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Periodi dell’arte di Roma
Periodo Giulio Claudi
L’immagine di Tiberio (14-37 d.C.) rispetta le caratteristiche di classicismo che il suo predecessore ha impostato.
Caligola (37-41 d.C.) si differenzia per la morbidezza ed il delicato andamento del chiaroscuro sul volto e il soffuso ombreggiamento nelle orbite.
Claudio (41-54 d.C.), grande esperto d’arte italica antica ed etrusca, riflette molto sul divario degli elementi costitutivi l’espressione artistica romana, riferendosi, in un suo discorso, all’importanza iniziale che hanno avuto i re “non romani”.
Numa Pompilio era sabino, Tarquinio Prisco nasceva da madre etrusca e padre di Corinto; oltre all’apertura verso la nobiltà straniera, l’Imperatore ricorda il degno e prestigioso esempio dato da Servio Tullio – nato da una prigioniera – la cui figura assume una costruzione monumentale incentrata su vasti piani, alla “maniera” degli eredi di Alessandro.
Nerone (54-68) rinuncia sin dal primo periodo alla naturale ed asciutta plasticità tramandata da Augusto: la sua barba, completamente fuori dai canoni, è ispirata ai filosofi dell’antica Grecia. Il volto risulta essere, al modellato, di delicata carnosità. Dall’espressione degli occhi si evidenzia uno sguardo che si annida profondamente nell’orbita oculare e tutte le ombre conferiscono all’immagine la caratteristica espressione di una personalità fortemente perturbata.
Nell’arte pittorica parietale incomincia a prendere forza il quarto stile, già espresso nella casa “Vettii”, a Pompei, prima del terremoto del 62. Rimane la simmetria della composizione nella tradizione di scene coreografiche relative al secondo stile, ma dalla stessa struttura si svincola un soggetto architettonico di grandissimo impulso verticale che apre tutta la parete allo scenario compositivo: le immagini che vi sono immerse conferiscono un clima spirituale, proprio di un ambiente decorato, i tratti grafici evidenziano una raffinata esperienza, la composizione prospettica è chiara e la qualità coloristica ottima.
Nell’insieme spaziale – nel passaggio dai primi ai secondi piani, ai terzi e fino allo sfondo – le tensioni aumentano in modo abbastanza evidente. Un fattore di vitale importanza è la luce che in questi affreschi gradua il consolidamento della materia, dal realismo presente nelle nature morte poste sulla balaustra visibile nei primi piani, alla trasparenza delle ombre che ammorbidiscono i particolari nello sfondo. All’entrata della casa è rappresentato un Priapo itifallico (Figura a lato), augurio di fecondità e benessere: il dio della procreazione è raffigurato nell’atto di pesare su di una bilancia il suo smisurato fallo, e il contrappeso è una borsa piena di denaro. Anche in questa raffigurazione i particolari dei secondi piani sono attenuati e soffusi per sparire in uno sfondo a tonalità intensa e fredda, allo stesso tempo.
Più tardi, dopo lo sconvolgimento dell’economia e dei nuovi rapporti con il senato, il comportamento politico di Nerone prende un orientamento ellenistico, e la figura del volto si trasforma nell’arricciarsi della capigliatura e della barba. Il volto acquista adipe in corrispondenza delle guance, il labbro inferiore diventa tumido e sporgente.
Lo sguardo si dirige verso l’alto come nello schema di Alessandro. All’entrata della “Domus Area” – realizzata da Severus e Celer con le decorazioni di Fallabus – lo scultore bronzista Zenodoros crea il colosso di Nerone, alto 110 piedi (forse 102 o anche 120 piedi come sostengono altre fonti), con corona radiata del Sole.
Seneca arriva al suicidio (65 d.C.): la sua filosofia lo porta ad un altissimo livello di contemplazione, tanto da fargli ritenere che Roma fosse una semplice nullità nell’universo ed il suo esercito simile a « formiche che si affaticano in uno spazio irrisorio».
