Biografia di Filippino Lippi: Cappella Strozzi e Pala Magrini (1457 – 1504)
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Filippino e le commissioni sempre più importanti
Gli incarichi più importanti conferiti all’artista incominciarono dagli inizi degli anni ottanta, periodo in cui lo stile di Filippino, probabilmente proprio per tal motivo, stava ulteriormente sviluppandosi con integrazioni di forme più personali.
Nel 1482 realizzò due tondi dell”Annunciazione (“Vergine annunciata” e “Gabriele annunciante”, entrambi attualmente custoditi nella Pinacoteca Comunale a San Gimignano) ai quali seguirono, nel 1483, la Pala Magrini (chiesa di San Michele in Foro a Lucca) e i pannelli per la chiesa di San Ponziano a Lucca (oggi conservati alla Norton Simon Museum di Pasadena, California).
Il 31 dicembre 1482 assegnarono al pittore l’incarico per la realizzazione di alcuni affreschi a Palazzo Vecchio (Sala dell’Udienza).
Il grande compito, che non fu mai svolto, testimonia come alto fosse considerato il nome del giovane artista, che ricevette committenze da importanti apparati istituzionali.
Sempre in quel periodo gli chiesero di portare a compimento il ciclo pittorico della Cappella Brancacci. Trattasi delle “Storie di San Pietro” del Masaccio che completò entro il 1485: “Resurrezione del figlio di Teofilo“, “Disputa di Simon Mago e crocifissione di san Pietro“, “San Pietro in carcere visitato da san Paolo” e “Liberazione di san Pietro dal carcere” [Cosmo, cit., pag. 8].
Probabilmente i committenti scelsero Filippino perché la sua pittura era assai vicina a quella di suo padre, che fu allievo di Masaccio, impegnandolo al completamento della fascia bassa dei riquadri, in parte lasciata incompiuta – ma c’è chi parla di volontarie rimozioni per la presenza di figure di personaggi “scomodi” – da Masaccio ed in parte da ricomporre totalmente. I lavori iniziati dal Masaccio con l’aiuto di Masolino da Panicale (Panicale, 1383 – Firenze, 1440 circa) iniziarono nel 1424 e si interruppero nel 1427.
Filippino cercò in ogni modo di adeguarsi alla struttura compositiva ed al cromatismo del celebre predecessore, semplificandone al massimo le figure senza però tralasciare l’inflessibile rigore che di solito impiegava nel comporre.
La mimesi compiuta nel completamento dell’opera risulta perfetta in alcuni brani (ad esempio nel paesaggio della “Resurrezione del figlio di Teofilo”, di cui ancora oggi c’è ambiguità se attribuirlo all’uno o all’altro artista), mentre emergono leggere differenze stilistiche nella rappresentazione dei vari personaggi, ove affiora la raffinatezza dell’arte sviluppatasi all’epoca di Lorenzo il Magnifico (si pensi, a tal proposito, anche al Botticelli, al Perugino, al Ghirlandaio, ecc.) rispetto quella tanto austera e priva d’ornamento di Masaccio e Masolino. Nonostante ciò, la raffigurazione globale risulta abbastanza compatta ed armonica, con le differenze stilistiche percepibili solo dagli esperti, dopo un attento esame [fonte: “La Cappella Brancacci a Santa Maria del Carmine”, in AA.VV. di Mario Carniani, Cappelle del Rinascimento a Firenze, Editrice Giusti, Firenze 1998]. Per quanto riguarda la cronologia, oggetto di ampi dibattiti tuttora risolti soltanto in riferimento ad elementi indiziali, si pensa che l’opera fosse stata portata a compimento intorno al 1485, comunque non oltre il 1487.
Nel 1486 realizzò un grande dipinto devozionale (Pala degli Otto, datata 20 febbraio) per la sala degli Otto di Pratica di Palazzo Vecchio, dalla quale emergono gli influssi di Leonardo, soprattutto nella figura della Vergine. Sempre in quell’anno veniva portata a termine la “Apparizione della Vergine a san Bernardo” (attualmente custodita alla Badia Fiorentina), commissionata per il convento delle Campora, fuori da Porta Romana. Questo dipinto ha un carattere irreale conferitogli soprattutto dalle figure allungate nonché dallo scenario paesaggistico, con rocce e tronchi immaginari, talvolta sfiorando l’antropomorfismo.
Il 21 aprile 1487 Filippo Strozzi il Vecchio (Firenze, 1428 – Firenze, 1491) commissionò all’artista la decorazione della cappella di famiglia nella basilica di Santa Maria Novella, con Storie di San Giovanni Evangelista e di San Filippo. Nel contratto vi era scritto che l’artista si sarebbe recato a Venezia per visionare alcuni affreschi. I lavori vennero presto interrotti perché dovette partire per Roma per un’importante committenza in Santa Maria sopra Minerva. All’inizio del 1488 realizzò due tavole – andate perdute – da spedire a Mattia Corvino (Kolozsvár, 1443 – Vienna, 1490), re d’Ungheria.
Come sopra accennato Filippino si recò a Roma nel 1488. Da documentazioni certe si ricava che in data 27 agosto 1488 l’artista si trovava nella capitale dove, con l’intercessione di Lorenzo il Magnifico, il cardinale Oliviero Carafa gli aveva poco prima commissionato la decorazione della sua cappella di famiglia nella basilica di Santa Maria sopra Minerva.
Rientrato a Firenze partecipò a un concorso (1491) per la facciata del Duomo. Riprese le “Storie” per la cappella di Filippo Strozzi in Santa Maria Novella, bruscamente interrotte qualche anno prima, portandole a compimento nel 1502. Fra il giugno e il luglio 1503, nella cappella, ove già da tempo erano custodite le spoglie del committente – che morì nel 1491 – furono installate le vetrate su disegno dello stesso Filippino, con la Madonna col Bambino, due angeli, San Giovanni e San Filippo. Gli affreschi rispecchiano pienamente crisi politica e religiosa che stava crescendo nella Firenze dell’epoca: il tema delle composizioni, assai dibattuto in quel particolare momento, dominato da Savonarola, si riferisce ai conflitti tra Cristianesimo e paganesimo. I personaggi sono inseriti in ambienti dove viene ricreato il mondo antico in tutti i suoi dettagli, appesantite però da decorazioni a grottesche, che conferiscono a tutto l’insieme una irreale “animazione”, inquietante e fantasmagorica, quasi da incubo, ove i carnefici trasfigurati da smorfie infieriscono contro i santi.