Hieronymus Bosch: Trittico del fieno
Trittico del fieno, Prado, Madrid.
Sull’opera: “Trittico del fieno” è una serie di dipinti prevalentemente attribuiti a Bosch, realizzati con tecnica a olio su tavola nel 1500-02. Il complesso è custodito nel Museo del Prado a Madrid, ma esiste – come sotto ampiamente riportato – un’altra versione, completa nelle sue parti.
Il complesso pittorico in esame, che comprende sei dipinti e rappresenta un’allegoria satirico-morale, è il primo tra quelli del Bosch pervenuto per intero al Museo del Prado a Madrid. Viene descritto già dal 1586 nella “Tabla de Cebes” di Ambrogio Morales, quindi nel 1605 nell’opera di fra’ Sigùenca.
Il trittico, che apparteneva alla famiglia, di Guevara fu venduto nel 1570 (dagli eredi) a Filippo II (fonte: Justi, 1889) e viene elencato in prima posizione nel documento del Simancas.
Nel 1574 fu trasferito insieme ad altre opere pittoriche all’Escorial, dove venne visto – e quindi citato – da A. Ponz (in Viaje, 1772-94). A complicare le cose fu – nell’Ottocento – l’ammissione di Ceàn Bermùdez che disse di aver ammirato un’altra versione alla Casa de Campo (fonte: Mateo Gómez, 1965). In conclusione, il trittico attualmente conservato nel Museo del Prado è quello che il Bermudez vide nella Casa de Campo, recante la firma dell’artista nello scomparto centrale (“Il carro di fieno”), in basso sulla destra.
L’intera opera appartenne più tardi al marchese di Salamanca che la fece smembrare: la parte centrale fu acquistata nel 1848 da Isabella la trasferì ad Aranjuez; l’ala a destra (“Costruzioni infernali”) entrò all’Escorial, mentre l’altra ala (“Il peccato originale”) pervenne all’attuale sede, dove il complesso venne ricomposto dopo il 1914.
La versione all’Escorial (Monastero di San Lorenzo), che reca la firma dell’artista nel riquadro di sinistra (“Il peccato originale”), viene considerata opera autografa di Bosch da molti studiosi, tra i quali Justi (1889), Cohen (1910), Maeterlinck (1914), Lafond (1914), dalla Brand-Phili (1953) e anche dal Baldass (1959) che nel 1943 ipotizzava il contrario.
L’autografia della versione custodita nel Museo del Prado viene avanzata da Solomayor e Sànchez Cantón, direttori del museo, e quindi difesa nel 1965 Tolnay (soprattutto per la qualità delle stesure riguardanti le ali esterne e interne), nel 1959 dal Linfert, nel 1960 dal Delevoy e nel 1962 dal Puyvelde.
Tra i sostenitori dell’uno e dell’altro complesso sta il Combe (1946 e 1957) che avanza l’autografia del Bosch ad entrambe le tavole centrali, indicando come opera originale quella del Prado. In effetti, da un’attenta analisi, risulta assai più pregiata la qualità del trittico custodito nel Museo, nel quale si evidenzia un’esecuzione fino alle estreme conseguenze, tipica del Bosch, nella trasfigurazione tematica, didascalica e morale – ma anche e soprattutto iconologica – con il linguaggio della prima maturità: implicazione del segno nella stesura cromatica, semplificando la figura in una macchia vigorosamente movimentata dalla ricca variazione tonale interna; impiego marcato del tocco, dove l’elaborata espressività tardogotica viene integrata con la semplificazione d’una stesura pittorica “fresca”, frutto di un’unica seduta.
Per quanto riguarda la cronologia, il trittico – che veniva riferito dal Baldass (1917) all’ultima fase dell’artista, cioè intorno al 1510 – viene attualmente assegnato alla prima maturità: secondo il Tolnay (1937 e 1965) è da collocarsi nel periodo 1485-90; per il Baldass si tratta di un’esecuzione a cavallo tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento; per altri, poco dopo (1500-02).
Descrizione delle opere e raffigurazione dei particolari: