La pittura barocca e rococò in Italia
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Barocco e Rococò: Nel campo della pittura assistiamo ad una produzione eterogenea nelle varie zone d’Italia e lo stile Rococò si presenta nelle più svariate forme.
Roma non ha più quella predominante forza creativa, che adesso si è spostata nelle zone del Veneto. Venezia è il centro nevralgico dell’arte.
Le prime avvisaglie di un mutamento del linguaggio ad orientamento barocchetto, con l’impoverirsi delle gamme cromatiche e di importanti contrasti di “chiaro scuro”, oltre ad un arioso e spedito segno, si hanno proprio agli inizi del secolo con le opere di grandi artisti di zone diverse.
I pittori italiani
Luca Giordano (1632/4-1705) a Napoli rappresenta un passaggio netto e deciso dell’intenso patetismo di quella scuola verso espressioni di più chiara e gradevole attrazione.
Tuttavia la città, nella quale egli decora la cupola del Tesoro nella certosa di San Martino, diventa sempre più luogo di incontri e di scambio artistico-culturale. Luca Giordano soggiorna in diverse città e in vari stati, come Venezia, Firenze e la Spagna, svolgendo la sua attività artistica ma anche traendone stimoli.
Ne coglie insegnamento fra gli altri, Francesco Solimena (1657 – 1747) vitale ed attivo a Napoli e in altre città italiane; anche se in lui si riscontrano ancora residui della cultura del Seicento napoletano. Rielabora il Mattia Preti nei chiaroscuri leggermente lividi ed intensi delle sue tele, mentre nelle opere d’affresco della cupola di San Filippo Neri ha delle originali inventive, anche se turbolente.
Paolo de Matteis prosegue la stessa pratica decorativa di Luca Giordano.
Francesco de Mura (1696-17782) con un tratto spigliato nel disegno che talvolta soverchia il cromatismo dei chiari (decorazione del soffitto di Santa Chiara), è un pittore prevalentemente da cavalletto e ritrattista. Anche Corrado Giaquinto (1499-1765) di Terlizzi è discepolo del Solimena, ma le sue gamme cromatiche hanno più luminosità e vigore di quelle del suo maestro.
A Genova, Gregorio de Ferrari (1647-1726) intraprende un linguaggio pittorico di splendente scioltezza, ispirandosi agli schemi seicenteschi di più adorabile significato per inserirvi un pizzico di originale freschezza: così come testimonia la serie di affreschi nelle residenze nobiliari, soprattutto quelli a tema allegorico in Palazzo Rosso.
In Lombardia abbiamo Stefano Maria Legnani, detto il Legnanino (1660 – 1715), a portare gli insegnamenti accademici, quelli del romano Maratta, verso il Barocchetto; nel suo caso in particolare con un più marcato patetismo, trasformato dalla locale scuola seicentesca d’impronta borromea. Autore di splendidi affreschi nella città di Torino, in palazzo Carignano, e attivo in altre con pale d’altare, termina la sua attività artistica con gli affreschi nella navata centrale del duomo di Monza. Il richiamo più forte sui contemporanei è con molta probabilità, quello esercitato da Sebastiano Ricci (1659-1734). Egli approfondisce un linguaggio moderno impiegando come lo stesso de Ferrari, lo schema del Correggio ma in toni più sciolti e variati.
Nella capitale, dove più che nelle altre città, permane sempre accentuato l’attaccamento alla tradizione accademica, Pompeo Batoni (Lucca 1708-87) è tra i promotori di quel filone classicheggiante che avrebbe contrassegnato, dopo la metà del secolo, la decadenza del Rococò. Continua anche la fredda pittura del Maratta con Francesco Trevisani (origine veneta), Giuseppe Chiari (romano), Sebastiano Conca (Gaetano) e Benedetto Luti (fiorentino). Quest’ultimo si riallaccia alla pittura del Cortona, trasferendovi lo stile del Rococò.
Sebastiano Ricci molto attivo in numerosissime città, sia con opere dipinte su tela sia con rappresentazioni di affreschi (esemplare è il soffitto di palazzo Colonna a Roma), trasmette il nuovo stile anche fuori dall’Italia, soprattutto durante le permanenze a Londra e a Parigi.
La scuola veneziana non è all’avanguardia (avanguardia in senso generico) nello sviluppo del linguaggio artistico in direzione del Rococò, ma nel giro di una ventina di anni si metterà in prima linea per il profilarsi di figure come appunto il Ricci e il Tiepolo e anche artisti del gruppo dei vedutisti.