Periodo dei Flavi
Se consideriamo gli aspetti decorativi di una villa di Stabiae (l’antica città era ubicata nei pressi di Castellammare di Stabia), in fase di completamento al momento dell’eruzione vulcanica del 79 d.C., il riquadro con la raffigurazione di Narciso, evidenzia il grande virtuosismo dell’artista sotto tutti i punti di vista: dalla precisione dell’insieme architettonico, al movimentato graffito raffigurante il volto riflesso del giovane, alla delicatezza dell’amorino alla sua sinistra con in mano una fiaccola, all’’elegante movimento del braccio destro; una delicata degradazione che passa attraverso l’insieme del fogliame, la gamba destra del giovane, e tutti gli elementi che dai primi piani passano a quelli successivi. In questo stucco sorprende soprattutto la ricca variazione della luce, ora radiosa, ora morbida, ora tagliente, come se gli effetti non venissero aiutati dall’illuminazione esterna ma sgorgassero direttamente dalla struttura interna dello stucco, alla stessa stregua delle immagini pubblicitarie su pellicole illuminate dal retro.
L’arte flavia si rivela assai libera anche su scala monumentale e si evidenzia nei rilievi dell’arco di Tito (arco trionfale posto sulle pendici nord del Palatino), costruito da Tito Flavio Domiziano (dall’81 al 96 d.C.) al suo avvento, per manifestare simbolicamente, con una notevole opera, la vittoria sulla Giudea, celebrata un decennio prima da suo fratello Tito e suo padre Vespasiano. Nella lastra a nord è raffigurato il solo Tito sulla quadriga d’onore, con vicino la dea Vittoria atta ad incoronarlo, mentre la dea Roma conduce i cavalli. Segue quindi la personificazione del popolo di Roma e del Senato.
La profondità della scena viene contrassegnata dai fasci dei littori, con le svariate inclinazioni. L’altro fregio raffigura un episodio storico che segna la gloria di un’era. Si assiste alla scena del trasporto di oggettistica sacra prelevata dal tempio di Gerusalemme: l’Arca dell’alleanza, il candelabro a sette bracci e le trombe di Gerico. Le tabelle erette da altri portatori indicavano le città espugnate. A differenza dell’Ara Pacis (altare dedicato ad Augusto, 9 a.C.), l’allineamento non è costante, ma c’è nelle due scene una curva abbastanza evidente del percorso, con la prominenza al centro, dove la parte scultorea è in aggetto nei confronti del bassorilievo raffigurante le teste in lontananza. Si evidenziano nell’opera superfici con vigorosi contrasti di luce ed ombra.
La glorificazione di Roma e del suo coraggioso popolo supera il rigore scrupoloso del disegno. Rifacendosi all’impeto epico ellenista, l’artista scuote la forma rendendola tumultuosa, e conferisce a tutto l’insieme un respiro all’espressionismo. La struttura della composizione interna è forte e vigorosa, nonostante la naturalezza dell’anatomia dei portatori e dei cavalli (volutamente al centro per conferire all’immutabilità della natura il segno di un destino glorioso) che si sollevano nello spazio. Le pochissime immagini dell’Imperatore Tito Flavio Domiziano, scampate alla distruzione della statuaria (damnatio memoriae) decretata dal Senato dopo la sua uccisione, sono emblematiche per la loro varietà e per lo sviluppo artistico del periodo imperiale, essendo state concepite dalla felice combinazione del realismo tracciato da Vespasiano con i richiami alle varie fasi dell’arte greca.
Periodo di Traiano
Nerva (Marco Cocceio Nerva, 96-98 d.C.) istituisce il sistema dell’adozione nella successione imperiale. La sua immagine evidenzia un’armoniosa asimmetria ed un aristocratica eleganza.
Traiano (Marco Ulpio Nerva Traiano) ricerca un realismo concreto, monumentale, che conferisca l’energica fermezza del condottiero nel suo inflessibile equilibrio formale, sormontando, in un’altra direzione, l’incertezza iconografica di Domiziano. Tacito riflette sui figli dei liberti e li vede innumerevoli tra l’aristocrazia, i cavalieri, ed anche tra i senatori, proprio nel periodo di Traiano, primo imperatore proveniente da un Paese straniero (la Betica, sud della Spagna). Dopo un secolo fatto di glorie e di crisi, il regime concentra con più forte energia le proposte più svariate per l’affermazione di Roma, incarnata nell’aspetto del combattente, tanto dai comuni cittadini quanto dalle istituzioni o dallo stesso Imperatore: tutte le cose, tutti i comportamenti ed tutte le mode divengono subalterni ed asserviti alla raffigurazione della forza.
