Citazioni e critica su Francesco del Cossa (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)
Pagine correlate all’artista: Biografia e vita artistica – Le opere – Il periodo artistico – bibliografia – Pittori ferraresi e il Ciclo dei “Mesi” a Palazzo Schifanoia.
Quello che hanno i critici di Storia dell’arte a proposito di Francesco del Cossa: Contemporaneo del Tura ma più giovane e, per quanto panni, anche inferiore di merito, fu Francesco Cossa. o del Cossa. che credesi avere avuto una scuola fiorente in patria […]. G. Rosini- Storia della pittura italiana esposta coi monumenti. 1840-54.
Le figure di Cossa un po’ pesanti come quelle di Zoppo, ma meglio disegnate, hanno un grande carattere di serietà e di dignità; il dettaglio troppo ricco è eseguito con grande eleganza in una tonalità grigiastra. J. burckhardt, Der Cicerone, 1855 (ed. it. 1952)
Ebbe un fare più grandioso di quello solito ad incontrarsi ne’ tempi suoi : molta facilità, poca sceltezza di forme, aspirazione religiosa tale che fu detto dagli scrittori contemporanei pittore devoto. C. laderchi, La pittura ferrarese, 1857.
Un’austera grandiosità e nobiltà di atteggiamento si esprime nelle figure; una scultorea ampiezza distingue i drappeggi, ma le pietre sembrano quasi sempre studiate dalla natura; i contorni sono chiari e forti, in modo da rendere il corpo nudo e le estremità con una precisa prospettiva e anatomia ; il rilievo è ottenuto attraverso l’accuratezza del chiaroscuro, con una esatta modellatura e con colori contrastanti. G. B. cavalcaselle – J. A. crowe, History of Paintings in North Italy, 1871.
Cossa è per certi aspetti superiore al suo concittadino Tura. È meno rigido; da agli incarnati una maggiore flessibilità e naturalezza; i suoi ricchi colori hanno gradazioni più delicate. Infine, si avvicina a soggetti profani con una disinvoltura del tutto nuova. Come gli altri artisti formatisi a Padova, amava l’arte antica e cercava, per quanto possibile, di accostarvisi. Lo testimoniano gli archi a tutto sesto, i cornicioni e i dettagli […]. G. gruyer, L’art ferrarais a l’époque des princes d’Este, 1897.
La libertà inventiva in alcuni particolari architettonici, come negli archi a fasci di canne ricurve, mostra come l’artista traesse dall’architettura vivente gli esempi […]. Se, come sembra, il pittore vide il Mantegna, non ne intese lo sforzo di ricostruzione dell’antico, perché non ebbe in sé la preparazione umanistica di quel capostipite. Ne sentì soltanto la vigoria che gli si ripercosse nelle membra poderose. A. venturi, Storia dell’arte italiana, VII, 1914
L’arte del Cossa fu meno poderosa di quella del Tura — per la materia più delicata della quale fu composta, per l’inquietudine e l’ansietà della quale fu nutrita, fu anche meno impassibile, più spirituale e più umana. N. barbantini, La pittura ferrarese nel Rinascimento, in “Nuova Antologia”, 1933.
Se in un primo tempo egli sente l’influsso del Tura, da cui deriva anche quel paesaggio desolato e pietroso, nei riguardi figurativi se ne discosta per un vivo interesse verso il mondo sensibile realizzato con intenzioni naturalistiche, ma nitidamente, in un plasticismo che gli viene dai fiorentini, come Andrea del Castagno, e dal Mantegna, unito ad un colore di origine pierfrancescana. E, sempre pittore per doti native, sia che illustri gioiosamente temi cavaliereschi, o s’impegni in sacre leggende, o presenti figurazioni monumentali, si esprime con spontaneità e schiettezza rusticane, che la cultura non riesce a celare e che lo riallacciano ai grandi scultori romanici emiliani. M. salmi, Francesco del Cossa, in “Enciclopedia Universale dell’Arte”, IV, 1960.
II suo ‘modo’ d’arte, a differenza del Tura, si libera da quella drammaticità provocata dal movimento fermato e impietrito forzatamente, trova risoluzione in una libertà di agire e di muoversi […]. Si ritrovano alcuni dei motivi tipici della espressione artistica ferrarese: l’aspra plasticità, il segno ricurvo, a unghiata, il taglio drammatico, l’arrovellarsi del panneggio, il piacere dell’uso del colore a forti e calde tonalità, le vivide macchie di colore — motivo di sfoggio cromatico più che simboli od immagini —; il gusto, talora di sapore fin decadente, per un paesaggio fantastico, irreale, quasi surreale — rocce e rovine immaginose — lavorato con sensibilità tonale su gamma cromatica di vario tenue riflesso, motivo paesistico sempre in contrasto con la chiarezza plastica e la energia del primo piano figurativo. F. cologni, Itinerari del tempo antico dell’arte: C. Tura, F. Cossa. E. de’ Roberti, 1961.