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Biografia e pittura del Pontormo (1494 – 1557)

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(segue dalla pagina precedente)

Alla Certosa del Galluzzo a Firenze

Come come dettagliatamente riportato dal Vasari, a cavallo degli anni 1522-1523 la peste che imperversava in ampie zone costrinse il Pontormo ad allontanarsi da Firenze, che si recò nella Certosa del Galluzzo, accompagnato dal suo discepolo Bronzino, dove – oltre all’ospitalità – gli furono affidati diversi incarichi per lavori decorativi, che riuscì a consegnare solo nel 1527.

Pontormo: Un riquadro delle Storie della Passione, Museo della Certosa del Galluzzo, Firenze

L’artista iniziò dai sei affreschi nelle lunette del chiostro con le “Scene della Passione”, portandone a compimento cinque (il sesto, l’ “Inchiodamento alla croce”, rimase soltanto a livello di disegno).

Le opere di questo periodo sono fortemente influenzate dalla pittura di Dürer (in particolare le incisione della Piccola Passione che ormai imperversavano in tutta Italia), che gli causò poi aspre critiche dallo stesso Vasari, il quale le trovò assai peggiorate rispetto a quelle realizzate in gioventù. Inoltre la nuova maniera nordica non era vista molto bene nel periodo dello storico aretino e della Controriforma, facendo supporre che sotto sotto vi fossero propagande luterane. Infine Pinelli evidenziò nelle opere dell’artista anche altri richiami nordici, soprattutto verso “Passione” di Hans Memling, in quegli anni nella chiesa di Santa Maria Nuova, istituzione retta da Leonardo Buonafe, priore della Certosa di san Gallo.

Pontormo: Cena in Emmaus, cm. 230 x 173, Galleria degli Uffizi, Firenze

Generalmente le affinità con le opere nordiche si manifestano nei panneggi, nelle figure allungate e, soprattutto, nelle espressioni dei volti portate al massimo livello di pateticità. Con tali studi il Pontormo si affrancò totalmente dai lacci della tradizione fiorentina, raggiungendo una libera ed inedita sintesi formale [Marchetti Letta, cit., p. 36].

Dopo aver portato a termine gli affreschi il pittore dipinse – sempre per la Certosa del Galluzzo destinata alla dispensa, o forse al refettorio della foresteria – una grande tela con la “Cena in Emmaus”. In essa vi è raffigurato Gesù, nell’atto di spezzare il pane, quando rivela sé stesso ai due discepoli che ha di fronte: uno di essi lo sta ascoltando mentre altre idee probabilmente stanno occupandogli la mente; l’altro pensa invece a riempire di vino il bicchiere con una piccola brocca. Nonostante le figure appaiano alquanto allungate, la rappresentazione di quell’istante risulta molto realistica, frutto di una nuova maniera di dipingere del tutto inedita che può essere considerata come il preludio delle ricerche di Caravaggio, Velázquez e Zurbarán.

Gli affreschi della Cappella Capponi nella chiesa di Santa Felicita a Firenze

Pontormo: Decorazione della Cappella Capponi – San Luca, diam. cm. 70, Santa Felicita, Firenze

Intanto la vita artistica del pittore si svolgeva comunque e sempre in ambito fiorentino; nel 1525 fu invitato ad iscriversi dell’Accademia del Disegno di Firenze.

Intorno al triennio 1526-28 la sua pittura raggiunse il livello più alto nella decorazione nella chiesa di Santa Felicita. Trattasi della Cappella Capponi (già Cappella Barbadori, ceduta nel 1487 ad Antonio Paganelli e poi, nel 1525, alla famiglia di cui attualmente ne porta il nome) alla quale partecipò, nella realizzazione dei tondi nei pennacchi e nelle raffigurazioni del lato est, anche giovane Bronzino. Il Pontormo dipinse la pala con la “Deposizione” per l’altare maggiore nella cui stesura, senza impiegare alcun riferimento spaziale, in una luce irreale, sistemò undici figure in uno spazio indefinito, con atteggiamenti portati al limite della drammaticità ed enfatizzati da un cromatismo scintillante, ottenuto anche con l’impiego di pigmento puro [Marchetti Letta, cit., p. 6].

Pontormo: un riquadro della decorazione della Cappella Capponi della chiesa di Santa Felicita a Firenze

Nel 1529 le sue risorse economiche, già abbastanza consistenti, gli permisero di acquistare una casa in cui vivere senza preoccupazioni e svolgervi l’attività di pittore, iniziando così ad organizzare il lavoro come in una vera bottega ed in piena autonomia. A proposito di ciò il Vasari scriveva: “alla stanza dove stava a dormire e talvolta a lavorare si saliva per una scala di legno, la quale, entrato che egli era, tirava su con una carrucola acciò che niuno potesse salire da lui senza sua voglia o saputa”.

Dal 1536 ritornò a lavorare per Cosimo I de’ Medici (1519 – 1574) per la decorazione (andata completamente perduta) nella villa medicea di Castello. Alcuni studiosi di Storia dell’arte riferiscono che, per il desiderio di portare a termine da solo tutte le stesure, il Pontormo fosse rimasto per cinque anni in un piccolo spazio, dietro un tramezzo di legno.

(segue nella pagina successiva)

Bibliografia: “Pontormo, Rosso Fiorentino”, Elisabetta Marchetti, Letta, Scala, Firenze 1994.

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