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Citazioni e critica al Parmigianino nei secoli

Citazioni e critica al Parmigianino

Quello che gli studiosi della Storia dell’arte hanno detto di Parmigianino:

Già nelle Vite del Vasari sono riportati elogi al Parmigianino: “Fra molti che sono stati dotati in Lombardia [questa regione allora aveva un significato più ampio di oggi e comprendeva quasi tutto il territorio padano] della graziosa virtù del disegno e d’una certa vivezza di spirito nell’invenzioni, e d’una particolar maniera di far in pittura bellissimi paesi, non è da posporre a nessuno, anzi da preporre a tutti gl’altri, Francesco Mazzuoli parmigiano, il quale fu dal cielo largamente dotato di tutte quelle parti che a un eccellente pittore sono richieste, poiché diede alle sue figure, oltre quello che si è detto di molti altri, una certa venustà, dolcezza e leggiadria nell’attitudini, che fu sua propria e particolare. Nelle teste parimente si vede che egli ebbe tutte quelle avvertenze che si dee, intanto che la sua maniera è stata da infiniti pittori immitata et osservata, per aver’egli dato all’arte un lume di grazia tanto piacevole, che saranno sempre le sue cose tenute in pregio, et egli da tutti gli studiosi del disegno onorato”. Lo storico aretino parlò anche della sua passione per l’alchimia che l’avrebbe distratto dal mondo artistico: “avesse voluto Dio ch’egli avesse seguitato gli studii della pittura e non fusse andato dietro ai ghiribizzi di congelare mercurio per farsi più ricco di quello che l’aveva dotato la natura et il cielo, perciò che sarebbe stato sanza pari e veramente unico nella pittura; dove cercando di quello che non poté mai trovare, perdé il tempo, spregiò l’arte sua e fecesi danno nella propria vita e nel nome”.

Anche altri antichi scritti tennero il Parmigianino in altissimo conto, affiancandolo al Sanzio ed al Correggio, come “L’Aretino” (o “Dialogo della pittura” edito nel 1557) di Lodovico Dolce: “Che vi dirò io di Francesco Parmigiano? Diede costui certa vaghezza alle cose sue, che fanno innamorar chiunque le riguarda. Oltre a ciò coloriva politamente: e fu tanto leggiadro et accurato nel disegnare, che ogni suo disegno lasciato in carta mette stupore negli occhi di chi lo mira…”.

Nel Seicento, lo Scannelli asseriva che l’artista traesse da Correggio e da Raffaello: “la gratia e la delicatezza, e mediante il suo natural talento e straordinaria dispositione, componesse una terza particolar maniera sua propria, che in sveltezza, spirito vivace e gratiosa leggiadria ha superato ogni più eccellente Pittore”.

Nel Settecento, con la diffusione del Neoclassicismo, non mancarono certamente critiche di affettazione e di assenza di simmetria. Solo fra’ David Affò (Ireneo Affò), autore di un’opera biografica sul Parmigianino, fu assai più indulgente, concedendo che l’artista, comunque, giungesse raramente “a certi estremi senza che ciò sembri difetto: i quali estremi segnati essendo, dirò così, da linee quasi invisibili, vengono di leggieri oltrepassati da coloro che per solo sforzo d’imitazione tentano di raggiungerli”, rimproverando invece coloro che cercavano di imitarlo di non aver fatto attenzione a “tutte quelle avvertenze ch’egli ebbe” cadendo nel tranello della “peste dell’affettazione”.

Nell’Ottocento il Parmigianino non fu affatto preso in considerazione dalla critica e quei pochi che ne parlarono lo fecero disprezzandolo. Il Burckhardt, ad esempio, criticò amaramente la Madonna dal collo lungo ritenendola di “insopportabile affettazione” accusando, allo stesso tempo, anche altri allievi del Correggio che ne avevano frainteso la lezione “credendo che il fascino ne consistesse in una delicatezza speciale e in un modo speciale di presentare le forme, non rendendosi conto che il fattore principale era dato dall’immediatezza delle forme piacevoli”. Viceversa Per Blanc l’artista era “costante il desiderio di piacere attraverso una certa aristocrazia di forme, risultato di costruzione mentale più che derivazione dalla natura, nella quale le perfette proporzioni sono più misurate. Il Mazzola credeva di conoscere la natura a memoria e perciò smise presto di consultarla…”.

Nel Novecento con la rivalutazione dell’esperienza manierista il Parmigianino viene rivalutato. Per Quintavalle, infatti, l’artista ebbe per tutto il corso della sua vita “tormento di ricerca mai sostante e mai pago, come il succedersi dei suoi meditati trapassi da un mondo eminentemente visivo a tanta rigorosa e cerebrale resa che subordina ogni elemento narrativo alla pura astrazione e non tien conto della realtà, sì cara ai profani di pittura, tanto da giungere nelle sue ultime opere a un assoluto decorativo, spoglio di ogni realismo e senza profondità prospettica, come un policromo arazzo, o a un formalismo astratto e quasi pietrificato…”.

Nella monografia di Freedberg, edita nel 1950, si parla del Parmigianino che fu “per innata disposizione un manierista. Ma senza l’esperienza del Rinascimento, il suo maturo Manierismo non avrebbe mai potuto assumere la propria significativa forma storico-artistica. Lo stile del Parmigianino sarebbe rimasto di un Manierismo ingenuo e personale o anche provinciale….”.

Argan, riguardo il pittore “avverte che la storia non è più l’esperienza fondamentale e che il presente si confonde con l’eterno in una dimensione senza tempo, irreale. Il suo bello è il segno della negatività di tutti gli altri valori, e da questa negatività, che in certo senso denuncia, riceve il suo splendore misterioso, lunare. Se però ci chiediamo perché il Parmigianino non porti innanzi l’esperienza correggesca, anzi torni indietro fino a ritrovare il rigorismo ossessivo e anch’esso formalistico dei ferraresi del Quattrocento, dobbiamo riconoscere che il freno allo sviluppo immediato del correggismo è nella cultura stessa del Correggio. Non si fonda, come il Correggio ha cercato di fondare, un nuovo e positivo valore, una funzione concreta dell’immaginazione, se non si rinnovano radicalmente le basi dell’esperienza del reale, di cui l’ immaginazione vuole essere, appunto, il séguito con la congettura del verosimile o del possibile. E il Correggio….non le rinnova: il suo fondamento rimane la cultura umanistica dell’ultimo Quattrocento….Solo quando la pittura veneta avrà rinnovato radicalmente le basi dell’esperienza visiva della realtà, il primo artista barocco, Annibale Carracci, potrà rendere attuale e feconda la lezione, rimasta sospesa, del Correggio”.

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