Anche la decorazione e l’arredo prenderanno chiare caratteristiche rococò che si riconosceranno per eleganza, attrattiva di maniera e leggerezza tematica nella produzione locale.
Altre grandi personalità di spicco si incominciano ad intravedere nello scenario artistico settecentesco italiano, sia pure affezionati ad un tipo di tavolozza un po’ più pesante come “chiaro – scuro” di remota discendenza caravaggesca: per esempio Giuseppe Maria Crespi, detto anche lo Spagnolo (1665-1747) a Bologna, che tratta soprattutto soggetti di genere, anche con fisionomia popolare, ma con grande diligenza rappresentativa (nel S. Antonio flagellato dai demoni, Bologna, San Nicolo); e a Venezia, Gian Battista Piazzetta (1683-1754), diventato famoso per lo squisito dinamismo (nell’Indovina, Venezia, Galleria dell’Accademia).
Costoro sono molto avanti nel gusto. La loro gestualità, il libero taglio nella composizione e le scelte iconografiche dichiarano un nuovo approccio verso la pittura. Così è considerato un antesignano, per l’audace provocazione della tematica e per il consueto uso della “pittura di tocco”, Alessandro Magnasco (Genova 1667-1749).
Giambattista Tiepolo
Il Tiepolo, uno dei più grandi esponenti della pittura europea, termina e riassume l’intera panoramica dell’arte decorativa veneta. Formatosi nella scuola ancora barocca del Piazzetta e di Bencovich, prende comunque una direzione del tutto settecentesca molto più nuova ed avvincente, sulle orme del Pellegrini e del Ricci. Tutto questo non basta al Tiepolo che va ben oltre il Rococò, accogliendo gli spunti da Rubens, dai Carracci e da Luca Giordano.
Entra così nello scenario pittorico dimostrando diligente attenzione ai maestri che lo precedono o ai quali esso viene affiancato, e molto presto rivela una maestria eccezionale nel mestiere e nella tematica, con una teatralità fortemente espansiva e insieme, generosamente fiera.
Il Tiepolo mette in luce il suo fervore creativo nelle pareti, nei soffitti, nelle volte delle ville e degli edifici a carattere religioso del Veneto e della Lombardia, interpretando con intensa adesione lo spirito delle celebrazioni storiche e religiose, e delle allegorie sul tema mitologico come venivano rappresentate nel melodramma settecentesco, facendo allo stesso tempo risorgere lo splendore coloristico e la maestosità degli insegnamenti del Cinquecento veneto; ben convinto del ruolo del maestro come di chi, trasmettendo ogni messaggio, anche il più doloroso, lo fa in chiave di fascino. Dopo le più che riuscite esperienze giovanili, arrivate all’apice con gli affreschi a tema biblico nel palazzo di Udine, adesso sede vescovile (1726-28), il Tiepolo, seguito prima da esperti della quadratura trovati sulla piazza e dopo dai figli Giandomenico e Lorenzo che divengono suoi collaboratori per il figurativo, non ha sosta, svolgendo una lista di committenze sempre più pesanti, sia per le opere da cavalletto, di sovente a tema religioso, sia per gli affreschi realizzati nei saloni di rappresentanza di palazzi aristocratici.
In Lombardia ed in Veneto, nel periodo in cui la fase di assestamento del potere asburgico incoraggia patrizi della zona a procurarsi una propria caratteristica fisionomica innalzando molte nuove costruzioni residenziali, il Tiepolo va a Milano ad affrescare nei palazzi Casati Dugnani e Clerici, poi va a Venezia con il quadraturista Gerolamo Mengozzi Colonna in palazzo Labia ad affrescare le “Storie di Antonio e Cleopatra”, poi a Wurzburg e infine a Madrid ad affrescare, nella sala del trono di palazzo Reale, “Gloria della Spagna” .
La sua lunghissima attività ricopre simbolicamente tutto l’arco del Settecento, e quando sarà conclusa inizierà ad essere soverchiata dai nuovi linguaggi espressivi, sia per il divulgare del gusto neoclassico sia e soprattutto, per il delinearsi della coscienza protoromantica.
In Spagna, dove il Tiepolo muore, sta appunto evidenziandosi prepotentemente la personalità del tutto inedita di Francisco Goya y Lucientes (1746-1828).