ingres, che sembra non tendere ad altro che all’esattezza, raggiunge nei momenti migliori un’autentica bellezza spirituale e, anche quando non sembra cercare che i tratti più individuali, conferisce alle sembianze d’un uomo o d^una donna del suo tempo l’immortale autorità dell archetipo. P Jamot Exposition de portraits par Ingres et ses éleses. 1934.
L’aspetto dominante dell’arte di Ingres è l’affermazione del carattere individuale: “Per esprimere il carattere è consentita una certa esagerazione, a volte addirittura necessaria, soprattutto quando si tratta di staccare e di dare risalto a un elemento del bello”. Questa esagerazione può giungere fino alla deformazione: testimoni i famosi ‘gozzi’ di Teti, di Angelica o di Paolo …
Accogliendo come principio il valore della verità nel disegno, della sincerità dinanzi alla natura, del carattere individuale fieramente affermato, escludendo come orribili lo chic, la facilità, la bellezza convenzionale, Ingres si opponeva alla dottrina accademica del ‘bello ideale’ e, sia pure in sordina, a quella del suo maestro David. L’ostilità ufficiale deriva da questo. Ingres, non dimentichiamolo, per molto tempo non riscosse simpatie che negli ambienti romantici o ‘moderni’, mentre le sue opere inviate ai Salons erano accolte con sarcasmo. E più tardi, quando giunsero finalmente il successo e gli onori, la diffidenza restò da entrambe le parti, e si tradusse in vivacissime polemiche con l’Institut e con l’École des Beaux-Arts …
Ingres è prima di tutto un visivo. Il suo occhio ha un acume e un’esattezza sorprendenti, come provano i suoi ritratti a lapis. Ma egli disprezzava questi ritratti; voleva essere considerato un pittore ‘di storia’. Non potendo fare a meno del reale, mancando d’immaginazione e di spirito di sintesi, incontrò grandi difficoltà a concepire e a realizzare composizioni che avessero questo ‘grand style’, indispensabile alla pittura di storia. E tuttavia c’è riuscito: questo, il miracolo. C’è riuscito con un lavoro caparbio, ma anche con la sua volontà di stile e perché ha trovato sostegno, in tale ricerca, nei begli esempi del Rinascimento e dell’antichità classica. D. ternois, Ingres et sa méthode, in “La Revue du Louvre”, 1967.
Due opere, la Source e il Monsieur Bertin, hanno fatto di Ingres un pittore celebre, addirittura popolare. Ma quanti malintesi dietro a tale rinomanza! Si sono dati mai artisti presi a modello in modo più equivoco che non sia stato e sia Ingres, i cui esempi condizionano le carriere più tradizionali e al tempo stesso stimolano — da Degas a Renoir, da Picasso e La Fresnaye ai ‘giovani turchi’ della pop-art — artisti fra i meno sospetti di conformismo? Si sono dati mai, al suo livello di celebrità, artisti che, discussi e incompresi come fu lui, abbiano conservato in pari grado una continua facoltà di sconcertare, di suscitare di volta in volta l’ammirazione più pura e la più cordiale irritazione, stupori un poco perversi, ben di rado indifferenza? Si sa di altri insigni maestri dell’800 che, come talora Ingres, siano ammirati loro malgrado, per qualità o esiti senza dubbio involontari (Ingres non ha certo mirato all’effetto di assurdo erotismo che incanta nel Giove e Teti), così come si ammira il creatore di questo o quell’oggetto esotico” senza conoscere nulla dei suoi intenti reali? M. laclotte, in Ingres. Petit Palais, 1967.
Se Ingres non avesse lasciato altro che i ritratti, dipinti o disegnati, la sua gloria sarebbe indiscutibile, grande, completa, immutabile: affine a quella di Holbein. Invece ebbe il torto di lasciare un’opera, più ricca del pittore da lui miracolosamente uguagliato, e talora superato, a tre secoli di distanza. Certo, lo si segue con ammirazione quando schizza dal vivo un torso, un braccio, una gamba, quando disegna un paesaggio romano, soprattutto quando dipinge un nudo, concretando — con l’assolutamente divina Bagnante de Valpinfon — la sola bellezza vermeeriana che il pittore di Deift non abbia attuato da sé. Ma non a ciò ambiva Ingres, persuaso che le vette dell’arte sono riservate ai pittori ‘di storia’, ed essendo uomo da non accontentarsi d’un secondo posto.
Di conseguenza era costretto a valersi d’una facoltà di cui in pratica era del tutto privo: l’immaginazione; così, la poca di cui disponeva, era forzato a forzarla, adeguandovisi con la feroce ostinazione che gli era propria. C’è da stupirsi se, da un tale punto di partenza, è arrivato a risultati strambi? Risultati molto diversi: a volte curiosamente affascinanti, oppure al limite del plagio, o contorti, di rado insignificanti, sconcertanti sempre. H. naef, Ingres dessinateur de portraits, in Ingres. Petit Palais, 1967.