Pagine correlate a Romanticismo francese e Romanticismo italiano: Il Romanticismo – Il periodo preromantico – Il Romanticismo nel nord Europa – I visionari – Il Neogotico.
Maestri francesi
Le tematiche di Eugène Delacroix non hanno un unico orientamento ma vengono alternate assumendo valenze diverse, da quelle letterarie a quelle esotiche, dalle storiche alle raffigurazioni di particolari momenti appartenenti al suo periodo.
Nel 1824 l’artista francese presenta al Salon il “Massacro di Scio”, e fa subito clamore: l’arte ha cessato di ispirarsi all’antico e si presenta come appartenente al proprio tempo.
Delacroix non pensa che la pittura sia un’arte materiale, perciò non cerca, con le forme e i colori di dare soltanto un’idea precisa sulla raffigurazione puramente estetica: “il pregio del quadro sta nell’indefinibile” ovvero, ciò che sfugge alla precisione corrisponde a ciò che l’anima aggiunge alle forme ed ai colori. Delacroix è alla ricerca di quella «forza espressiva, quel nerbo, quell’audacia» che non ha mai trovato negli schemi del “bello eterno” di David e, che nelle forme di Géricault, massicce, solide, fondate sulla contrapposizione di chiaro-scuro, non sono mai esistite.
Lo splendore atmosferico delle opere paesaggistiche di Constable e la luce raggiante ed energica del Marocco influiranno rendendo più limpida la sua tavolozza con toni più aggressivi, liberandola dal chiaro-scuro accademico, e daranno un carattere di libertà, decisione e sicurezza alle sue pennellate. Per Delacroix è soprattutto lo spirito che crea e non ciò che è descritto dalla natura.
Il Classicismo viene così definitivamente abbandonato. Delacroix è il caposcuola della pittura romantica francese e il suo famoso dipinto “La libertà che guida il popolo”, è considerato il primo quadro a carattere politico nella storia dell’arte moderna: la sua partecipazione all’insurrezione ha soltanto una caratteristica puramente sentimentale.
La stessa carica di energia vitale si ritrova nelle superfici mosse e palpitanti dello scultore Antoine-Louis Barye (Parigi, 1796-1875, allievo dello scultore F-J Bosio e del pittore A-J Baron Gros), che sa combinare la sua alta sensibilità verso il naturalismo con le acquisite cognizioni anatomiche, frutto di anni di ricerche. Egli fa convergere un’eccezionale carica di vitalità nel duello tra animali (coccodrilli e tigri; serpenti e leoni), in contrasto con la perfetta calma e monumentale immobilità della scultura del periodo neoclassico. La scultura, che nel linguaggio neoclassico rispettava precisi schemi estetici e veniva portata su un grado paritario di importanza rispetto alla pittura, con l’avvento del Romanticismo diviene un mezzo pressoché ambiguo rispetto ai presupposti ideali della nuova tendenza del gusto: per questo motivo è molto rappresentata nel periodo romantico.
La carneficina (Chartres, Musée Municipal, 1834) opera di Auguste Préault (1809-79), si manifesta come una visionaria denuncia della brutalità. Dalle sue opere trapela il rifiuto a qualsiasi riferimento con il Classico e la volontà di non raffigurare grandi personalità né tematiche mitologiche od allegoriche. Ofelia viene raffigurata dopo essere morta per annegamento: il suo corpo senza vita è trascinato alla deriva dalla corrente. Un sapore poetico, malinconico e triste pervade l’intera opera.
L’egocentrismo romantico viene espresso da Pierre-Jean David d’Angers (1788-1856), che nei suoi famosi medaglioni trasfigura i personaggi dipinti per lo più dal vivo (da Hugo a Byron, da Paganini a Rossini, da Delacroix a Friedrich ), arrivando fuggevolmente talvolta alla caricatura.
Un frammento biografico di Delacroix
(vedi la biografia di Delacoix)
Eugène Delacroix (Charenton-Saint-Maurice 1798 – Parigi 1863) acquisisce la conoscenza ed esperienza nello studio di Guérin, dove conosce Géricault. Frequenta i salotti parigini dove incontra e fa amicizia con Victor Hugo, StendhaI, Merimée, Sainte Beuve, Dumas padre, de Musset, Gautier e più tardi anche con il grande musicista Chopin e la Sand. A Londra (1825) osserva con ammirazione le opere di Constatile. Nel 1832 è in Marocco, poi in Algeria e successivamente in Spagna. Riceve la Legione d’onore e la legittimazione ufficiale nell’Exposition Universelle del 1855.
Maestri italiani
Lo sviluppo del movimento romantico italiano ha un certo ritardo rispetto agli altri Paesi, non solo nel mondo della pittura ma anche in quello letterale, dove la trasformazione dallo stile neoclassico verso il Romanticismo è quanto mai debole ed incerta: si pensi agli inni delle Grazie di Ugo Foscolo o agli idilli del Leopardi. La sua caratteristica preminente è lo storicizzare, ovvero il dare contiguità all’orizzonte storico dove si collocano gli episodi, soprattutto quelli collegati alla conquista dell’indipendenza dell’Italia.
Sempre in Italia, a Francesco Hayez (Venezia 1791 / Milano 1882) sono estranee le aggressioni altamente emotive e, probabilmente, la realtà eloquente dei pittori francesi; inoltre non possiede la veemenza pittorica con la quale Géricault trasforma l’immediatezza degli avvenimenti.