Si diffonde anche nel taglio dei capelli la moda della “frangia militare”. Il foro di Traiano (107-113) fissa nella monumentale immortalità di Roma il ricordo fuori scala del potente accampamento, sistema di attacco in prima linea. Costituito da un ampio piazzale con portici che camminano ai due lati, chiuso in fondo dalla basilica disposta alla stregua dei “principia del castrum”, ed ornato con una maestosa statua equestre di Traiano al centro del piazzale.
Le biblioteche sono messe al posto degli archivi legionari e la Colonna in uno stretto cortile tra le biblioteche, luogo dove avvenivano gli onori delle insegne al campo. Il complesso ornamentale conferisce energia alla metafora con le immagini dei condottieri entro scudi all’esterno, la quadriga trionfale all’entrata, con una moltitudine di barbari incatenati nella grande piazza, vittime e testimoni allo stesso tempo di così tanta gloria.
Periodo di Adriano
Il progetto del Foro di Traiano è attribuito all’architetto Apollodoro di Damasco, entrato in disgrazia con l’avvento di Adriano (Publio Elio Traiano Adriano, 117-138 d.C.) per aver espresso critiche alquanto severe al progetto del tempio di Venere e Roma, ideato dallo stesso Imperatore. Il duplice edificio, di gigantesche proporzioni, ricollega palesemente la sacralità di Roma alla dea che l’ha sempre protetta.
La ricostruzione del Pantheon (il primo era il Pantheon agrippino costruito nel 27-25 a.C., distrutto da un incendio, ricostruito da Domiziano e distrutto una seconda volta da Traiano) con la maestosa cupola, è l’altro segnale della grandezza ed dell’immortalità di Roma, tracciato da Adriano ed arrivato con forza ai nostri giorni. Secondo fonti accreditate, il nuovo progetto è attribuibile allo stesso Apollodoro da Damasco.
La circolarità regolare dell’interno, alla stregua di una sfera inscritta in un cilindro, ritmato dalle “case” degli dei planetari ed il frontone decorato con l’aquila in bronzo circoscritta da una corona, assommano la simbologia di “Aion l’Eterno, a cui viene abbinato l’epiteto stesso di Pantheios. Queste imponenti architetture affermano l’importanza di Roma a commento dell’incessante viaggiare di Adriano (fonti autorevoli lo fanno di origine iberica) che si orienta all’unificazione paritetica del dominio romano.
Periodo di Marco Aurelio
La configurazione del sistema adottivo, che ancora offre all’Impero di Roma la serie dei governanti più saggi che abbia mai avuto il grande Occidente, è evocato da Marco Aurelio (Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto 161-180 d.C.) nel fregio del Monumento Partico, eretto ad Efeso in onore di Lucio Vero, scomparso immaturamente nel 169, durante il rientro a Roma. Sulla lastra, lunga 70 metri, appaiono scene belligeranti con incisive raffigurazioni di battaglie, di equitazione, di situazioni di caccia e di vittorie.
Sul lato destro appare Adriano, al centro è raffigurato Antonino Pio che ha una mano sulla spalla di un fanciullo (Lucio Vero) e sulla sinistra Marco Aurelio ancora giovane. In questo fregio compaiono, come in una rappresentazione funeraria, tre generazioni. Sull’onda neo-ellenica del plasticismo di Adriano, viene ritrovata la malinconica suggestione del gruppo funerario per fornire umanità alle ideologie imperiali. Il governante filosofo affianca il pensiero e la riflessione all’attività bellica in difesa dei confini: correda di pragmatismo romano la considerazione teorica.
Alla stessa stregua, l’arte figurativa nei rilievi che rappresentano le sue rituali azioni (oggi custoditi, alcuni nel Museo del Palazzo dei Conservatori, altri riportati nell’Arco di Costantino), cerca una solida presentazione del costume: umanità verso gli sconfitti, la gloria ed il sacrificio che si deve agli dei, il trionfante ritorno dalla guerra, la fase di purificazione dei soldati, l’investitura di un principe “non romano”, il discorso all’esercito, l’esibizione dei prigionieri, la sottomissione dei condottieri sconfitti, l’assegnazione delle offerte alla popolazione e, infine, una nuova spedizione bellica.