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Il passaggio verso il nuovo linguaggio
Dal Rococò al Neoclassico: Subito nei primi anni della seconda metà del Settecento, Francesco Milizia, teorico dell’architettura, esternando i suoi concetti di tipo illuminista, vuole definire lo stile barocco con una violenta ed aspra critica, senza pensare che il suo giudizio si sarebbe più tardi mutato. Quella definizione dello stile però rimane come modello.
Nel Barocco veniva inclusa tutta la produzione barocchetta (il Barocchetto è una declinazione lombarda che fa capo allo stile rococò ed è caratterizzato per la presenza di tratti di questo nuovo stile settecentesco, come eleganza, morbidezza, grazia, piacevolezza, commistionati con concezioni stilistiche e compositive tramandate dalla tradizione seicentesca), perciò anche quella del Rococò, che aveva avuto il suo culmine nell’espressività soprattutto nei complessi architettonici e decorativi, in tutto il centro Europa; e la sua caratteristica più specifica nell’arredo e nella piccola decorazione in Francia con lo stile Luigi XV. Ecco che intorno al 1770 il gusto rococò cala in tutti i sensi e dappertutto; nei centri di più decisa vitalità culturale sta ormai cedendo il posto al nuovo linguaggio, quello neoclassico; nei contesti più conservatori, viene però sostituito con il ritorno ad un stile accademico di stampo bolognese e romano.
Negli ornamenti eseguiti direttamente con tecnica a stucco e in tutte le altre forme decorative, l’ormai famoso stile Luigi XVI, che si manifesta proprio tra gli anni Settanta e Ottanta, appare come un risanamento dello stile rococò, privilegia la linea retta, diminuisce ed irrigidisce le rappresentazioni floreali, presenta ritmi alternati con ampie pause e un nuovo tipo d’immagine di natura più severa. Tramite queste rettifiche, il Rococò entra poco alla volta nel Neoclassico senza soluzione di continuità.
In tale contesto entra con una prepotente forza persuasiva una figura chiave per il passaggio del gusto e dell’idea dell’arte tra il Settecento e l’Ottocento. Questa figura è Francisco Goya: alla fine dell’Ottocento egli è poco più che cinquantenne e rappresenta emblematicamente il tramonto dell’epoca delle grandi dinastie. Inoltre avvia il processo rivoluzionario.
Goya resterà un importantissimo punto di riferimento per l’arte contemporanea.
Francisco Goya
Figura fondamentale della pittura spagnola ed anche di quella europea a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, Francisco Goya y Lucientes (1746 – 1828) è accreditato come uno dei procreatori della sensibilità artistica moderna, alla radice del romanticismo autentico.
I suoi temi studiano a fondo la realtà più profonda, con particolare riguardo al mondo dell’onirico e dei concetti più celati.
Il suo linguaggio, di larga disinvoltura e vitalità, è indifferente agli schemi di composizione ed alle indicazioni accademiche, e piega i soggetti a dar corpo a pretese e creatività ulteriori, in nome solamente, dell’espressività pura e franca. Si definisce allievo di Velàzquez, di Rembrandt e soprattutto della Natura.
Egli ha appreso dal primo la tecnica eccellente del colore sfumato a velature con pennellate sovrapposte, dal secondo la propensione per temi pervasi di mistero e di ombre, dalla terza, cioè dalla Natura, la miriade infinita delle forme, accettate sotto tutti i punti di vista, dal bellissimo all’orrendo purché prodotto della natura stessa.
Molto interessato all’osservazione della vita del suo periodo, è interprete delle difficoltà provocate dalla crisi morale e soprattutto politica che la Spagna attraversa alla fine del Settecento, ma anche della suggestiva e gioiosa vita della città di Madrid, delle majas, dell’appassionata devozione popolare come negli affreschi della cappella di S. Antonio de la Florida, 1798.
Grande è il suo entusiasmo per le rivoluzioni della tecnica come testimonia “il pallone aerostatico” realizzato nel 1818-19.
Liberale, illuminista ed in amicizia con gente colta e progressista, Goya concentra il suo interesse critico verso il mondo dei poveracci (il muratore ubriaco, lo trasforma in “muratore ferito”), verso quello sommerso della pratica magica, della delinquenza, della prostituzione, per evidenziare illegalità e rozzezze, per fare satira sui costumi e sulla mendacia del conformismo e della devozione bigotta: in particolare, nella serie delle acqueforti dei Caprichos (1799) il lume dell’intelletto richiama, per scongiurarli, mostri della credenza popolare. Insieme a questa tematica egli svolge, nella sua qualifica di “Primo pittore di camera”, una grande quantità di straordinari ritratti di esponenti della nobiltà emulando il suo maestro Velàzquez con effetti pittorici di eccezionale maestria, nei quali esprime con ammirato riguardo l’eleganza rococò degli ambienti e delle vesti, la decorosa correttezza delle pose, ma allo stesso tempo accusa la mediocrità, la grettezza e la piena arroganza che si intravedono nei volti di un ceto dominante corrotto e sciocco.
L’invasione della Francia e la sua insurrezione popolare, il senso di repulsione della guerra, lo sconforto nell’identificare nei supposti liberatori nuovi tiranni, stimolano Goya a dipingere le vicende di cui egli è testimone diretto in forma realistica o metaforica e a raccogliere le impressioni nella serie di acqueforti “I disastri della guerra” (1810-20), che rigenera una famosa serie di Callot. Si ritira 1819 a causa di una malattia che gli ha tolto la capacità di udire e si spinge sempre più a rinchiudersi nei propri turbamenti e depressioni. Questo è il periodo di uno sconvolgente ciclo di “pitture nere”, raffiguranti il suo percorso verso gli Inferi, tra le visioni delle forze maligne, accolto da Asmodeo e Saturno, devastatori e carnefici.