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L’affermazione dei Carolingi al potere, iniziata nel 751 con l’ascesa al trono di Pipino il Breve (padre di Carlomanno e Carlo Magno) e terminata con la deposizione di Carlo il Grosso, coinvolge il completo evolversi della civiltà di tutta l’Europa occidentale. Prima dei Carolingi le peculiarità di questa vasta ed attivissima zona erano certamente l’eterogeneità e la mutevolezza, grazie anche alle grandi immigrazioni.
Con la dinastia carolingia la storia dell’arte conosce un procedere più omogeneo e tendenzialmente totalitario, come non si vedeva dal periodo aureo del glorioso Impero Romano.
Un grosso impulso alla vitalità della pittura e dell’architettura, viene dato anche dall’accordo della Chiesa con il nuovo Impero. La Chiesa durante l’VIII secolo ha la preoccupazione di conformare le istituzioni regolari del clero a quelle monastiche, che pure hanno conosciuto ulteriori chiarificazioni sulla normativa, come testimonia con forte evidenza raffigurativa e simbolica il maestoso complesso abbaziale romanico di Saint-Riquier (Centula), fondato da Angilberto nel 790 (terminato nel 799), grazie anche ai consistenti contributi di Carlo Magno. Si crea così una stretta e diretta interdipendenza tra molti fattori che si intrecciano tra loro, come il cerimoniale imperiale con la liturgia sacra, lo schema architettonico con l’arredo religioso, gli eventi terreni con il contenuto ideale: l’arte assume una forte impronta religiosa insieme al ritorno a schemi tipici del classicismo romano legittimato dal potere imperiale.
Il modello ideale al quale ispirarsi è quello dell’Impero cristiano di Costantino, al quale si aggiunge un collegamento molto più diretto con l’attuale Cristianesimo, ormai capillarmente diffuso, che gli conferisce una legittimazione anche senza passare da Bisanzio.
Nell’Impero Carolingio, oltre a quella del papato, una grande risorsa arriva dall’ordine benedettino che prende forza per la fondazione di numerosissimi edifici di culto, mentre presso la corte confluiscono autorità clericali ed i chierici più dotti del Cristianesimo, che contribuiscono attivamente alla “Rinascenza Carolingia”.
I più grandi rinnovamenti architettonici delle chiese dell’età carolingia derivano da questa concezione storica che mette insieme Impero e Chiesa in un compito comune: un esempio sono le possenti torri Westwerk, a ridosso delle cattedrali, più alte della navata, in tre grandi aree, costruite per ospitare l’Imperatore ed assistere alle più importanti funzioni religiose.
Tuttavia nella nostra penisola, il corso della cultura in generale e dell’arte, segue strade varie e complicate anche per la continua presenza a Roma della curia pontificia, che segna un fedele proseguimento del tardo-antico per diversi motivi, tra i quali i più evidenti sono le numerose enclaves religiose bizantine, la nascita e lo sviluppo del ducato vescovile napoletano, di quello lagunare e di quello di Benevento. Tutti intenti ad affermarsi culturalmente nella tradizione romano-bizantina. A questo vengono aggiunte le conquiste musulmane.
Molti e concreti sono i trasporti di materiale classico dal ravennate ad Aquisgrana. Ci sono purtroppo tutti i presupposti per la nascita di un’annosa polemica riguardo le immagine sacre iconoclastiche e quelle dell’idolatria, per le quali si troverà un compromesso che darà adito ad altri e più accesi dibattiti. Le pareti della corte di Carlo Magno sono adornate da opere realistiche e classiche con tematiche che si riferiscono a fatti realmente accaduti, lontani dall’iconismo orientato all’astratto ed alla libera fantasia delle precedenti produzioni artistiche, come la miniatura merovingica ed irlandese. Due chiari esempi sono l’evangelario di Durrow (Trinity College, Dublino) e il Codex Aurex di Canterbury (Biblioteca Batthyaneum, Alba Julia, Romania).
La frattura con la tradizione del mondo bizantino collegata alle ambizioni imperiali di Carlo si dissolve in breve tempo. Nell’827 arrivano gli scritti dello Pseudo-Areopagita alla corte di Ludovico il Pio, che diffondono il concetto neoplatonico secondo il quale la forma esteriore non è fine a se stessa, ma raffigura una bellezza impercettibile dall’esterno, unico e vero oggetto di aspirazione. Questo principio percorrerà l’estetica di tutto il rimanente periodo medioevale. Anche la pittura parietale sarà interessata dalla tendenza narrativa, spesso associata ai “Tituli” che conferiscono ai cicli di affresco valenze di prediche dipinte.