La figura, nel pittore italiano, diventa raffinata, le linee vengono composte con percettibile compattezza. La sua raffigurazione sembra avere le caratteristiche di un romanzo figurativo, oppure, per la profonda presenza lirica e sentimentale nelle vicende, di un melodramma.
L’ambientazione è funzionale all’episodio e trova riscontro nella necessità di un’esattezza documentaria. Fondali, quinte, costumi, armoniosa disposizione dei protagonisti: tutto diventa teatro in Hayez.
Il quadro a tema scenico diventa sempre meno interessante, quando dal tema storico passa, mitigandosi, alla corrente più palesemente sentimentale. Nell’evoluzione della sua arte egli va sempre più verso un significato paradigmatico dei gesti, che porterà allo schema di composizione più moderno realizzato in tele come la Malinconia (1842). Nell’opera “Il bacio”, Hayez innalza il sentimento al di sopra di qualsiasi altra cosa:un uomo che decide di fuggire trova il tempo per dedicare un bacio appassionato alla sua bella.
Le forme anacronistiche
Queste sono già nate nei primi decenni del Settecento e si svilupperanno con più o meno intensità per oltre un secolo con un altro ritorno al gusto dell’antico.
Queste forme anacronistiche non hanno nulla a che vedere con la dottrina del classico greco e del classicismo rinascimentale, ma con il riesame dei linguaggi del medioevo fino al Quattrocento fiorentino, un genere di rinuncia alla ricerca delle forme estetiche del periodo attuale.
L’Ottocento è investito dal risveglio del gusto di molteplici stili: tra i tanti, il neogotico si presenta con prepotenza come stile predominante. Esso nasce, negli ambiti inglesi del caratteristico e pittoresco Settecento e si trasmette, da paese a paese in modi sempre diversi fra loro. In Francia, tra il 1780 e il 1820, predomina lo stile “troubadour” che si ispira ai miti della cavalleria. In un più globale stile di ambito medievale si colloca il neoromanico, ma anche, con la stessa forza il linguaggio fiorentino di carattere quattrocentesco.
Come un ritorno al passato
In contrasto con il Neoclassicismo di David rinasce il Rococò (Neorococò), manifestato per la prima volta dai fratelli Goncourt nel loro trattato “L’arte del XVIII secolo”, e messo in pratica da grandi pittori come Tassaert e Roqueplan. Viene riacquistato il linguaggio rinascimentale francese nelle architetture dei castelli della Loira e, per quanto riguarda il mobilio, viene preso come modello quello di Enrico II. Intorno al 1850, Leon de Laborde (1807-69), un eccellente storico, politico ed esploratore, con alte responsabilità al Louvre e appassionato della fotografia, elabora nella “La rinascita delle arti presso la Corte francese” (1885) un panorama nazionalistico del Rinascimento in Francia. L’espansione del revival in tutta Europa viene in una certa misura spiegata come l’espressione di passioni nazionali, come il ritorno attaccato ai ricordi di forme d’arte ormai sottovalutate o addirittura abbandonate. In Germania e in Inghilterra la tradizione dello stile gotico raffigura spesso più una persistenza che un risveglio: si acquista di volta in volta maggiore coscienza dell’espressione storica del linguaggio, visto dal lato romantico. Il Medioevo cristiano, l’Antichità e il Rinascimento si manifestano in questo periodo come altrettante età dell’oro in cui cerca rifugio l’assurda e retrospettiva speranza, in contrasto al razionalismo e al sensismo dell’Illuminismo e, in Inghilterra, al progresso industriale e ai suoi principi teorici. Per riscattare l’arte, capro espiatorio del decadimento e della corruzione del proprio tempo, nascono confraternite artistiche: i “primitivi” in Francia, i “Nazareni” in Germania, i “puristi” in Italia e i “preraffaelliti” in Inghilterra, che si ispirano alle antiche tradizioni per raccogliere l’essenza stessa dell’immagine.
Frammenti
- “I contorni, in pittura, sono la prima cosa e la più importante. Quand’anche il resto fosse molto tirato via, se esistono quelli, la pittura è ferma e conclusa. […] A questo, Raffaello deve il suo finito, e spesso anche Géricault (Delacroix (7 aprile)”.
- “Quando ho dipinto un bei quadro, non ho scritto un pensiero. Così dicono. Come sono sciocchi! essi tolgono alla pittura la sua superiorità. Per esser capito, lo scrittore dice quasi tutto.”
- “In pittura l’esecuzione deve sembrar sempre improvvisata, e in ciò sta la differenza capitale da quella dell’attor comico.”
- “Il Veronese deve molto della sua semplicità anche alla mancanza di particolari, la quale fin da principio gli permette di stabilire il tono locale”.
- “Fra i pittori vedo prosatori e poeti”.
- “L’esperienza è indispensabile per imparare tutto ciò che si può fare con il proprio strumento, ma soprattutto per evitare ciò che non dev’essere tentato”.
- “Eppure bisogna esser molto audaci. Senz’audacia, e audacia estrema, non esistono bellezze”.
- “Il nuovo è vecchissimo, si può perfino dire che è sempre quel che c’è di più vecchio”.
- “Forse si arriverà a scoprire che Rembrandt è un pittore molto più grande di Raffaello. Scrivo questa bestemmia degna di far raddrizzare i capelli”.
- “Forse il sublime che Raffaello ha nelle linee, nella maestosità d’ognuna delle sue figure, Rembrandt lo possiede nella misteriosa concezione del soggetto, nella profonda schiettezza delle espressioni e dei gesti”.
- “Davanti a un quadro l’indipendenza dell’immaginazione dev’essere totale”.